“A capo del suo esercito, la regina del Connachta, Medb («Ebbrezza»), si scatena contro un territorio, l’Ulaid, difeso da un uomo solo, il giovane eroe Cú Chulainn: trasgressiva, sensuale, ingannatrice, implacabile la regina; forte, tormentato, leale, terrificante nelle sue metamorfosi l’eroe. Sullo sfondo, un conflitto insanabile, oscillante tra deflagrazione della violenza e ritualizzazione dei contrasti, impulsi e vincoli, caos e regola. Alle vicende militari, punteggiate di duelli, patteggiamenti e stragi, si intrecciano storie di forti passioni, affetti, gelosie, seduzioni, rancori, intimi dissidi. Numerose le tracce di antichi miti pagani: la rivalità sempre rinnovata tra due esseri divini metamorfici che si incarnano infine in due tori portentosi, la maledizione che una dea della fecondità lancia contro i guerrieri dell’Ulaid rendendoli deboli come donne in travaglio, l’intervento di un dio solare per sconfiggere la crisi invernale delle forze vitali”. (La grande razzia [Táin Bó Cúailnge], risvolto di copertina, Adelphi, 1996)
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Il Táin Bó Cúailnge è considerato il capolavoro dell’antica epica irlandese, messo in manoscritto fra l’VIII e l’XI secolo negli scriptoria monastici dell’isola e arrivato fino a noi in due antichi codici. La storia descrive la guerra tra le regioni dell’Ulster e del Connacht per il possesso di un toro, il Donn (“Bruno”) di Cúailnge. Si tratta di un animale fantastico, soprannaturale, intorno a cui si sviluppano una grande disputa e una battaglia mitologica. Tutto inizia quando la regina Medb e il consorte, Ailill di Connacht, una notte a letto, vantano i loro rispettivi beni. Sono pari in ogni cosa, tranne una: Ailill possiede un grande e portentoso toro dalle corna bianche, il Findbennach. Allora Medb si mette alla vana ricerca nelle sue terre di una creatura di uguale splendore; poi viene a sapere del grande Donn, di proprietà di Dáire mac Fiachna dell’Ulster, il quale è disposto a prestarlo alla regina in cambio delle sue grazie. Tuttavia, avendo udito gli uomini di Medb dire che si sarebbero presi il toro comunque, con o senza il consenso del proprietario, Dáire si rifiuta di consegnarlo e lo nasconde. La regina decide quindi di invadere l’Ulster e di prendere il Donn con la forza. Il Donn è così grande che cinquanta ragazzi possono salirgli in groppa.
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Tre guerrieri emergono fra gli eroi mitici dell’Ulster: Fergus mac Róich, Conall Cernach e – il più grande di tutti – Cú Chulainn. Fergus è il primo amante della regina Medb, ha la forza di settecento uomini, è alto come un gigante e in un pasto può mangiare sette maiali, sette cervi, sette vitelli e bere sette tinozze di vino. Possiede una spada magica come un arcobaleno. Fergus appartiene alla corte di re Conchobar dell’Ulaid (Ulster) ed è padre adottivo del giovane Cú Chulainn, ma un particolare incidente causa la defezione sua e di altri eroi e il suo passaggio alla corte di Medb: si tratta della fuga degli innamorati Deirdre e Naoise e del tradimento di Conchobar. Conall Cernach è il figlio di Amhairgin, il poeta, e di Fionnchaomh, la figlia del druido Cathbadh. È il guardiano dei confini d’Irlanda e come Fergus è un padre adottivo e tutore di Cú Chulainn (“Cane di Culann”), che ha preso questo nome dopo aver ucciso involontariamente il segugio di Culann, il fabbro, ed essersi così impegnato a fare la guardia lui alla fucina al posto del cane. I due puledri nati nello stesso momento di Cú Chulainn diventano i cavalli del suo carro, il Grigio di Macha e il Nero di Saingliu. L’auriga di Cú Chulainn ha anche il potere di rendere invisibile il suo carro. Fin dall’infanzia Cú Chulainn rivela doti sovrumane, arriva alla corte di Conchobar dopo aver sbaragliato centocinquanta giovani del re. Allevato da Scáthach, profetessa e maestra di arte militare, va in guerra con armi e armature magiche fra cui il Gae Bolga, una lancia che infligge solo ferite mortali, e un elmo donatogli dal dio del mare Manann. Campione della sua terra, Cú Chulainn è l’unico fra gli uomini dell’Ulaid esente dalla maledizione di Macha, una fiacchezza che li colpisce inesorabilmente nei momenti in cui la loro terra è in pericolo. La maledizione risale a quando la dea Macha dall’aspetto equino, attraversata la soglia che separa il divino dall’umano, entra nella vita del vedovo Crunniuc mac Agnomain, diventandone amante e governante. Ella ha il dono della velocità dei piedi: benché avanti con la gravidanza, un giorno lo accompagna a una festa e viene coinvolta in una gara di corsa con il carro del re tirato da cavalli invincibili. Naturalmente vince, ma nello sforzo perde la vita, mettendo al mondo negli ultimi spasimi due gemelli. Per questo punisce gli abitanti dell’Ulaid con la maledizione che li renderà impotenti, con dolori simili alle doglie del parto, ogni volta che la loro terra si troverà in pericolo.
