02 Ottobre 2023

“A caccia di gioia!”. Patrice de La Tour du Pin, il recluso della poesia

Ancora nel 1961 la “Treccani” ne parlava come di un recluso – “Vive una vita molto raccolta e solitaria” – come se questo isolamento, questo stare ‘raccolti’ – fare raccolta di sé – fosse la matrice del suo carisma. Avendo molto, Patrice de La Tour du Pin si è tolto tanto, ha percorsa l’ardua via, la nobiltà dell’annientamento. Ha scelto di regolare i conti tra sé e il cosmo secondo la formula del romitaggio interiore. Poteva permetterselo. Nato a Parigi nel marzo del 1911 da famiglia aristocratica – la madre discendeva da Condorcet, era marchese per lignaggio paterno –, perse il padre da bambino, all’inizio della Prima guerra, schiacciato durante la battaglia della Marna. La poesia, in qualche modo, lo divorò da subito, esasperando il carattere del ragazzo, pronto a vaste scampagnate nella Loira, dalla dimora a Le Bignon-Mirabeau, la tanto amata, a un atteggiamento costantemente verticale, all’assalto di invisibili belve.

La fama – senza mediazione né meditazione – lo colpì, per così dire, nel 1933. Il ragazzo pubblica per le éditions de la Tortue La Quête de joie; il testo ha l’anomalia dei gesti precoci, predatori: il poema secondo i diktat di Claudel si sfascia, si imbestia, si fa più schietto, netto, prepara la caccia a René Char. La Tour du Pin si mostra, già, come un estraneo, un lebbroso agli occhi della società poetica del tempo: non appartiene ad alcun club, ad alcuna ‘riva’ se non alla propria. Jules Supervielle propone, senza successo, il manoscritto del giovane poeta alla “NRF”, che lo rifiuta; nel 1939, rinsavito, Gallimard pubblicherà il testo nella collana ‘Blanche’. Inaspettatamente, Patrice de La Tour du Pin riceve incoraggiamenti dal più ferino e irritabile degli scrittori francesi, Henry de Montherlant, che gli scrive, nell’aprile del 1934, riconoscendo in lui le stimmate dello straniero al proprio tempo:

“Signore, lei è senza dubbio un poeta e di primissimo interesse vista la giovane età, causa, mi pare, di certe goffaggini nel verso, ma aperto a un futuro che le consentirà la piena padronanza della sua arte. Lei è un originale. Conosce i metodi per creare l’atmosfera lirica. La sua poesia è piena di mistero. Ogni suo testo non pone un problema per l’intelligenza, secondo i toni di Valéry: è un enigma per la sensibilità e il sogno”.

Diciottenne, Patrice de La Tour du Pin traccia il primo rudimentale progetto di una costruzione poematica gigantesca: si chiamerà “Un somme de poésie”, verrà realizzato per Gallimard dal 1946 per poi essere raccolto in tre tomi, miliari, tra il 1981 e il 1983. Secondo il canovaccio riferito in un testo edito da Plon nel 1938, La vie recluse en poësie, sono per lo più assenti le rilevazioni biografiche: il poeta sceglie la vita nei meandri della poesia, da mandriano dell’io, opta per la vita nascosta, la vita obliata. Non vuole fare di sé un ‘personaggio’, i lavori ‘di gruppo’, le passioni metropolitane lo distolgono dalla veglia al capezzale capostipite del verbo.

Mobilitato durante la Seconda guerra, viene arrestato dai tedeschi: nell’Oflag IV-D, situato a una cinquantina di chilometri da Dresda, resta tre anni, continuando a scrivere, ogni giorno, compilando il proprio rosario di afflizioni e affiliazioni verbali. Ritornato dalla guerra, sposa la cugina, Anne de Bernis Calvière, che gli darà quattro figlie, e prosegue una vita improntata alla latitanza dal clamore mondano.

Lo attrae l’innografia sacra, il linguaggio della preghiera, che coagula l’albero alla stella: la sua poesia creaturale cede a Dio – con quale lingua (mozza, mostrificata, umiliata al legno, a distillio d’olio, si parla a Dio?); la levigatezza del poeta si apparenta ai tratti del Beato Angelico. Il salterio di La Tour du Pin comincia a comporsi nel 1938, per trovare piena realtà nei Psaumes de tous mes temps (Gallimard, 1974). Non esiste poeta del Novecento che con la stessa costanza abbia frequentato la liturgia, dettando preghiere:

“Tu non sei il Dio che blocca gli assalti: chi vuole predarti viene predato. Inutile è il mio lamento. Ma tu non sei un Dio triste, la tua Notte brucia di gioia”

“Cosa cerchi gettando il tuo cuore nella notte? Dove corri a testa bassa? Il giorno promesso a chi ha accolto la Luce, Iddio che incendia le tenebre nel suo incedere”

