Scipione, il pittore che con 10 poesie cambiò la letteratura italiana
Cultura generale
Andrea Caterini
Una delle poche cose buone dell’aver scritto qualche migliaio di articoli e un paio di libri sta nell’essersi guadagnati una seppur misera visibilità. Ok, non sto a “La Repubblica” o a “Il Corriere”, ma insomma, per sparare stronzate non è certo necessario farlo dalle colonne dei più venduti quotidiani nazionali – per quello, ci pensano già ampiamente loro.
Le donne, poco ma sicuro, guardano a queste cose e sono curiose. Non tutte, ovviamente. Diciamo pure quasi nessuna. Sono, a ogni modo, in numero tale da poterle incontrare negli intermezzi lavorativi, senza che debba dedicare loro tutto il mio tempo come fa, per esempio, Rocco Siffredi – uno le cui performance sono comunque molto più interessanti degli articoli di “Repubblica” e “Corriere”, proprio a volerla dire tutta.
Tra le ultime che mi è capitato di incrociare c’è appunto una professoressa, neanche a dirlo, di Lettere. In teoria, la cosa non dovrebbe essere per niente strana, per quanto oggi i docenti si interessino di tutto – come mandare i propri allievi a friggere patatine da McDonald, secondo il principio dell’alternanza scuola-lavoro –, tranne che di leggere. La mia mi aveva detto: “Guarda, dei tuoi articoli di poesia non me ne frega un cazzo, perché di poesia non ne capisco niente, ma mi piacciono quelli scemi che scrivi la domenica”. Beh, è già qualcosa.
Dopo esserci scambiati qualche chilometro di messaggi via chat, l’ho invitata a venirmi a trovare al mare. Ha accettato. Non senza però aver condito il tutto con una serie di considerazioni tipo “Non so perché ti sto dicendo di sì, anche senza conoscerti, ma c’è qualcosa di te che mi ha ispirato da subito”. Ora, se c’è una cosa che ammiro delle donne, è la capacità di complicare qualunque faccenda con l’intreccio e il mistero. Io sono molto più semplicistico: tu vieni e poi, magari, si scopa.
L’ho ricevuta con una birra in mano. Lei mi ha sorriso, con la dolcezza tipica delle milf – pardon, in effetti ho omesso di dire che la donna ha diciassette anni più di me.
“Il mio piccolo Bukowski”, ha esclamato lei.
Ho ridacchiato. “Ti piace Bukowski?”.
“Per la verità non l’ho mai letto ma, se non ricordo male, era uno che beveva tanta birra”. Tra me e me ho pensato: ecco cosa resta del lavoro di uno scrittore, il ricordo di tutto quello che ha bevuto.
L’ho fatta accomodare e mi sono avvicinato. Per farla breve e senza tanti giri di parole, l’ho tirato fuori.
“Le piace, Professoressa?”.
“Che fai, mi dai del lei?”.
“Non ce la faccio a godere con una che sta in cattedra, se non le parlo come a scuola”.
“Bisognerebbe capire perché senti questa necessità”.
“No, Professoressa, la terapia psicanalitica in un altro momento”.
“Ce l’hai il porto d’armi per questa roba?”.
Ho sorriso. Finalmente cominciavo a divertirmi. Non c’è niente di meglio che una docente che ti parla con un linguaggio mutuato da PornHub.
“Fai sempre così con le donne: glielo sbatti in faccia brutalmente? Ti piace buttarle in medias res?”.
“Oh, sì Professoressa, mi parli in latino”.
Le successive ore le potremmo così sintetizzare: la prof apre le gambe, si bagna, mostra la fica rasata e ha diversi orgasmi consecutivi… Io la aizzo assestandole qualche tenero sculaccione.
La mattina dopo, ci siamo svegliati in contemporanea – lei ha parlato di “empatia”. Io so solo che ero già in pieno alza bandiera.
“Ma come fai, dopo le tre di ieri sera?!”, ha esclamato stupita.
“Credo si tratti di una sorta di riflesso pavloviano”.
Quando mi sono alzato dal letto ero giusto vagamente stanco, nel senso che mi trascinavo per la casa come uno zombi. Solo che, al posto della carne umana – ne avevo avuta fin troppa –, domandavo unicamente un caffè.
“Però non siamo andati al mare”.
Le donne, si sa, devono sempre buttarla sul romanticismo.
Alla fine, è tornata a casa, dal marito. Io ho passato il resto della giornata a cercare di riprendermi.
E, ci credereste, dopo un po’ mi ha inviato “la pagella”. Rientrava tutto nel nostro patto. Avevamo stabilito che mi avrebbe mandato la sua insindacabile valutazione. Che vi devo dire: anche questa volta, grazie al cielo, non sono stato rimandato a settembre.
Matteo Fais