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Tarda età del ferro, prima dell’era cristiana. Quattro sono le province di Ériu: il Connachta (“discendenti di Conn”), l’Ulaid (Ulster), il Laigin (Leinster) e il Mumu (Munster).
Il re del Connachta Ailill e la regina Medb radunano un grande esercito, inviando messaggeri ai sette figli di Mágach, ciascuno con la sua schiera di tremila uomini, e a Cormac Cond Longas – esule dell’Ulaid e figlio del re Conchobar –, ospite del Connachta coi suoi trecento armati. Mentre marciano verso Crúachain, gli uomini di Cormac si distinguono in compagnie per le tuniche indossate: multicolori, grigio scuro, bianche col bordo rosso, per i mantelli a cappuccio, e per le lance a punta larga o a cinque tagli, e gli scudi oblunghi o ricurvi col bordo dentellato. Ma quando tutti sono pronti, i druidi non li lasciano ancora mettere in marcia: i segni propizi non compaiono per quindici giorni. La regina Medb sa di attrarre maledizioni, essendo stata lei a ordinare la partenza per la guerra, e quando si trova di fronte la giovane donna coi capelli biondi a trecce e il mantello multicolore sulla tunica bordata di rosso, le chiede subito qual è il destino dell’esercito. Ma non vuol credere a ciò che sente: nella visione profetica l’esercito appare scarlatto, rosso di sangue. Dice Feidelm la veggente:
Vedo un uomo biondo che compirà gesta eroiche,
con molte ferite nelle carni.
L’alone dell’eroe è sul suo capo,
la fronte incontro di ogni virtù.
In ogni occhio sono sette le iridi dell’eroe,
brillanti come pietre preziose.
Sguainate le punte delle sue armi.
Rosso il mantello che indossa, trattenuto da fibbie.
Come un drago appare in battaglia,
come quello di Cú Chulainn di Muirthemne
è il suo valore.
Non conosco chi sia questo Cú,
Cú Chulainn dalla grande fama,
ma questo so: che a causa sua
l’esercitò sarà scarlatto.
Vedo nella piana un uomo alto
Che porta strage tra le schiere.
In ogni mano ha quattro corte spade
Destinate a imprese gloriose.
Attacca con il gae bolga e con lancia e spada dall’elsa d’avorio:
le usa contro l’esercito intero.
Ogni arma ha il suo bersaglio.
Quest’uomo dal mantello rosso
posa il piede in ogni campo di battaglia.
Attacca gli uomini da sopra la ruota sinistra del carro, li uccide.
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Muirthemne, la pianura che si affaccia sul mare al confine fra Ulaid e Laigin, è affidata alla protezione di Cú Chulainn. E l’esercito deve attraversare il Muirthemne per raggiungere il Cúailnge e razziare il bestiame di Conchobar re dell’Ulaid, approfittando della strana prostrazione che periodicamente lo affligge insieme alla sua corte di guerrieri: l’incantesimo, come una ricorrenza stagionale che li mette fuori combattimento. Cú Chulainn ha diciassette anni, una forza potenziale che supera l’immaginazione, e possiede il gae bolga, giavellotto appartenuto a un dio, con la cima che si apre in molte punte quando penetra in un corpo.
