12 Gennaio 2023

“Ho abitato l’ombra di Kafka”. Le poesie di Jiří Langer

Doveva apparirgli come uno spiritato, un ispirato – uno spirito buono, sia chiaro, qualcosa tra l’angelo e il monello. Quando Jiří Mordechai Langer incontra Franz Kafka, tramite Max Brod – autentico ‘puparo’ della scena culturale praghese –, ha 19 anni, ha ripudiato il proprio tempo per l’arbitrio di un mondo leggendario, tra le brume dei sapienti ebrei, i Chassidim. A Kafka incuriosivano le storie che provenivano dalle fosche periferie dell’Europa orientale, da quei paesi smunti, microscopici, che vivevano nell’eterna glaciazione del tempo – in un incanto, per dirla con Langer. Langer raccontava, Kafka prendeva appunti, pio scriba, sul suo diario. Se per Kafka quelle storie – dal misticismo sconvolto – corroboravano la costruzione della propria autarchica mitologia letteraria, per Langer erano parola di vita: il ragazzo viveva quelle leggende, letteralmente, al di là di ogni letteratura. Quando si conobbero, Kafka aveva scritto La metamorfosi e alcuni dei suoi racconti più belli: Davanti alla legge, ad esempio.

Jiří Langer, o meglio, Georg Mordechai Langer, era stato sedotto dal Rebbe di Belz. “Sul viso espressivo risplende, appena riconoscibile, un distaccato sorriso di saggezza divina. Non so quanto tempo sia durata l’apparizione. Ma abbastanza per sconvolgermi”. L’esito dei suoi viaggi “nel regno dei Chassidim”, nell’Oblast’ di Leopoli, a Belz, nell’attuale Ucraina, al confine con la Polonia, è registrato in un libro che ha il fervore della veglia magica, va letto mentre si danza, Le nove porte. Il libro, pubblicato nel 1937, tradotto qua e là – in Italia lo stampa Adelphi – è l’opera matura e più bella di Langer, ingenua e genuina:

“Un esploratore che si apra un varco in una fitta foresta, insufficientemente armato, non è più coraggioso dell’uomo che decide di penetrare nel mondo chassidico, in apparenza oscuro, e fin ripugnante nella sua stranezza”.

Sionista, Langer scampò all’imperio dei nazisti: nel 1939 si mise in corsa per la Palestina. Uno dei suoi fratelli, Josef, preferì uccidersi. L’altro, il più grande, František, scrittore per il teatro, che aveva servito durante la Prima guerra e fu impegnato nella Seconda come brigadier generale dell’esercito cecoslovacco, descrive in questo modo la fuga di Georg:

“Trasognato come sempre e in tutto, non s’era preparato adeguatamente per quel viaggio. Aveva riempito le valigie dei libri più cari, ben duecento, senza curarsi di prendere con sé indumenti caldi e provviste. Soffrì il freddo e la fame più degli altri e la sua polmonite si complicò ben presto con una grave infiammazione ai reni. Quando infine lo trasbordarono sulla nave di soccorso, era allo stremo delle forze… Tutti gli volevano bene”.

A Tel-Aviv, dove si era radicato, Langer incontrò il vecchio amico Max Brod, consolidarono un legame tra esiliati e sognatori. Langer morì nel marzo del 1943. Kafka era morto quasi vent’anni prima. Pochi mesi dopo che si erano conosciuti, nel 1915, Langer, con l’entusiasmo del fanatico, aveva costretto Kafka a Žižkov, alla periferia di Praga, “dove il Rebbe di Grodek con i suoi seguaci consumava un pranzo sabbatico”. Kafka ne scrive, il 14 settembre, sul suo diario:

“Sabato con Max e Langer dal rabbino dei miracoli. Molti bambini sul marciapiede e su per la scala. Una trattoria. In alto tutto buio, qualche passo alla cieca, tendendo le mani. Una stanza con un pallido barlume, pareti grige, alcune piccole donne e ragazze, fazzoletto bianco in testa, visi pallidi, piccoli gesti. Impressione di un mondo esangue… Il rabbino si distingue per la sua natura profondamente paterna. Tutti i rabbini hanno l’aria spiritata, dice Langer. Questo porta il caffettano di sera, di sotto al quale spuntano le mutande. Peli sul naso. Berretto con l’orlo di pelliccia che egli sposta continuamente. Sudicio e pulito: particolarità di chi pensa intensamente”. 

Kafka era più grande di dieci anni di Langer, ma agli occhi del ragazzo appariva giovanissimo, appena nato, come gli angeli. A Kafka non interessava il mondo ebraico, ma la lingua ebraica – perché il mondo è nel canto. Nel 1917 decise di imparare l’ebraico: chiese al giovane Langer di aiutarlo. Imparò in fretta, con rapace rapidità. Langer, in cambio, gli chiedeva di correggere le sue poesie. A Kafka non piacevano: immagini troppo sgargianti, simbolismo eccessivo, la Bibbia mescolata ai toni di un poeta pompier o – peggio – decadente. In uno dei suoi versi, Langer immagina “flotte di Hashmalonim che danzano come uomini, ubriachi di ricordi eterni”. Secondo il Sefer Yetzirah, libro cruciale dell’esoterismo ebraico, gli Hashmalim sono una classe di angeli. “A K. non piacciono gli scrittori verbosi, dalle espressioni eccessive, strateghi nell’uso di parole rare”, scrive, a mo’ di monito, Langer.