“Per lui tutto è genesi, genetica del principio eterno: i nostri giorni invecchiano verso la giovinezza perché Lui sorge ad Oriente, rinasce di continuo, regge un inno meravigliato dall’inizio del tempo”

I suoi canti liturgici vengono messi in musica da Didier Rimaud e Joseph Gelineau. “L’opera di chi ha scelto volontariamente di vivere come un ‘recluso della poesia’, si sviluppa secondo un’intuizione giovanile: dire la leggenda, svelare la lode nel mondo che soffre”, scrive Isabelle Renaud-Chamska. “Amava ‘vedere i pivieri accoppiarsi nella neve’, come ha scritto, esplorare i paesaggi interiori con la stessa costanza con cui si avventurava tra boschi e paludi. Amava la vitalità e il mistero della natura. In quella profusione violenta di vero cercava la Gioia, che scopre sconfinare in Cristo. La poesia dà corpo verbale alla segreta bellezza del mondo, abitato dalla potenza creatrice di Dio… Ascoltando con passione la generazione sedotta dall’ateismo, guidata dai maestri del sospetto, La Tour du Pin lanciò instancabili appelli ai contemporanei, che si unissero a lui, a custodia del segreto della morte, della potenza della vita. Rinunciò a una poesia che considerava narcisistica, iniziando un proprio vagabondaggio nel deserto. La sua opera, monumentale, ha l’ambizione di stabilire ponti linguistici tra le diverse regioni del mistero dell’uomo… Dopo il Concilio Vaticano II, dal 1964, abbandonò la sua solitudine per recarsi a Parigi e partecipare alla creazione di testi che rinnovassero la liturgia della Chiesa cattolica. I suoi inni vengono cantati quotidianamente dai cattolici francofoni in tutto il mondo”.

In Italia, l’opera di Patrice de La Tour du Pin è pressoché sconosciuta, a parte una scelta dai Salmi di tutti i miei tempi (a cura di Gianfranco Poma, Glossa, 2015) e agli studi di Gabriella Fiori per l’editore Servitium: qui si offre in inedita traduzione il suo poemetto più importante (a cura di Maura Baldini) e alcuni inni dalla formula liturgica.

Il poeta muore a Parigi, nell’ottobre del 1975. La sua opera è costantemente ristampata; tale dismisura non aiuta il lettore, che ne esce disorientato. D’altronde, c’è chi vive la poesia con calore quotidiano e chi è poeta a momenti. Nel 2021 Gallimard inserisce La Tour du Pin in una stringata antologia di poeti ‘cristiani’, Le Sommet de la route et l’Ombre de la croix, insieme a Charles Péguy, Paul Claudel, Fancis Jammes, Jean Grosjean. C’è chi sceglie il deserto, chi fa di sé un deserto: a volte, al silenzio si giunge dopo aver esasperato il canto, pietre che stazionano tra le mani, la scintilla ha la forma di un leone.

***

A caccia di gioia

“Per ingraziarsi la gioia – disse, “Occorre partire”.
“A due a due, andare, per guardarsi dal male,
per selve, e per fiumi, e per tutti i sentieri
su solitudini di luce dischiusi;
la vostra sazia felicità della cenere ha già il sentore;
di notte e di giorno caccerete, fino alle frontiere
dell’anima dove mai avete osato ripiegare.
Nell’abisso dei loro ritiri, e fino al cielo della fine,
stranamente infestato, dovrete spingere
gli Angeli Selvaggi dell’eterna Festa,
fulgenti come gemme di bellezza.
E ora andate, in voi stessi le loro tracce sentirete,
tra le ombrose pendici dell’altro versante,
dove l’unico vento del Nord, tumultuoso,
in infiniti voli li insegue, verso il Sangue Prezioso.

Libratevi, allora, come uccelli rapaci,
verso queste paludi affogate nel fango e nella nebbia
e dopo la morte di un angelo scoprirete
tutta la gioia che un cuore inviolato può contenere…”

E così seguirono il corso delle grandi strade,
per sprofondare nei deserti, scossi qua e là, ignari,
dal vento folle e ferino dell’alto mare;
Diedero il segnale di levate senza luce,
da un capo all’altro del mondo una battuta trionfale,
quando le mute stanavano un angelo solitario
lontano dall’anima… Mai l’ultimo Hallalì
e la morte…
               S’incrociavano e si dicevano: “Evviva!”
Ma i loro sguardi amareggiati l’esultanza confutavano;
era la loro parola d’ordine: gli si stringeva il cuore!
A caccia di gioia! A caccia di gioia! E nell’angoscia,
sognavano di trovare le prodigiose pozioni
con cui si giunge per viltà al paradiso…