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Il lunedì che segue la festa autunnale di Samain l’esercito si mette in marcia, per attraversare le terre che lo separano dal Cúailnge, il luogo dove catturare il portentoso toro bruno Donn Cúailnge, appartenente al ricco mandriano Dáire. Fissato l’accampamento, nella tenda di re Ailill vengono portati letti e coperte. Di fianco a lui, l’esule dell’Ulaid Fergus mac Róich, Cormac Cond Longas, figlio ribelle di Conchobar, e Conall Cernach, con accanto Fiacha mac Fir Febe, figlio della figlia di Conchobar; all’altro fianco la consorte Medb con la loro figlia Findabair, e Flidais. La regina Medb e Fergus mac Róich sono amanti: a lui, con gli esuli dell’Ulaid spetta il ruolo primario fra gli alleati.
Dopo aver ispezionato l’esercito, senza esitazioni Medb dice ad Ailill che è inutile proseguire la spedizione se ci sono gli uomini della divisione dei Gailióin: «Sono splendidi guerrieri. Ma mentre gli altri ancora costruivano i ripari, i Gailióin avevano già messo i tetti e cotto il cibo; e quando gli altri mangiavano, loro avevano finito e già ascoltavano suonare gli arpisti. Non possono restare, sarebbero loro a prendersi il merito della vittoria».
«Ma combattono con noi» obietta Ailill.
«Con noi non verranno» ribatte Medb.
«Si fermino qui, allora.»
«No, qui non si fermeranno, altrimenti al nostro ritorno ci soverchierebbero e conquisterebbero la nostra terra».
«Che fare, allora?»
«Uccidiamoli».
«No», la ferma Fergus, «sono alleati nostri. Qui ci sono sette re del Mumu alleati di noi Ulaid, e con ogni re una divisione. Con quelle sette divisioni e la mia e quella dei Gailióin ti darei battaglia qui in mezzo all’accampamento. Dunque, è meglio frammentare e distribuire la loro divisione fra l’intero esercito».
«Può andare», acconsente Medb. «Purché non rimangano nella loro formazione di battaglia».
L’indomani, nelle brughiere di Móin Choltna, i guerrieri incontrano otto ventine di cervi selvatici e li circondano: ogni guerriero dei Gailióin ne cattura uno e il resto dell’esercito appena cinque. È allora che Dubthach Dóel Ulad ha la visione a cui segue una notte di incubi per l’intero esercito:
Vi attende una terribile contesa
per Findbenn, il toro della moglie di Ailill.
Verrà un uomo, campione di eserciti,
per riprendersi le mandrie di Muirthemne.
Il fiume Cronn si leverà vigile, impedirà l’avanzata,
finché l’opera dei guerrieri sarà compiuta
nel monte a nord dell’Ochaine.
A suo tempo ci sarà battaglia
con Medb e un terzo dell’armata.
Cadaveri saranno ovunque
se verrà colui che si deforma.
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Findbenn Aí, il formidabile toro dalle bianche corna che apparteneva alla regina Medb, considerando indegno appartenere a una donna, aveva deciso di passare alle mandrie di Ailill. Per questo Medb, non avendo un altro animale portentoso e non volendo restare inferiore al re, ha organizzato la spedizione militare per catturare il toro Donn del Cúailnge, l’animale bruno ancor più celebre e potente.
Ma mentre l’esercito attraversa rivi e torbiere, l’esule Fergus, per rispetto verso la sua gente, manda ad avvertire gli Ulaid, che sono prostrati e incapaci di combattere, tranne Cú Chulainn e suo padre Súaltaim. E fa un’ampia deviazione a sud per consentir loro di organizzarsi.
