La nostra società, battezzata dal filosofo Zygmunt Bauman, liquida, sembra essere caratterizzata da individui liberi, che, come i liquidi appunto, si muovono con estrema facilità, cambiando forma in continuazione, a differenza dei solidi. Una società dove apparentemente tutto è possibile, ma dove in realtà nulla è possibile e men che mai è possibile essere liberi. Perché? La letteratura ci viene incontro, dandoci qualche risposta e spronandoci a fare ciò che oggi sembra essere diventata la cosa più difficile: essere creatori della propria, e sottolineo propria, realtà.
In questo caso ho trovato interessante presentare un dramma teatrale ad opera di Maksim Gorkij: Bassifondi o “L’albergo dei Poveri”. Fermo restando che alcuni punti e spunti sono tratti dalle lezioni di Dmitrij Bykov, scrittore russo, giornalista, poeta e insegnante, di cui abbiamo già avuto modo di parlare, il resto è l’inevitabile conseguenza di un pensiero libero stimolato dalla letteratura.
Chi era Maksim Gorkij? Egli descrive se stesso come un essere freddo, cinico. Conosceva bene l’odio, il disgusto. Lo assillava l’enigma del perché non provasse compassione per le persone. Non solo, riteneva di non avere nessuna barriera morale: avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, senza nessun rimorso di coscienza. Insomma, uno scrittore crudele. La sua ideologia socialista evidentemente nasce dalla ribellione all’ingiustizia e dalla sua stessa emarginazione.
Nacque a Nižnij Novgorod nel 1868. La sua fu un’esistenza molto difficile, soprattutto durante l’infanzia: il nonno, grande lavoratore, indurito dalle difficoltà, dopo che il ragazzo ebbe perso padre e madre gli disse: “Io non ti posso appendere al collo come una medaglia, vai nel mondo”. Così Gorkij, che non aveva ancora dieci anni, imparò a vivere da sé. Fece di tutto: il calzolaio, il tipografo, il giardiniere,lo scaricatore di porto… Fu su un vaporetto di linea sul Volga, in veste di sguattero che, animato dal cuoco di bordo, si innamorò dei libri e della lettura. Scriverà: “Prima di conoscere quel cuoco avevo odiato i libri e tutta la carta stampata”.
Esordì con un racconto nel 1892, fino a pubblicare nel 1898 i suoi racconti in due volumi, fino a diventare a 30 anni uno degli scrittori più famosi di tutta la Russia. Non solo: venne considerato un cronista del suo tempo e il sostenitore della causa rivoluzionaria, forse per quella sua prosa semplice, senza retorica, conscio che le sue difficoltà e le difficoltà dei suoi personaggi, sono quelle di tutti.
Dopo i primi volumi di racconti del 1898, ne pubblicò un altro nel 1899 e nello stesso anno scrisse due drammi: Piccoli borghesi e Bassifondi, rappresentati nel 1902. L’approdo al teatro, più che per questioni finanziarie (il dramma poteva essere rappresentato più volte, mentre non si potevano sfornare libri ogni giorno) e dall’influsso del matrimonio con un’attrice, si spiega anche con un altro fatto. Gorkij non era un buon drammaturgo, al contrario. Nonostante fosse un ottimo narratore, in una commedia non riusciva a organizzare le parti sceniche. E allora perché non scrivere un romanzo o un racconto? Perché in una scena passa quel qualcosa che non può passare attraverso la prosa: l’intenzione del personaggio, cosa lo spinge a fare questa o quell’azione, cosa gli passa per la testa. Bassifondi era perfetto per incarnare questo mistero.
Bassifondi è una commedia ambientata in un dormitorio pubblico. I personaggi sono più o meno tutti compresi nella categoria “poveri, delinquenti, ubriaconi, disagiati, disoccupati”. Quando Gorkij fece leggere le prime pagine del suo dramma a Tolstoj, di cui era molto amico, Tolstoj l’apostrofa dicendo: “ma perché ti imbatti in simili porcherie? A chi dovrebbe servire questo cosiddetto ‘realismo’? Perché ti incaponisci a descrivere questi disgraziati, ubriaconi, questi poveri malati, provi forse piacere a crogiolarti nella miseria, a centellinarla in tutti i suoi dettagli?”
Fu a causa di questa osservazione, per la quale Gorkij si offese un tantino, che in Bassifondi compare il personaggio di Luka.
Chi è Luka? Luka è un vecchietto molto furbo, senza passaporto, probabilmente un vagabondo, non si capisce da dove arriva e perché capita in quel dormitorio, forse per omicidio. Il suo atteggiamento è strano (non si capiscono le sue intenzioni, il suo comportamento non è spiegabile). Si interessa di tutti, presta a tutti consiglio e attenzione, consola, dice la parola giusta allo scopo di rasserenare, tranquillizzare.
Nei confronti di Anna, per esempio, una povera donna picchiata vita natural durante dal marito e ora tisica e in punto di morte, Luka si comporta come del resto farebbero tutti e, forse, non a torto:
Anna: Nonnino… tu mio caro… se così fosse… se io lassù… trovassi un po’ di pace… e non sentissi nient’altro!
