28 Febbraio 2018

“La poesia è una forma di resistenza contro la dittatura dell’utilitarismo”: dialogo con Julieta Valero, poeta prodigio di Spagna

In principio fu l’entusiasmo. Mi capita in mano il libro di una illustre sconosciuta. Julieta Valero, classe 1971, presentata come uno dei più autorevoli poeti spagnoli della nuova generazione. Ha vinto tanti premi. “Gestisce la celebre Fundación Centro de Poesía José Hierro”, leggo in una placca biografica. Il sito è mirabile, la Fondazione collabora con le maggiori istituzioni spagnole ed europee. Fin qui, le medaglie. Ma so che un alloro non fa il gran poeta, un premio non fa primavera. Torno al libro. S’intitola I feriti gravi e altre poesie, lo pubblica l’editore Raffaelli – che si affanna in un memorabile (e poco redditizio, in termini economici, in questo Paese dei lacchè) lavoro di traduzione del meglio della poesia mondiale – nella collana dedicata alla letteratura ispanica, per la traduzione di Matteo Lefèvre (pp.100, euro 15,00). Il libro è una antologia tratta dalle raccolte della Valero, distribuite da Altar de los días parados (2003) a Que concierne (2015). Beh, diavolo, in principio fu l’entusiasmo. Il libro, costituito da versi come ferite al collo, come morsi verbali, come epigrafiche epifanie – un po’ ricordano i versi scintillanti e frugali di René Char – è una vera scoperta, è bellissimo. Ai bagliori visionari (“Hai la materia degli astri, di ciò che è tanto grande e minerale tanto puro che lo devono pesare bambini scomparsi.// Per questo il tuo effetto è devastante al modo degli uccelli.// Povera me che mi sono scoperta a sorridere per tutto ciò che è minuscolo”), sorta di geyser sintattici che – viva! – sfidano la fiacca norma lirica, s’alterna l’indignazione verso lo stato presente. Una indignazione non ‘sociale’ o pasoliniana (ergo: brancolare da bradipi politici) ma profetica, da sentinella nella notte, da audace Geremia: “Abbiamo scambiato il desiderio con la brama.// Siamo pronti, mediatici, siamo morti da vetrina e cavallo senza pianura” (da La carenza vista dall’Europa). Fino a generare uno stato di urla sonnambule negli incubi della poesia (“Col passare degli anni, la piazza nella quale erano stati valorosi si andò riempiendo di propaganda politica e di animali domestici”), che sfociano nell’interrogativo radioso, multiplo, “è il denaro il cuore dell’uomo?”. Così, dunque, stordito dal talento, sono andato alla ricerca di Julieta.

Quando è nata in lei la poesia? Perché? Cosa significa scrivere poesie al giorno d’oggi?

Valero libroDa subito ho avuto un rapporto quasi fisico, molto vocazionale con il linguaggio; fin da bambina lo percepivo come la materia fondamentale, qualcosa che andava toccato, compreso, lavorato. Comunque ho scritto prosa per molto tempo; l’incontro con il linguaggio in funzione poetica è giunto all’età di 25 anni. Fu una rivelazione e a lungo andare ha determinato la struttura della mia vita e anche il mio percorso lavorativo. Scrivere poesie parte da un’esigenza primaria dell’essere umano, trasversale alle culture e ai periodi storici; scrivere oggi significa seguire quel flusso millenario ma con la peculiarità che, dinnanzi al paradigma della globalizzazione, la poesia mi si presenta come un luogo di resistenza, resistenza dinnanzi alla dittatura dell’utilitarismo, del mercantilismo. Uno spazio dove insediare l’essere umano nella sua vulnerabilità e anche nella sua potenza.

La sua poesia è ricca di versi intensi, crea una sorta di “grammatica apocalittica”. Come nasce l’ispirazione per le sue composizioni?

È vero ciò che dice sulla mia poesia, ed è bellissimo, ma non tutto è scritta partendo da lì. Sì, direi che la mia enunciazione poetica è radicale nella misura in cui nasce da unesigenza rigorosa (se non è così, non scrivo), dal ritenere la poesia come qualcosa di concreto del linguaggio e infine dal fatto che la concepisco inseparabile dal flusso della vita: è Funzione di Vita. La mia ispirazione nasce da questi tre elementi.

Nei suoi libri sono presenti versi epigrafici e sapienziali, che ci guidano verso una strana e sinistra rivelazione. Mi riferisco, per esempio, a “a más puro el amor más estentórea la carcajada” (quanto più è puro l’amore tanto più stentorea la risata); “su ausencia puede ser un escapelo sobre el alma” (la loro assenza può essere uno scalpello sull’anima); “asumirse come océano” (concepirsi come oceano). Chi sono i suoi maestri? Chi ha ispirato la sua poesia?

Anche se non scrivo con l’intento esplicito di cogliere o conoscere qualcosa è ovvio che l’esperienza della scrittura ci espone alle intemperie della vita, della morte, dell’amore, dei perni di questo viaggio, e partendo da questa nudità e con l’intuizione e la razionalità brutalmente attive, ti imbatti in una certa forma di sapere, a volte anticipatoria che in realtà non ha niente di tellurico né di misterioso; la linearità temporale è semplicemente una costruzione artificiale con la quale ci organizziamo, ma se allarghi tale percezione, è tutto lì; è reale. Naturalmente scrivendo da vent’anni e leggendo con vera passione da molti di più, citerei decine di maestri, ma dovendo fare il nome di chi è stato fondamentale per me, direi César Vallejo, Federico García Lorca, Whitman e Dickinson, Wallace Stevens, John Ashbery, Silvia Plath… Più di recente Jaime Saénz, Mario Montalbetti, María Negroni, Clarice Lispector, Olvido García Valdés.

