07 Ottobre 2018

“L’arte nasce dalla paura – e l’opera ti liquida sempre con un sorriso, tra felicità e inquietudine”: dialogo sperimentale con tre artisti, Thomas Lange, Luigi Carboni, Cosimo Casoni

Di recente mi è capitato un lavoro difficile, perciò affascinante. Federico Piccari, guida e stratega di Fondazione 107, galleria d’arte contemporanea a Torino – uno spazio nudo, quasi spirituale, ricavato in un capannone industriale degli anni Cinquanta – ha ideato una mostra, Vivace Sostenuto Andante, che mette in dialogo tre artisti molto diversi per impeto, progetto, biografia pittorica: il tedesco Thomas Lange – nato nell’alveo dei Nuovi Selvaggi, sorto dal gesto di Baselitz e Kiefer; in copertina l’immagine di un suo lavoro –, Luigi Carboni, tra i grandi astrattisti della sua generazione – ha esposto da New York a Hosaka – e Cosimo Casoni, il più giovane, che unisce una ricerca pittorica tradizionale – i macchiaioli, ad esempio – alle evoluzioni dello skate (ha già vinto un Premio Arte Mondadori). In forma preliminare, a predisporre il lavoro esegetico, ho preteso di parlare con gli artisti. Ne è nato un colloquio, organizzato intorno a quattro grandi questioni, tentando “una cartografia della personalità”, che qui riproduco. La mostra, inaugurata il 4 ottobre scorso, sarà alla Fondazione 107 fino al 2 dicembre. (d.b.)

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L’esperimento è semplice e parte da un presupposto. Gli artisti sanno scrivere, sanno, con la grammatica, capirsi e mettersi in difficoltà. Gli esempi, da Michelangelo e Vasari in qua, sono innumeri. Da Matisse a Munch, da Gauguin a Van Gogh, da Paul Klee a Kandinsky, Modigliani, Giacometti, Sironi, Morandi… L’intenzione dell’artista non risolve l’opera – che è tale perché sfugge a ogni volontà – ma è il principio, il blocco di partenza da cui partire, agonisticamente, per tentare una interpretazione dell’opera. Di solito, gli artisti vengono cannibalizzati dai critici d’arte. Oppure, annegano nel narcisismo. In questo caso, l’esperimento è semplice e desto. A Luigi Carboni, Cosimo Casoni e Thomas Lange ho posto le stesse domande, pretendendo una risposta scritta. Queste sono le domande:

a) Qual è il suo sguardo davanti alla tela bianca, candida: da che cosa, in principio, si lascia muovere, da una idea, dall’ispirazione, dalla sua storia (o concezione) artistica?

b) Cosa accade durante il lavoro? Intendo: è solito tornare sulla tela e sul tema, elaborarla, disintegrarla, oppure procede secondo una idea nitida, fino in fondo? Come è cambiato nel tempo il suo approccio nell’affrontare la tela?

c) Quali sono le ‘fonti’ ancestrali, cioè, la pittura (o le letture) di cui continuamente si nutre?

d) Che valore ha – se lo ha – la musica nel suo gesto pittorico? Ogni artista ha un ‘ritmo’ che modula il suo gesto pittorico: qual è il suo?

Il tono con cui ciascun artista ha risposto alle domande è già la cartografia della personalità, è già uno ‘stile’.

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Carboni
Un’opera di Luigi Carboni, ‘Senza titolo’, 2016

Luigi Carboni

a) Chi è oggi l’artista visivo? Un testimone del suo tempo, un tecnico specializzato o un poeta universale? In realtà non ho mai avuto il tempo di pensarci, forse per farlo non bisogna pensare all’arte, non credo in un processo creativo rigido, non credo in un modo dominante di osservare la realtà. Nell’opera cerco una misura ideale, nell’oscillazione tra il diritto alla felicità e la ricerca dell’inquietudine, tra la bellezza dell’esistenza e la malinconia del quotidiano, tra l’orgoglio della storia e il gusto dell’attualità, tra l’irritazione civile e la calma ritualità, tra l’aspetto metafisico e quello pratico. In questa continua ricerca di una dialettica tra entità opposte troviamo le istanze dell’arte e del vivere quotidiano. Contraddizioni? Certo è un segno dei tempi.

b) L’arte è uno stato di necessità, un problema di gerarchie di urgenze. Scelgo un programma per ogni dipinto, ma l’esito risulta una sorpresa, che sono costretto ad accettare. L’opera mi liquida sempre con un sorriso. Quando dipingo tutto ciò che è di fronte a me è ordine, il resto alle mie spalle è scompiglio. Molte dispute e gerarchie del passato nell’arte contemporanea sono cadute, i generi sono decaduti, esiste solo una storia dell’arte dell’intensità e sulla base di questa ‘intensità’ mi auguro di costruire la mia poetica.

c) L’apprendista pittore è orfano, deve attraversare la tradizione come un nuotatore attraversa un fiume, senza affogare. Un viaggio dove le categorie del passato e del presente non sono spartite fra loro: gli artisti cercano sempre quello che sembra mancare o essere andato perduto nell’esperienza culturale del momento. La ricerca di un artista è la ripresa del discorso dell’arte, a partire da un punto in cui questa prospettiva si è interrotta, secondo il suo punto di vista.

d) Queste opere sono una proposta di silenzio; non che non abbia fiducia nella musica o nelle parole ma desidero proporre e dipingere opere che si offrono al silenzio. Vorrei dipingere immagini splendide ma sciupate.

