02 Aprile 2022

"Un germe di follia si annida nella razza umana". Il libro di Sylvia Iparraguirre per darci fuoco

All’inizio ci sono tre personaggi: il narratore John William Guevara (detto Jack), il destinatario inglese (un tale MacDowell o MacDowness) e il protagonista del racconto, l’indigeno Jemmy Botton. Tecnicamente queste tre figure saranno presenti per tutto il romanzo di Sylvia Iparraguirre La terra del fuoco (scritto nel 1998 e pubblicato nel 2001 da Einaudi, ora introvabile) ma a un certo punto finirete per dimenticarvene e sarete completamente risucchiati dalla storia di un uomo proveniente dalla terra del fuoco, dal leggendario Capo Horn, che un giorno venne strappato alla sua nudità da indigeno e educato a fare il damerino inglese, un uomo che molti anni dopo viene accusato del massacro di una intera nave missionaria inglese.

La terra del fuoco è un libro che mantiene un’apparenza delicata, una storia che si svolge ai confini del mondo conosciuto che ci giunge dopo più di un secolo dal suo accadimento. Una storia narrata dentro una lettera: Jack infatti racconterà la storia magica di Jemmy Botton attraverso una lunga lettera che dovrebbe giungere poi in Inghilterra a questo MacDowell o MacDowness. La scrittura stessa obbliga quindi a ricordare, a effettuare un atto di riordino della propria vita, a scavare nelle parole dette e in quelle invece taciute, a ritrovare nei gesti il senso del proprio stare nel mondo. Jack durante il racconto di questa storia permette a se stesso di riconoscersi, di assumere maggiore consapevolezza della propria vita; la scrittura quindi diventa dialogo, ed è solo nel confronto con un “tu” che noi soddisfiamo il primo bisogno dell’uomo: il bisogno di essere riconosciuti. La necessità di essere riconosciuti dal prossimo è una potentissima richiesta d’aiuto che deve essere soddisfatta: se siamo riconosciuti allora possiamo darci il permesso di esistere, veniamo visti, ci siamo anche noi. La storia di Jemmy Botton è anch’essa una richiesta di riconoscimento autentico; Jemmy è un indigeno della terra del fuoco, porta nel suo corpo tradizioni antichissime e una simbiosi con la natura, anche quella più impervia, a cui non si può sottrarre. Botton desidera essere visto per l’essere umano che è, inserito nel suo contesto originario. Un uomo che porta nei muscoli e nelle ossa il rispetto ancestrale per la vita di ogni creatura, sia essa umana, animale o vegetale.

Scrivere di ricordi è come inseguire animali in branco che fuggono terrorizzati: “Le parole sono come animali in branco che fuggono alla cieca, urtandosi l’uno con l’altro, inseguendosi l’uno con l’altro”. Per fare ordine è necessario fermarsi ogni tanto, procedere giorno per giorno, invertire i ritmi naturali, se necessario. Jack infatti comincerà a scrivere di notte e a riposarsi di giorno, la notte permette al lato lunare e femminile dell’uomo di emergere senza sconvolgere. Quando cala la luce le emozioni scavate nel passato escono dalla terra di sepoltura, si trasformano in fantasmi, i ricordi sono visioni nitide, sentiamo gli odori e il freddo delle onde del mare, siamo di nuovo dentro quella vita che avevamo quasi dimenticato. Riconosciamo di esistere, lo affidiamo alla scrittura.

Jack racconta che quando era bambino sua madre morì, il padre fino a quel momento non era quasi esistito, ne aveva quasi paura, non lo conosceva. Ma la morte della madre procura nel padre un moto di responsabilizzazione per quel figlio non riconosciuto, accade qualcosa allora. “Mise giù i piedi dalla branda e restò con lo sguardo fisso sul pavimento, la respirazione affaticava. Lentamente, alzò la testa e mi guardò. Era la prima volta che mio padre mi vedeva. Fu un riconoscimento lento, silenzioso e reciproco.”