Nel 1929 Langer pubblicò le sue poesie in ebraico come Canzoni liturgiche sull’amicizia. “Si esprimeva in un linguaggio biblico purissimo”, ricorda il fratello, “è interessante il fatto che il suo fu il primo libro di versi ebraici stampato nella vecchia tipografia degli ebrei di Praga dopo una pausa di un secolo”. Nel 2014 queste poesie sono state tradotte da Guernica, negli Stati Uniti, come Poems and Songs of Love, a cura di Elana e Menachem Wolff: da lì è tratto il ciclo che qui si presenta in prima traduzione italiana. Due testi, “All’amico” e “In morte di un poeta”, sono dedicati a Kafka.

Il 17 febbraio del 1941, su una rivista di Tel-Aviv, “Hegeh”, Langer scrive Qualcosa su Kafka. Il testo è il tributo a un’amicizia sgargiante e remota – “sono stato fortunato: ho abitato l’ombra di Kafka” – redatto secondo i criteri dell’agiografia kafkiana. K. appare “enigmatico”, dotato di “una personalità grande e illuminante”, “era impossibile sondare le segrete della sua anima”. Kafka, racconta Langer, collezionava libri dei poeti dell’antica Cina: tra tutte le versioni, preferiva quelle in francese, a cura dell’orientalista Franz Toussaint. Disse a Langer di leggere, ogni giorno, una poesia di Li Po o di Tu Fu, “un cervello non può sopportarne più di una alla volta”, e di imparare da quel candore.

Quando Langer gli mostrò il reportage di un avventuriero che aveva attraversato a piedi, da solo, uno dei crudi deserti d’Israele, Kafka ne fu affascinato. “Gli aspetti negativi di quel viaggio, i momenti di sconforto e di dolore, perfino le descrizioni repellenti lo entusiasmavano… era un uomo insolito”. Forse la poesia è levitare tra i deserti, verso un Oriente immaginato per malinconie, fino al sangue, nel dormiveglia. Una rinuncia a bere, in fondo.

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Una visione

Come un uomo che si desta di notte, il cuore nei meandri di un incubo,

così mi risveglio dall’intontimento della vita, ed ecco:

il creato è inabissato in un incanto

in cui tutto agisce per necessità

la ruota gira, il tempo sfuma.

La terra e ogni cosa sono in uno stato di sonnambulismo:

il verde della valle, le montagne, l’acqua, l’aria.

Il lampo intaglia il cielo, la potenza di Dio

si riverbera nel tuono e sulla terra tutto dorme.

L’intero universo è nel dormiveglia: il ronzio dell’ape nei campi

gli uccelli che cinguettano nel bosco, ne resta il calco, l’eco.

Nel sonno si alzano le nazioni, mormorano dal letargo, cadono nell’incanto.

Ogni atto dell’uomo accade nel sonno, il cuore vive sonnambulo.

Alcuni affrettano il risveglio: profeti,

maestri di misteri, bardi, filosofi – ma tutto è invano;

dal responso del riposo non c’è fuga.

Anche sul libero arbitrio è decretato il sonno

perché è contro la nostra volontà.

Ancora una volta ho spalancato le pupille, come un grido:

il creato assomiglia a una partoriente.

Urla perché il dolore è terribile, come una madre rotta dalla disperazione:

l’angelo Gabriele, in piedi, ruota il forcipe ardente.

Estrae dal suo grembo il frutto dell’oscurità, fino al nodo del gridare,

ma il feto non può uscire, è troppo grande.

Così, il creato sguazza nel suo sangue, ruggisce come un leone

per un dolore che nessuno può sanare.

*

Morte interiore

(Canto sui toni dell’Est Europa e delle Lamentazioni)

Il sole è al tramonto
estremo
crepuscolo
di una sera di primavera –
tutto termina, sfugge.
Il silenzio si è fregiato della stola
delle tenebre, spiega le ali sul giardino.
Cupa tristezza, mia sola compagna, che non tradisce
sono il viandante
oltre il chiasso della città clamorose.
La luna distilla la sua magia
in un mormorio tra gli alberi
l’usignolo, lontano,
intona un canto doloroso tra le rose.
Continuo a vagare, inabissandomi nel grembo della notte.
Silenzio sopra ogni cosa –
il fruscio dell’albero è cessato,
il cinguettio dell’usignolo
svanisce
come muore nell’intimo
il cuore dell’uomo –
non osi tremare
per l’amore segreto
l’amore
che muore.

*

All’amico

Come le nuvole si disperdono in cielo
e il ceruleo occhio di una stella fissa la terra
così sei apparso al tuo servo insolito:
il suo cuore è disperato e ignori che la causa sei tu.

Sei flessibile come una pianta
e la tua giovinezza semina braci
nei tuoi occhi fidati Dio ha impresso
il marchio della sconfinata profondità
dolore che si compie in docile segreto –

Come una corda d’arpa la mia anima
vibra, le onde del canto si versano
su di te: con il canone della quiete
hai dissigillato il freddo eterno
che mi stava distruggendo –

Di continuo ritorno all’ora della nostra
felicità: la notte in cui abbiamo percorso
quella strada e mi hai messo il braccio sulla spalla
il ricordo – sviato dalle nebbie – di una
favola antica che sfilaccia il cuore:

l’amicizia di due compagni
che si abbracciano con gioia
e in quell’ebrezza furono
elevati silenziosamente
nei mondi superiori,
nei reami della risposta
dove la luce e l’amore sono per sempre.

Jiří Mordechai Langer

Gruppo MAGOG