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Casoni
Un lavoro di Cosimo Casoni, esposto alla Fondazione 107 di Torino

Cosimo Casoni

a) Direi dall’insieme di queste cose. Negli ultimi anni i miei lavori sono sempre più condizionati dalla “daily life”. Ho sempre uno sguardo attento a ció che mi circonda: dai muri dei palazzi nelle strade, al paesaggio dove vivo, e a tutto quello che la vita di skateboarder ancora attivo mi propone. L’influenza dello skateboarding in questo momento della mia carriera copre un ruolo importante, al di là degli “etichettamenti”, mi sono reso conto delle grandi possibilità che esso mi offre. L’architettura cittadina ha una funzione indispensabile nella Skate culture: muretti, scalinate, corrimano e tutto l’arredamento urbano viene vissuto dallo skater in maniera molto creativa, divengono gli “spots” su cui sperimentare manovre (“tricks”). In qualsiasi posto mi trovo, quando esco per una sketata, soffermo spesso l’attenzione sui segni che gli skater lasciano sopra pareti o altre strutture con i loro passaggi e tricks; rimango sedotto da quei segni, dalla texture di quelle sgommate sporche che le ruote lasciano a testimonianza del loro passaggio, generando pittura allo stato puro. Ho maturato nel tempo che questo aspetto fosse il punto di partenza per una nuova ricerca pittorica. A questo fondamentale aspetto che caratterizza questo periodo, si aggiunge l’esperienza pregressa, gli studi passati, la street culture, la storia dell’arte, i ricordi di un infanzia e adolescenza passata tra la maremma e la campagna fiorentina. Assorbo come una spugna più stimoli possibili, raccolgo ed archivio ogni tipo di informazione visiva che mi interessa prima di passare in studio e costruire l’opera.

b) Parto sempre da un idea mai del tutto nitida, un idea che poi nel working progress incontra deviazioni, cambi di programma, interruzioni, cancellazioni e nuove trascrizioni. Parto da dei fondi astratti, inspirandomi alle campiture piatte e i colori dei muri della città; successivamente registro sulla tela le tracce di skate. In questa fase, la tela è sempre staccata dal telaio e installata su superfici diverse, come rampe, funbox o altre strutture che si trovano in uno skatepark. Procedo facendovi passare sopra sia me che i miei amici muniti di skates, dirigendo l’azione. Oppure utilizzando la tavola come pennello. Sono due approcci fisici sulla tela. Il primo più casuale il secondo più controllato. Mi interessa trasmettere una certa eleganza e raffinatezza attraverso azioni “ruvide” e brusche. Solo successivamente procedo contaminando questi fondi segnati con elementi figurativi, dipinti ad olio (esempio stickers di uno skateboard brand, nature morte, paesaggi), alla ricerca di nuove geometrie e geografie formali. Sono sempre stato affascinato dall’interazione tra figurazione ed astrazione. Lavoro a “Layers”: ogni livello rappresenta un soggetto o tecnica diversa che si sovrappongono e a volte intersecano, anche le cancellazioni creano ulteriori piani, che lascio cancellati o diventano delle basi per ulteriori livelli di pittura. Il lavoro finisce solo quando sento di aver trovato il giusto equilibrio formale lasciando spesso al risultato uno spiraglio di incompletezza, di irrisolto.Il contrasto di tecniche e significati è puramente evocativo e visionario e lasciato libero ad interpretazioni e chiavi di lettura. Procedo in direzioni opposte, opero attraverso intenzioni contrarie, non mi delineo in correnti specifiche. Elegante/ruvido, lento/veloce, natura/urbano, geometrico/informale, figurativo/astratto.