Jemmy Botton aveva diciassette anni quando viene “catturato” da una nave inglese e portato poi a Londra per essere istruito, educato alla maniera inglese e indottrinato al cristianesimo. Jemmy Botton non è però il suo vero nome, gli viene affidato dal capitano della nave perché, nell’atto di essere strappato via dalla sua canoa, al capitano saltò un bottone, Bottom. L’indigeno non è stupido e il suo corpo è resistente, in lui si annidano migliaia di anni di segreti; è nato in una terra inospitale, dove per sopravvivere al freddo e ai venti gli abitanti della terra del fuoco non si coprono, stanno nudi. La loro nudità non conosce il sentimento della vergogna, posseggono solo il loro corpo e nemmeno quello è solamente loro; questi indigeni selvaggi hanno un rispetto sacro per tutte le creature, praticano la condivisione vera e profonda, se uno ha cibo in abbondanza non lo tiene per sé, anzi lo offre a tutta la popolazione e per sé terrà soltanto la parte più piccola. I bambini sono una benedizione, sono di tutti, tutti se ne occupano e gli adulti, guardando i bambini, si devono ricordare che sono stati bambini anche loro.

La terra del fuoco ospita dei selvaggi che conoscono intimamente il concetto di uomo primordiale senza sapergli dare un nome; sono uno e insieme tutti, nessuna divisione e nessun possesso. L’uomo selvaggio non sa cosa sia rubare, non sa cosa significhi “mio – tuo”, la natura offre ciò di cui hanno bisogno e niente di più. Quello che si trova in eccesso viene distribuito equamente, è solo grazia ricevuta. Quando gli uomini bianchi sono arrivati su queste terre, i selvaggi hanno imparato l’odio. Gli uomini bianchi uccidono i leoni marini, uccidono i loro cuccioli, gli uomini bianchi non sanno che la natura conosce il prezzo per ogni creatura abbattuta senza reale necessità. Gli uomini bianchi sono il male, un concetto che prima quei selvaggi spaventosi nemmeno conoscevano.

La storia di Jemmy Botton è una storia al contrario: dalla nostra posizione colta, di lettori al sicuro nelle nostre case, andiamo a ritroso nella storia dell’uomo e riscopriamo una sacralità profondissima, radicata nella nudità dei corpi, nella difesa di un territorio comune, la terra. La terra dei fuochi è un libro fondamentale, invita l’uomo civilizzato a rivedere totalmente i suoi precetti, a rivoltare il dogmatismo della scienza (ne sappiamo qualcosa, forse) in funzione di un ritorno all’ordine naturale delle cose. Gli equilibri sono delicatissimi, uccidere un cucciolo di foca può scatenare una tempesta e far naufragare un intero equipaggio. E questa non è magia, è semplicemente la necessità di ristabilire la morte di una creatura innocente con altra morte. La natura non può chiedere scusa per questo, Jemmy Botton lo sa.

La terra del fuoco racconta del mare, di quell’ossessione che colpisce i marinai. Chiunque abbia scelto una vita di mare, chiunque senta quel richiamo è un essere umano esposto alla follia. Nel mare esiste un richiamo nascosto che solo i folli possono sentire. “Nulla giustifica che gli uomini si slancino in mare se non un determinato germe di follia che si annida nella razza umana. Una volta provato, è impossibile tornare indietro. Il mare è un eccesso e come tale porta a un certo punto di saggezza”. Dagli abissi emergono il dionisiaco e l’apollineo, intrecciati e saldati dentro la perla luminosa di un’ostrica, che per difendersi forma la meraviglia. L’uomo non può resistere al mare, l’assoluto e il minimo si fondono, esistere è un riconoscimento lento tra l’immensità dell’acqua e la nullità dell’uomo.

La terra del fuoco è un libro necessario per ritornare ai primordi della vita, per riconoscere che nel cosmo esiste un prezzo da pagare per ogni azione compiuta senza reale necessità. I selvaggi di quelle terre conosco i fatti dai sogni, sanno ancora sognare e riconoscere nel sogno un veicolo importante, nel sogno esiste un messaggio da cogliere. È così infatti che Botton saprà che rivedrà Jack dopo alcuni anni, un sogno gli annuncia una nave, nel sonno si continua a vivere in altre dimensioni, il tempo è qualcosa di relativo, smette di essere lineare, il tempo è l’acqua del mare.

Un libro che è uno schiaffo al possesso, alla civiltà che crediamo di incarnare, un libro per tornare a una terra del fuoco dentro di noi. Sylvia Iparraguirre scrive questo libro per farci accendere un fuoco, bisogna bruciare per illuminare la notte, per rispondere al bisogno di essere riconosciuti, bruciarci interamente per esistere, non rinunciare mai ad ardere. Nella terra di Jemmy Botton “non esiste il diavolo”.

Clery  Celeste

Gruppo MAGOG