Quando giunge l’avvertimento di Fergus, Cú Chulain e il padre vanno in osservazione a Iraird Cuillenn. «Ho il presentimento che l’esercito arriverà stanotte», dice Cú Chulainn. Poi fa un cerchio incurvando un alberello, vi incide un’iscrizione in ogham e lo lancia sulla cima di una pietra eretta. Sono i quattro figli di Iraird mac Anchinne, che coi loro carri precedono sempre le schiere, a trovare il cerchio gettato da Cú Chulainn. “Nessuno passi oltre, fin quando ci sarà un uomo, a eccezione di Fergus, che lanci con una sola mano un cerchio di un solo ramo” dice l’iscrizione. «Lo ha lanciato un eroe, con una mano sola» commenta un druida, «e se l’esercito del re non ne tiene conto viola l’impegno d’onore».
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Dopo essersi assentato, Cú Chulainn si mette sulle tracce dell’esercito e giunge al guado di Áth nGrencha. Con un colpo taglia un tronco forcuto, lo brandisce e lo conficca in mezzo al fiume, perché un carro non possa attraversarlo. E appena sopraggiungono in avanscoperta i figli di Iraird, Cú Chulainn mozza loro le teste e le infigge sulle quattro punte del tronco. I cavalli ritornano con le bardature insanguinate, così un gruppo si distacca dall’esercito per raggiungere il guado: là vedono le tracce di un carro e il tronco forcuto, con le quattro teste e un’iscrizione in ogham: “Un uomo solo con una sola mano ha scagliato questo tronco forcuto: non dovrete oltrepassarlo finché uno, a eccezione di Fergus, avrà fatto con una sola mano lo stesso lancio”.
«Fergus, liberaci da quest’ostacolo», chiede Medb.
«Datemi un carro, voglio vedere se alla base il tronco ha un taglio solo» dice Fergus, ma prima di riuscire a estrarlo spacca quattordici carri. E vede che alla base il tronco ha un taglio netto. Dunque, viene il momento in cui Ailill vuol sapere chi è Cú Chulainn. «Nel sesto anno è andato ad apprendere i prodigi da Scáthach, la maga guerriera», dice Fergus, «e nel settimo anno ha indossato le armi. Ora è nel diciassettesimo anno». Non esiste avversario più forte, spiega, migliore baluardo in battaglia, maggiore difesa nel combattimento, peggiore rovina per le schiere, con le punte di lancia più appuntite, taglienti, veloci. «Nessuno gli è pari in abbigliamento, eloquenza, coraggio, temibilità, splendore, voce e aspetto; in valore, durezza, destrezza con le armi e capacità di abbattere; in furia e furore, in violenza e flagelli, in velocità, temerità e aggressività, in inseguimenti e precisione della mira».
«Ma ha un corpo solo» dice Medb. «È vulnerabile, non può evitare di essere catturato».
Nel frattempo, si consuma il saccheggio del Cúailnge. Quando tutti arrivano col loro bottino, Medb ordina che gli eserciti si dividano: «Non si può portare il bestiame in una sola direzione. Ailill vada con una parte attraverso Slige Midlúachra, io e Fergus andremo attraverso Bernas Bó nUlad, il Passo delle Mandrie dell’Ulaid».
Al momento di partire, Ailill ordina a Cuillius, il guidatore del suo carro: «Oggi tieni d’occhio Medb e Fergus, non so cosa li renda così intimi». Dunque, Cuillius li raggiunge quando sono a Cluichre. Li vede giacere insieme, si avvicina e estrae dal fodero la spada di Fergus, da portare come prova. Quando gli viene consegnata, Ailill dice: «Medb sta facendo la cosa giusta, per dare aiuto alla razzia. Conserva bene la spada sotto il sedile del carro, avvolta nel lino».
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Tutte le schiere, infine, si ritrovano nella pianura. E Cú Chulainn va loro incontro al guado del fiume Cronn. Quando Maine, figlio di Ailill e Medb, arriva avanti a tutti, nel guado Cú Chulainn lo uccide con altri trentadue guerrieri, mentre trenta cavalieri vengono travolti dal fiume. Allora Lugaid, un re del Mumu che ha legami di sangue con gli Ulaid, va da Cú Chulainn con trenta uomini a cavallo, a parlamentare. «Chiedo che ai miei uomini tu conceda una tregua».