Luka: Nient’altro sentirai! Non ci sarà nulla… Credilo! Puoi morire senza paura; la morte, ti dico, è per noi come una madre pei suoi bambini…
Anna: Ma… forse… io potrei guarire…
Luka: (sorridente). Perché? Per aver nuovi tormenti?
Anna: Nondimeno io vorrei… vivere ancora un pochino… un pochino solo… Se lassù non ci sono sofferenze, potrei anche sopportare un altro poco qui…”.
Questa conversazione è emblematica del fatto che a Luka, nonostante le belle parole e la gentilezza, del prossimo, sembra non importargliene molto. Non solo. Sembra consideri il prossimo, con il quale si imbatte in questa dimensione di poveri e alcolizzati, solo come un essere sfortunato, di cui avere compassione, da aiutare.
“Luka: Veniva tutta sola lungo l’atrio appoggiandosi alla parete e gemendo continuamente. Perché la lasciate sola, là fuori? Si può mai essere così leggeri verso una creatura umana? In qualunque stato sia ridotta ha sempre il suo valore!” Frase che forse intende esattamente il “non valore” di quella stessa creatura”.
Luka in un certo senso è Tolstoj. Gorkij, secondo il nostro Bykov, era convinto che la concezione di vita di Tolstoj fosse quella di rasserenare e non di descrivere la realtà per quella che è. Indubbiamente Tolstoj ha saputo raffigurare la Russia meglio di chiunque altro nel panorama letterario, per Gorkij invece, egli ebbe semplicemente paura della vera arte! Ovvero, Tolstoj, nei suoi romanzi, avrebbe sempre creato delle situazioni rasserenanti e consolatorie; citava spesso Marco Aurelio riguardo al fatto che l’uomo è libero anche nei momenti peggiori, che la vera svolta accade dentro di noi e non grazie alle circostanze sociali. Secondo Tolstoj l’uomo si trova in una condizione di eterno bisogno: ha bisogno di consolazione, supporto morale, da solo non si regge; l’uomo è carnale, vanaglorioso, per cui necessita essenzialmente di tre cose per rientrare nella norma: la famiglia, l’arte (anche se quest’ultima non a tutti viene donata) e la fede. Probabilmente Tolstoj non crede nell’uomo. Per questo a volte, come ben ci dimostra il personaggio di Luka, diventa necessario creare delle circostanze affinché la realtà si mostri benigna, e non faccia precipitare l’uomo nella più completa disperazione. Perché in effetti la domanda che trapela dai personaggi di questa commedia è la seguente: l’uomo ha veramente bisogno della verità? È in grado di sopportarla? Oppure ha bisogno di venire a patti con essa, creare una situazione in cui sia possibile conviverci? Creare delle situazioni in cui è più accomodante sperare, in cui è più accomodante una pacca sulla spalla perché il sano e buon sacrificio prima o poi verrà ricompensato?
“Luka: La verità non è mica sempre buona, per la gente… Non sempre si può curare l’anima, con la verità… Per esempio, senti questo caso: io conoscevo uno che credeva al paese dei giusti… Ci deve essere, in questo mondo, diceva, un paese dove ci sono i giusti… in quel paese abitano genti d’un genere speciale… uomini buoni, che si rispettano a vicenda, e s’aiutano reciprocamente, dove possono; laggiù tutto è buono e bello. Quell’uomo, dunque, voleva sempre andare in cerca di questo paese dei giusti… era povero, gli andava assai male… e sebbene sentisse che era così malridotto che altro non gli restava che sdraiarsi e morire… non si perdette mai di coraggio, anzi rideva spesso fra sé e diceva: Non importa… lo tollero… Aspetto ancora un pochino, e poi mando all’inferno questa vita e vò nel paese dei giusti… Tutta la sua gioia era questo paese dei giusti. Quest’uomo allora andò da un dotto: Dimmi per piacere, dove si trova il paese dei giusti? E come si potrebbe andarci? Il dotto aprì i suoi libri, le sue carte geografiche… ma guarda, guarda, il paese dei giusti non lo trovava in nessun posto! Tutti i paesi erano segnati, solo il paese dei giusti, no! L’uomo… non ci vuol credere… ci deve essere, diceva, cerca per bene; se no… tutte le tue carte… e i tuoi libri non valgono un centesimo, se non c’è segnato il paese dei giusti! Il dotto si sentì offeso: le mie carte, rispose, sono complete, e un paese dei giusti non c’è in nessun luogo. – Allora l’altro ci si arrabbiò. – Come? disse, io ho vissuto e vissuto, tollerato e pazientato, e sempre creduto che quel paese ci fosse!… e secondo le tue carte non c’è! Questo è un furto!… e disse al dotto: Essere inutile, tu sei un mascalzone, non un dotto! e gli dette uno scapaccione, e poi un altro… (Tace un istante). Poi andò a casa e… s’appiccò”.
Isabella Serra