E di nuovo li incontriamo, che emergono dal cielo oscuro,
come predoni, pazzi che vagano per le strade,
soli, dopo aver abbandonato la muta dei cani,
che a morte ansimano nell’ombra;
hanno errato nei deserti della sofferenza,
nelle anime più fulgide e limpide,
nelle pianure ancora vergini dell’infanzia.
Nella povertà dello spirito, deliberata,
dove le vampate di Dio montano come onde,
e l’amor proprio si aggira come un lupo…

Così, nella scossa luminosa e brutale del disgusto,
l’angelo hanno abbrancato che ovunque divaga,
l’Angelus Communis, così triste e così piccolo,
che si lascia catturare senza dispiegare le ali;
ma non hanno rincorso quel grande angelo ribelle
che l’anima e lo spirito al suo passaggio scatena,
e il corpo sconvolge come una bufera…

Li aspettiamo ancora, ma sono scomparsi;
sono stati trascinati da torbidi mortali
in oscuri ritiri, dove i passi son smarriti.
Altri sono scesi nelle valli più vane,
altri, il cuore roso da inermi desideri,
alle sorgenti del Vero Sangue si sono avventurati;
ma sono morti d’amore, in fondo a quale impasse!
E quelli che tornavano, trascinando le conquiste,
sono stati travolti dalla grande tempesta
di dicembre, che tutto sulle vette agitava…

Morto di follia – in un burrone, a fine dicembre;
morto di freddo e vertigini – in punta d’abisso;
morto di febbre – in una palude, a fine dicembre;
morto d’orgoglio – così lontano, sulle altezze dello spirito
dopo aver ferito un angelo; morto in mare,
Mosuer, un eroe, un grande amico
dal vento sorpreso; e un altro, nell’aria folgorato,
così vicino alla luce che fu trovato cieco;
morto dovunque, Foulc, quasi arrivato,
la sua ferocia somigliava alla mia…

Morti! Hanno violato i remoti confini,
il cielo tutto gonfio di sole, che arde così triste…
                               A caccia di gioia, A caccia di gioia!

(Traduzione di Maura Baldini)

*

Amore che aleggia sulle acque
e le culla con il suo primo respiro
mentre le nostre anime dormono;
imparino un ritmo nuovo
che rifluisce da Cristo alla sorgente
per debordare tra gli uomini.

Tu sei la genesi di ogni istante
tu sei il vento che grida la nascita
all’oscura anima;
ci generi dall’intimo
ingeneri silenzio che fa trasalire
nel fondo di ogni creatura.

Tu sei la voce che geme
nel dolore del mondo
il nome del Padre;
ma sei anche il verbo
che offre ogni risposta:
amore di Dio che ricopre la terra.

Amore che aleggi, oggi,
vieni e smuovi le sepolte acque
dei nostri battesimi
riportaci alla vita
dalla morte di Gesù Cristo:
tutto è amore nell’Amore.

Patrice de La Tour du Pin e la moglie, 1943

*

Diteci dove soffia il vento
quale segno lo annuncia
e cercheremo il Dio vivente
per dargli risposta.

Sappiamo che arriverà
che la tavola è pronta
nell’intimo della notte:
le ombre non ci disperderanno.

Non è forse nel sole che si leva
che si sbriciola, offerto?
Dio, nostro Dio, si fa mendicante
e ci implora di vivere.

*

Salmo 4

Ascolto il canto della angeli
e aspiro alla loro purezza.

Mi fanno ridere i miei detrattori:
credono che mi vergogni della carne.

Eppure: dormirò solo per il resto
della vita? Il mio destino è la solitudine?

Il desiderio mi spezza i denti
le bestie selvagge mi assediano

voltano verso di me una fiumana di zanne
invadono i deserti della mia anima.

Non credevo che li destasse
la stessa necessità di carne.

Ho appena esplorato la mia solitudine
e le bestie mi incitano

a correre verso di te, inseguendo
quegli angeli vagabondi.

Chiedono soltanto la carità
di una mano, il sorriso di una donna.

No, non interrogo la carne:
ho paura di non saper amare.

*

Salmo 6

Infine: ho sognato di scrivere
la più grande preghiera del nostro tempo…

Questa ambizione mi tormenta di continuo
ma non ho diritto a una simile voce.

Mungitura di vocali contratte nella mia anima
verbi che provengono dal sangue e dall’amore

latrati casuali, laide richieste di grazia
l’eco di un volto appena accaduto.

Compongo una liturgia interiore
rivelo la legione che giace in me.

Se il mio sogno è ridicolo, Potente
cancellalo perché mi lacera.

Guidami in ciò che cerco:
la poesia è davvero una grazia?

Afferro le liete speranze
che sono più tenaci dei demoni.

Sete d’uomo s’infila ovunque:
sia la più intima la mia liturgia.

Devi ascoltare le grida degli altri:
svuotati perché la chiamata è comune.

Senti in quel grido il tuo lamento
donami il silenzio – soffocami.

Patrice de La Tour du Pin

Gruppo MAGOG