«Allora che portino un segno di riconoscimento», replica Cú Chulainn, «dillo al mio amico Fergus e ai suoi uomini, e anche i medici portino quel segno, e mi mandino cibo ogni sera».
«Non sarà così», è la risposta di Fergus al messaggio, «a meno che sia io stesso a chiederglielo. Ora vai a domandargli se Ailill e la sua divisione di tremila uomini possono unirsi alla mia: portagli un bue, una coscia di maiale e un barile di vino».
A questa offerta Cú Chulainn acconsente, le due compagnie si riuniscono e rimangono per tutta la notte. Ma Cú Chulainn uccide trenta guerrieri con le pietre della sua fionda, e al guado di Áth Durn ne ammazza altri trenta. Anche Cuillius, il guidatore di Ailill, quando è al guado per lavare le ruote del carro viene ucciso con una pietra. La schiera continua ad avanzare, e a Druim Féne lui li attacca con la fionda uccidendo cento uomini per ciascuna delle tre notti.
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«L’esercito non può andare avanti per molto se continua così» s’infuria Ailill: «Patteggiamo, offriamogli una terra nella piana di Mag nAí equivalente a Mag Muirthemne e il miglior carro che ci sia, e l’equipaggiamento di dodici uomini, oppure questa pianura dov’è stato allevato, e tre volte sette schiave; tutto quel che è stato distrutto tra la sua gente e il suo bestiame gli verrà reso o risarcito. Andate in missione». Mac Roth, messaggero di Ailill e Medb, se ne incarica: tre volte va e torna, senza risultati. La quarta volta ci pensa Fergus, che è ancora privo della sua spada; lo segue Etarcomol, figlio di Ed e Leithrinn e figlio adottivo di Ailill e Medb, ma contro il suo parere: «Non voglio tu venga con me, sei troppo orgoglioso e sfrontato, e il tuo avversario troppo forte, fiero e feroce».
Li avvista Láeg, il guidatore di Cú Chulainn: «Nel primo carro c’è un uomo grande e bruno, capelli folti e scuri, un mantello porpora con una spilla d’oro e una tunica a cappuccio col bordo ricamato di rosso. Ha uno scudo ricurvo col bordo cesellato e una lancia con anelli da cima a fondo, alla coscia una spada lunga come il timone di una barca».
«In quel fodero c’è solo una spada di legno» dice Cú Chulainn, che è al corrente di tutto.
Fergus lascia il suo messaggio e riparte, ma Etarcomol resta indietro e si mette guardare fisso Cú. «Non vedo ragione di aver paura a guardarti» lo provoca, «sei solo un bel ragazzo abile con le armi di legno».
«Attento a prenderti gioco di me, se non ti uccido è per Fergus», lo avverte Cú Chulainn. «Se non fossi sotto la sua protezione avrei già mandato indietro i tuoi lombi squarciati e il resto di te attaccato al carro».
«Non minacciarmi. Quanto all’accordo che hai ottenuto, di combattere contro un solo uomo alla volta, domani sarò io il primo degli uomini di Ériu a sfidarti».
Etarcomol riparte, ma poi ordina al guidatore di tornare indietro: «Ho detto che avrei affrontato Cú Chulainn, ma non riesco ad aspettare domani». Cú cerca di evitare lo scontro, lo frena, lo manda all’aria colpendo il terreno coi piedi, poi gli taglia i capelli con un colpo di spada come rasoio, ma non riesce a fermarlo, finché è costretto a tagliarlo in due con un fendente dalla cima della testa fino all’ombelico.
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«Non ci sarà nessuno disposto ad affrontare Cú Chulainn», teme Medb. Propone una tregua, che viene concessa. E si rivolge a Nad Crantail il guerriero, che per accettare la sfida chiede gli venga data Findabair, la figlia di Medb. La regina accetta, e Nad Crantail parte per il duello, che si svolge a più riprese, e lo vede trafitto dalla lancia di Cú Chulainn dalla testa fino ai piedi. Con la lancia ancora nel corpo, Nad Crantail chiede di rientrare all’accampamento per parlare coi suoi ventiquattro figli, e poi ritorna per un ultimo assalto con la spada, sapendo di finire decapitato e squartato.
