Secondo il mito Clizia è una ninfa che si innamora del Sole, tanto che “il suo amore per il Sole era sfrenato”. La passione verso l’entità irraggiungibile strugge Clizia finché la ninfa, come narra Ovidio nelle “Metamorfosi”, si trasforma in girasole, il fiore che si muove guardando l’astro che nessun occhio umano può vincere né sostenere. “Malgrado una radice la trattenga, sempre si volge lei verso il suo Sole e pur così mutata gli serba amore”. Clizia, figura terrena dell’amore solare, sfrontato e immutato, viene ripresa da Eugenio Montale, in una delle sue liriche più belle, “La primavera hitleriana”: “Guarda ancora/ in alto, Clizia, è la tua sorte, tu/ che il non mutato amor mutata serbi”. Questa è la ragione del titolo che abbiamo assegnato a questa rubrica, ‘Clizia’: la bellezza in ogni sua variante, la solarità di un viso, ci portano al concetto di un amore immutabile, che non cambia mentre ogni forma, preda del divenire, morsa dal tempo, inevitabilmente muta. L’amore che non muta è ciò che permette all’uomo, tramite la visione di una forma vana, di vincere la morte.
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Non ha possesso di aggettivi, la bellezza – ti spaura, rende neve ogni verbosità, tramuta la lingua in chiodo e i denti in binocoli. Guardando Sarah Parmeggiani – una bellezza, credi, che è negli occhi in grado di pietrificare i millenni, o nelle labbra, sospese in un assenso alla luce – pensi di poterne assumere il destino decrittando la scritta tatuata sul suo fianco sinistro. Pensi che basti modificare le parole, alterare l’ordine grammaticale di una frase, per bere una vita. Ma la bellezza altera i vocabolari, denuncia l’assenza di un grammatico di genio. Di Sarah, per altro, milanese, cresciuta fin da piccola a Rimini, sorprende la personalità, il carisma, il viso che come una spada seziona i giorni. Bellissima, va da sé, ma soprattutto, ci dice, “determinata, testarda e ambiziosa, ma anche molto curiosa”. Sarah si fa notare nel mondo delle fiere e delle discoteche, ma “non ho mai voluto essere considerata solo per il mio aspetto esteriore, per me il complimento più gradito è sei intelligente”. Non è una frase usata con falso pudore: Sarah ha lavorato nelle discoteche della Riviera romagnola per pagarsi gli studi, si è laureata in Architettura con specifica in Ingegneria edile, “ho comprato casa, ho preso il brevetto da Personal Trainer e lavorato in palestra, ho aperto la mia agenzia di comunicazione e grafica pubblicitaria (e disegno persino linee di abbigliamento), curo anche una rubrica di design e architettura per un noto magazine on line”. La fierezza di Sarah la combaciamo alla poesia miliare e ‘militare’ di Amelia Rosselli, di allucinata potenza:
Ho distinto tra la vostra morte e la mia:
la mia non ha spazio: ha divisioni
speciali per chi marca il passo.
Ho varie volte deciso
di non dar ascolto agli indecisi!
dissembrare le mie manie
fare di me stessa un algoritmo, un’alga marina
i miei resti
in un albergo stanziato dai più poveri.
Al sorgere di un sole puntiglioso
hai distinto dal tuo distinguere
desideri nascosti tra le braccia
una precisa agonia
nell’erba sminuirsi questa agonia
sciupa il nodo della questione.
La poesia è tratta da Documento (Garzanti, 1976); di “consapevole complessità di questa esperienza artistica” scrisse Giovanni Giudici. La bellezza se è tale, è complessa: va eseguita con profonda esegesi nell’arco di una vita. Sarah è, consapevolmente, una bellezza complessa, sofisticata. “Credo sia la vita a renderci combattenti, o forse il semplice bisogno di non sedersi e di non ‘accontentarsi’, in un mondo dove tutto corre velocemente e si perdono di vista i veri valori dobbiamo cercarli e costruirli noi”, ci dice. La bellezza è un combattimento, in effetti.
*Le fotografie sono di Antonio Tonti
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