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Politica culturale
Editrice Bibliografica ha pubblicato una raccolta di saggi che esplora la personalità e la carriera di Laura Bassi, letterata di spicco del Settecento, prima donna al mondo a ottenere il titolo di professoressa universitaria (secondo i documenti dell’epoca “professora”), e successivamente figura-mito per le donne in ambito accademico. La pubblicazione di Laura Bassi: Donne Genere e Scienza nell’Italia del Settecento fornisce l’occasione di tornare a parlare della parità di genere nelle Scienze, una questione complessa, essenziale per il nostro futuro, e troppo spesso sottovalutata.
Basti pensare che soltanto il 17% delle donne iscritte all’Università Italiana frequenta una facoltà scientifica. A partire dal 1903, quando Marie Curie è stata la prima donna a ottenere il premio Nobel per la Fisica, le vincitrici del Nobel nella stessa disciplina sono state 17 (gli uomini invece 572). A livello mondiale, le donne costituiscono appena il 28% dei ricercatori nelle STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). Questi dati mettono in luce la persistenza di un ampio divario di genere nel campo delle materie scientifiche. Nonostante i parziali passi avanti in direzione di una maggiore inclusività, e sebbene alcuni studi dell’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere indichino che da un maggior apporto femminile in ambito STEM risulterebbe un progresso sia economico che sociale, le scienze sembrano rimanere ancora oggi una cosa prevalentemente da maschi.
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Se, per dirla come Carlo Levi, “Il futuro ha un cuore antico” – e se il presente non fa eccezione in questo senso – per procedere diventa essenziale guardarsi indietro: guardare al cuore delle cose. È questo il contesto in cui si inserisce il libro Laura Bassi: Donne, Genere e Scienza dell’Italia del Settecento, appena pubblicato da Editrice Bibliografica per la collana “Storie della Scienza”. Si tratta di un volume che raccoglie una serie di scritti di Marta Cavazza riguardo la figura della scienziata, e più in generale il ruolo e la posizione delle donne in ambito scientifico nell’ambiente accademico dell’Italia del Settecento.
Laura Bassi, la cui storia è stata recentemente riscoperta, anche grazie al prezioso contributo di Marta Cavazza, è stata la prima donna al mondo a ottenere una cattedra universitaria. Oltre a essere laureata in filosofia e lavorare come “professora” universitaria a partire dal 1732 a Bologna, nel 1745 entrò a far parte dell’Accademia Benedettina, e nel 1776 istituì i primi corsi di Fisica Sperimentale all’Istituto delle Scienze.
Gli scritti di Cavazza, docente di Storia della Scienza all’Università di Bologna ed esperta di storia delle istituzioni scientifiche italiane ed europee, fanno più che ripercorrere semplicemente la vita e i successi accademici di Laura Bassi: sono anche e soprattutto uno strumento per comprendere a fondo la storia della presenza delle donne nell’Università.
In un mondo maschile e maschilista, quello delle scienze e dell’accademia settecentesche, le donne non sono ammesse: “Una donna che conosce la fisica di Newton o la geometria analitica cartesiana non obbedirà più al marito e non potrà essere una buona moglie, trascurerà i doveri domestici e non sarà una brava padrona di casa, lascerà i figli in mani mercenarie e sarà perciò una cattiva madre”. Eppure Laura, moglie e madre, è stata prova vivente del contrario. La sua figura di prima tra le donne nella scienza è divenuta quasi mitologica, nel senso classico del termine: Laura Bassi, Ipazia Settecentesca, ha costituito un modello a cui ispirarsi per tutte le scienziate a venire.
Tra le “strategie” adottate dalla Bassi per realizzare le proprie ambizioni in campo accademico, nonostante le difficoltà che l’essere donna necessariamente comportava, la Cavazza racconta la sua scelta di sposarsi. O meglio, la ponderata scelta dello sposo: Giuseppe Veratti, medico e professore di fisica, compagno non avverso alla carriera della moglie. Viene introdotto in questo modo, tra gli altri, il tema della cooperazione, della vicinanza che può crearsi tra donne e uomini nella costruzione di un ambiente più egualitario.
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Sembra che, nonostante la consapevolezza dimostrata nelle sue scelte, la Bassi non si sia mai espressa con chiarezza sulla questione dell’emancipazione femminile nelle lettere e nell’accademia. Malgrado l’attribuzione di qualche commento a riguardo, pare che generalmente preferisse evitare il più possibile di considerare l’essere donna come una condizione di straordinarietà. Molto più delle sue parole, sono state in effetti la sua vita e la sua storia a fornire un’ispirazione e un esempio per le generazioni successive. Leggerne spinge a un desiderio di riscoperta di tutte le donne che come lei hanno vissuto scegliendo di non parlare apertamente, combattendo una rivoluzione silenziosa, e senza per questo costituire un precedente di minore rilievo.
Marta Cavazza ha voluto dare voce alla silenziosa lotta della Bassi. Ne emerge il ritratto vivido di una donna e della sua fierezza, insieme all’importanza del concetto di sorellanza: sta infatti “nell’‘amicizia’ tra le donne” secondo Cavazza, “la strada da percorrere per trasformare il mondo esclusivamente maschile delle università e delle accademie in una realtà di donne e di uomini cooperanti a un fine comune”.
Matilde Moro