Le condizioni poste da Cú Chulainn, la restituzione delle donne, delle ragazze e di metà del bestiame, sono gravose, e gravoso è sostentare col proprio cibo chi continua a ucciderli. Per una settimana e oltre, ogni giorno un guerriero perde la vita per mano di Cú Chulainn. Così, viene infranto anche l’impegno d’onore che lui aveva chiesto: vanno ad attaccarlo venti uomini insieme, e sono sterminati.
Ailill decide di fargli una proposta: avrà Findabair, a patto che si tenga lontano dall’esercito. Manda alcuni emissari, finché Cú Chulainn mostra di accettare. Ma poi decide per l’inganno: «Ci vada il buffone travestito da me. La ragazza gli stia al fianco e sia lui a promettergliela in sposa, poi si allontanino in fretta». Quando i due gli si presentano, Cú Chulainn fionda una pietra nella testa del buffone portandogli via il cervello e gli scaglia addosso una pietra eretta, poi taglia le trecce a Findabair. Da allora non ci sarà più tregua, fino al grande massacro di Mag Muirthemne.
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Quando le quattro province di Ériu si accampano nella piana di Mag Muirthemne, viene mandata verso sud una parte delle mandrie e del bottino. Cú Chulainn assiste appostato sulla collina di Lergae: al tramonto, il suo guidatore Láeg ma Ríangbra accende per lui un fuoco. Da lontano osserva il baluginare delle armi e il grande numero di avversari, e viene preso dalla furia definitiva. Afferra lo scudo, le due lance, la spada, le brandisce e le scuote, lanciando dal fondo della gola l’urlo dell’eroe, tanto terrificante da suscitare la risposta dei folletti e degli spettri della valle, dei demoni dell’aria. La terribile Némain1 assale l’esercito, e nel clangore delle lance gli uomini delle quattro province si gettano nella frenesia del terrore, e cento uomini muoiono di spavento.
Láeg è là quando vede un uomo arrivare da nordest attraverso l’accampamento degli Érainn. «Un uomo, solo, si sta avvicinando a noi, piccolo Cú».
«Ce tipo di uomo è?»
«Bello e grande, con folti capelli biondi e ricci; è avvolto in un mantello con una spilla di argento bianco sul petto; sulla pelle chiara porta una tunica di seta regale che gli scende al ginocchio, con il bordo ricamato d’oro rosso; regge uno scudo nero con un massiccio umbone di bronzo bianco; nella mano ha una lancia a cinque punte e insieme un giavellotto a due punte. Nessuno lo avvicina e lui non si avvicina ad alcuno, come se nessuno lo potesse vedere».
«È così, mio giovane amico» disse Cú Chulainn. «È uno di quegli amici che vengono dal síd2 a consolarmi perché sanno in che grande pena mi trovi, da solo contro le quattro province di Ériu alla razzia di Cúailnge».
Quando quel guerriero raggiunse Cú Chulainn, gli parlò e lo consolò.
«Sei stato un vero uomo, Cú Chulainn» gli disse.
«Questo non è molto».
«Ti aiuterò».
«Chi sei?»
«Sono tuo padre, sono Lug mac Ethlend, del síd».
«Le mie ferite sono gravi: è tempo che vengano curate».
«Dormi un poco, Cú Chulainn» disse il guerriero. «Per tre giorni e tre notti al síd di Lerga avrai un sonno profondo: durante questo tempo fronteggerò io l’esercito». Poi gli cantò un canto grave che lo cullò nel sonno finché vide che ogni ferita era completamente rimarginata.