Avverto in qualche modo (“madre naturaleza pero padre mercado”, “hemos trocado el deseo por las ganas”) una violenta accusa al mondo contemporaneo: conferma?

Sì, abbiamo generato un mondo dove l’utopia come motore di vita non è più possibile in senso propositivo, ci resta solo quasi da difenderci. Ci hanno e ci siamo (perché facciamo tutti parte del sistema) trasformati in consumatori, in numeri per un big data che consenta di vendere di più. La logica postcapitalistica è autofagica, ci annienterà. Per fortuna ci sono sempre persone, gruppi e luoghi di resistenza a questo impulso generale.

Come sono la cultura e la poesia in Spagna? In Italia leggiamo di un paese diviso per via della crisi in Catalogna… Come vive questa situazione? Se esiste, qual è il valore della poesia nella società civile spagnola?

La Spagna è un paese naturalmente ricco di manifestazioni culturali, ma i nostri politici non hanno saputo né voluto proteggere la cultura dall’alto delle istituzioni. Lungi dal farci realizzare nuove opere, la durissima crisi economica del 2008 è servita da giustificazione, con il pretesto dell’austerità, per accantonare la cultura e abbandonarla alla sua sorte senza che ci fosse un sistema alternativo a quello pubblico, come avviene in alcuni paesi anglosassoni. Si è fatto affidamento in modo irresponsabile sulla vocazione dei creatori, sulla loro necessità di creare… Si è precarizzato completamente il mezzo. Si è capitalizzato quell’irrinunciabile entusiasmo, come spiega Remedios Zafra in un recente saggio dal titolo El entusiasmo. Precariedad y trabajo creativo en la era digital che invito tutti a leggere perché sospetto che lì si parli di un tema globale. In quanto alla Spagna divisa… più che divisa direi disgustata di una classe politica in generale molto mediocre che non ha saputo andare oltre i propri interessi di partito in questioni così fondamentali quali l’istruzione, parlando di un aspetto davvero fondamentale. Dal mio punto di vista, è ovvio che la nostra Costituzione va rivista e adattata alla realtà odierna di questo paese, forse anche per accogliere le sensibilità nazionalistiche, ma c’erano e ci sono questioni molto più importanti da affrontare: la disuguaglianza, la corruzione, la disoccupazione. Mi rattrista vedere la società ipnotizzata davanti alla televisione e i social network interessati micro-ossessivamente a temi non fondamentali e restiamo poi lobotomizzati per ciò che non ci si dovrebbe attendere. Il valore sociale della poesia… direi che è intrinsecamente laterale poiché la natura stessa del linguaggio in funzione poetica non lo rende di massa, in un mondo dove i numeri contano quasi tutto, e non interessa. La poesia non muta una società ma può esercitare sicuramente una profonda influenza su una coscienza… e la somma delle coscienze ci fa diventare un gruppo, un Paese.

Conosce i poeti italiani, li legge?

Conosco alcuni classici contemporanei: Quasimodo, Ungaretti, Montale, Pavese, Pasolini… Rispondendo alla sua domanda, mi rendo conto che riesco a citare a malapena una donna, Alda Merini, e me ne vergogno ma vi porrò rimedio immediatamente. Leggo la poesia italiana quando arriva una traduzione affidabile e qualcuno ne parla all’interno della nostra cerchia di amici fidati; dovrei e vorrei leggerne molta di più.

 

traduzione italiana di Marco Simonetti con la supervisione della professoressa Mercedes Ariza; introduzione di Davide Brullo

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Anteriore al sole

#spanishevolution

 

Ignude dalla cintola in giù, le giovani coppie attendono nel cortile che l’ultimo si decida a scendere. Vogliono parlare del luogo della vergogna, senza dubbio l’immobilità. Ma è che dopo averla circondata, madre, dopo aver mitragliato le sue pareti, scritto un’opera a sue spese, arrivarono messaggi quasi bambini su cavalli stramazzati: nelle loro manine certe ragioni mature sembravano rinfanciullire.

Cosa del movimento ora, questo dei nostri tuffi in piscine sotto pergole giallo gioventù, giallo inindividuabile disgrazia: nelle tue narici addottorate si produce un saccheggio temporale e tu neanche te ne accorgi o bevi per poi inciampare delicatamente all’uscita di tuguri all’alba.

Tremanti dalla cintola in giù, funzionari della fecondità, vediamo attraverso il canale permanente tutti questi ragazzi del Sud. Hanno scoperto che una moltitudine ha il suo centro in ognuna delle parti. Colibrì immune alle tecniche di interrogatorio.

Con plurale di freddo, facciamo pane e facciamo critica: record di pace senza modifiche ma troppi anni di allattamento, troppa oralità. Il cattivo abbinamento messo nella sfoglia di questa sorte storica. Abbiamo santificato la siesta, sì, ma ora i nostri desideri sono venti decenni avanti alla morale di chi ci imbacuccava.

Togliti la scaramuccia dalla bocca e pensa a forme del suono che trascendano la rappresentazione. Più su, diciamo nei fiordi del Mediterraneo, migliaia di uomini si sbarbano senza quasi luce e rimpiangono il mare. Dimostrano, ci dimostrano, costruttori di sé

La ministra del Lavoro piange mentre annuncia le nuove misure; dall’altro lato della fontana barocca, il volto del presidente si fa extragiudiziale e leggendario “Sì, lo abbiamo giustiziato; chiunque pensi che non lo meritava deve avere un problema mentale”.

In rete le istruzioni; anche la possibilità di errare. Alcune monete lungo la tua schiena. FINE

 

la poesia è tratta da “I feriti gravi e altre poesie”, raccolta di Julieta Valero pubblicata da Raffaelli (2017); traduzione italiana di Matteo Lefèvre

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