c) La più grande fonte sono le mie passioni e l’esperienza quotidiana. Una ringhiera segnata dai “grind” degli skaters può ispirarmi quanto un ramo di quercia in giardino. Ho studiato molta pittura, soprattutto negli anni seguenti al mio diploma in accademia, dove ho cominciato a lavorare molto sulla composizione di immagini a “layers”; metodo in parte ereditato dalla New Leipzig school (Neo rauch, Matthiasweischer, e altri esponenti). Questi pittori sono stati i primi ad avermi stimolato e spinto ad indagare sempre nuove possibilità per la figurazione ancora oggi. L’utilizzo di tromp l’oeil, l’idea di finestra sulla finestra, il carattere sospeso ed enigmatico del mio lavoro trae le sue radici dal surrealismo di René Magritte; chiaramente con un altro immaginario, formalità e pretesti diversi. In realtà ci sono molti artisti, di cui ho studiato il lavoro, che anche solo in minima parte mi hanno influenzato. Negli ultimi anni vedo più mostre di pittura, contemporanea e non, rispetto ad altri linguaggi che seguo sempre ma in maniera più marginale. Per questa mostra ho dedicato una serie di lavori tra scultura e pittura inspirati a Jacopo Pontormo, da sempre affascinato alla pittura tra il Quattrocento e il Seicento. Dai vari social oggi si può seguire il lavoro di ogni artista possibile, soprattutto su instagram, purtroppo o per fortuna è la fonte più diretta e immediata per scoprire e seguire il lavoro degli artisti e delle istituzioni che gli ruotano attorno, li reputo inoltre piattaforme di confronto, nonostante questo non ne ho mai fatto un uso regolare.

d) La musica ha un forte impatto sul mio umore e sulla creatività, è inscindibile dal processo creativo, costituisce una vera e propria dipendenza psicologica. Ci sono diversi aspetti che legano la mia ricerca pittorica alla musica. La cultura skate, rappresenta una vera e propria sottocultura, nasce vicino al punk e al rock ma con il passare degli anni abbraccia sempre più generi come l’hip-hop, il rap (più classico), l’elettronica (elettronica sperimentale), la new wave, metal, drum n’bass…) e altre tendenze musicali underground. Allo stesso modo, pur avendo radici più vicine all’hip-hop, (da adolescente rappavo e facevo graffiti) mi sono aperto a quasi tutti i generi musicali, con una predilezione alla musica rap, al jazz, ed un certo tipo di elettronica underground. Considero questo momento storico in cui siamo saturi di nuove scoperte, un momento dove il musicista può appropriassi di più generi e creare un mash up attraverso sonorità diverse, anche opposte se vogliamo. Questa è una tendenza, una necessità che risente anche nella pittura. Mi sento come un mixer, un miscelatore non di suoni ma di forme e stili diversi, che collidono nello stesso spazio di rappresentazione.

Il tempo di azione durante la produzione non ha assolutamente un ritmo continuo. Ogni intervento possiede tempi diversi, ed associo generi musicali più consoni al tipo di azione che svolgo. Le azioni brusche, e ripetitive dello skate sulla tela vanno più a tempo con musica ad alto BPM come drum’n bass, Dubstep e altri tipi di elettronica. Quando mi trovo a dover cercare nuove soluzioni o cambiare direzioni all’opera necessito di musica più riflessiva, senza parole e possibilmente lenta. Durante le fasi meticolose del lavoro, ad esempio nei soggetti che dipingo ad olio, quando la mano comincia ad andare da sola mi accendo della la musica classica o del jazz fino a che non finisco. La sera quando sono stanco, amo sedermi di fronte all’opera accompagnato da musica psichedelica, che trovo adatta alla contemplazione e all’analisi dell’operato.

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Thomas Lange

a) Esiste un tema prima! Quando vedo la tela (bianca) dimentico ogni pensiero e casco nel mondo di colori e strutture: la muffa nella cantina di Leonardo, gli affreschi (rovinati e sbiancati) di Pontormo nel chiostro della Certosa di Firenze o i Graffiti sulle mura di Kreuzberg a Berlino.

b) Voglio sorprendere me stesso e gli spettatori, creare un’immagine e pittura come se scaturisca da se stessa. La mia pittura non ha regole o sistemi (oltre le esperienze). Nelle mie opere governa l’emozione che combatte il contenuto (riconoscibile).

c) Musica! Tutta! Ma sempre di più Richard Wagner (Parsifal)!

d) Il rapporto tra musica e pittura è semplice e complicato nello stesso momento. La pittura contiene dentro se stessa un tono/clangore. (Non funziona quasi mai intervenire in una mostra di arte visiva con la musica). Se dovessi creare una gerarchia (assurda!) tra le discipline artistiche vincerebbe la musica (come espressione più ‘divina’). L’origine dell’arte è anche la paura. La vita potrebbe essere solo un esperimento che finisce con la morte. La speranza di liberare l’anima (che non si vede ma si sente) è la musica. La musica è in grado di visualizzare il miracolo. La trascendenza della musica ha bisogno della trasparenza della pittura che crea la riproduzione del volo della musica e realizza l’interno invisibile.  Vicino si trova la scultura, che stabilisce la fragilità di questa costruzione (poetica) con la terza dimensione. La vita è un’opera!

Gruppo MAGOG