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Durante i tre giorni e tre notti trascorsi nel sonno profondo, a guarire fratture, ferite, lacerazioni e piaghe, «tre volte cinquanta tra i figli dei re dell’Ulaid sono scesi da Emain Macha e hanno dato tre volte battaglia all’esercito» dice Lug, «e tre volte il loro numero sono stati quanti caddero per mano loro». Ma anch’essi, alla fine, sono rimasti uccisi. Così, Cú Chulainn si prepara per il grande massacro. Fa aggiogare il carro falcato e indossa l’equipaggiamento da battaglia, la tunica, il mantello nero, l’elmo crestato, squadrato, multicolore, e prende i finimenti dei cavalli, il pungolo, i morsi, sistema sui cavalli l’armatura di ferro lavorato, con ogni ruota del carro fitta di punte taglienti, picche, arpioni, e ogni parte del carro pronta a lacerare tutto quel che incontra. Poi lancia un incantesimo a protezione dei cavalli e del compagno auriga Láeg, che nessuno possa vederli ma tutti siano loro visibili, per poter saltare, fendere, mantenere la direzione. Tutte le camicie di pelle tirate con lacci e corde, il cinto di cuoio da battaglia che respinge le lance, i giavellotti, i dardi, le frecce, le punte, come se urtassero contro la pietra, e il grembiale di protezione di cuoio bruno e la cintura da combattimento. Prende le armi, otto piccole spade e la spada con l’elsa d’avorio, otto piccole lance e la lancia a cinque punte, gli otto piccoli giavellotti e il giavellotto dall’impugnatura d’avorio, gli otto piccoli dardi, gli otto scudi e lo scudo ricurvo rosso nel cui umbone può stare un cinghiale, col bordo tanto affilato da poter tagliare un capello. A quel punto inizia la deformazione: tutte le sue membra iniziano a fremere come un pezzo di legno in un torrente, i piedi, le tibie, le ginocchia si rivoltano all’indietro, i talloni, i polpacci, le cosce si rivoltano in avanti, la faccia diventa una rossa cavità, un occhio viene risucchiato nella testa e l’altro schizza fuori, la bocca si contorce, le guance si ritraggono fino a mostrare le viscere, i polmoni e il fegato gli ballano in gola. I capelli si aggrovigliano come rami di rovi rossi, dalla fronte emana l’alone luminoso dell’eroe, e il fiotto scuro di sangue che gli sgorga dritto dalla testa si dissolve in un vapore magico. Così urlante balza sul carro che corre come una rondine, tirato dai cavalli dal petto forte furiosi come il fulmine, e assale i nemici in cerchi concentrici, con le ruote che mordono il terreno buttando terra ghiaia e sassi a mucchi, gli uomini delle quattro province di Ériu chiusi nel cerchio di battaglia e tranciati in pianta di piede contro pianta di piede, collo senza testa contro collo senza testa. Tre volte fa il giro, e tre volte lo inverte allo stesso modo: il “Sestuplice massacro”, uno dei tre massacri della Razzia in cui non si riescono nemmeno a contare le vittime.
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Cú Chulainn, figlio di Súaltaim, suo padre terreno, è bello, ha tre tipi di capelli: scuri alla radice, rossi nel mezzo, biondi intorno, come una corona d’oro. Sono acconciati con tre crocchie sull’incavo del collo e ogni capello gli ricade sulle spalle in lunghi boccoli.
(note) 1. Spirito femminile che incarna la furia guerresca; 2. Mondo parallelo, di carattere divino, tipicamente celtico.
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La saga di Cú Chulainn è lunga e complessa. Il Táin Bó Cúailnge ne costituisce l’ossatura, che in questo racconto sintetico abbiamo cercato di rievocare, naturalmente tralasciando molti episodi e aspetti particolari che assumono ridondanze, ripetizioni, elenchi di scontri, di nomi e di luoghi. Dalle narrazioni orali più antiche si sono sviluppate le rielaborazioni scritte dell’Ottavo e del Nono secolo.
Nella spedizione militare della regina Medb emerge la sua volontà di non essere inferiore al marito Ailill: questo, capovolgendo i ruoli canonici della subordinazione femminile, la rappresenta come la regina ambiziosa che si accoppia con diversi principi. Prima del re del Connachta, Medb aveva sposato il re dell’Ulaid, Conchobar, e in seguito si unisce a Fergus. Quest’ultimo, l’esule dell’Ulaid, è un uomo combattuto, restìo ad aggredire la sua gente a tradimento: anche qui si vede la natura tormentata, il germe di quella letteratura della contraddizione, del travaglio, della ribellione che è alla radice della modernità.