11 Settembre 2018

La grande arte l’hanno fatta i perdenti: dialogo con Alfredo Accatino, l’aedo degli outsider

Certo, c’è qualcosa di sanguigno, cioè di ereditato, di filiale. Alfredo Accatino, che di mestiere fa supereventi in ogni lato del globo (esempi sparsi e assai parziali: è stato direttore artistico degli show per Expo Milano, ha curato la Cerimonia di apertura dei Giochi olimpici invernali di Torino e quella di chiusura a Salt Lake City), è figlio di Enrico, artista importante, svezzato da Carlo Carrà e da Felice Casorati. Per questo, a maggior ragione, al di là di una sapienza corroborante, mediata da una scrittura narrativa consapevole, brillante, questo libro, Outsiders (Giunti, pp.208, euro 29,00), è un magnetico azzardo. outsiderAccatino s’è messo in testa di riscrivere la storia dell’arte attraverso le “storie di artisti geniali che non troverete nei manuali di storia dell’arte”, costruendo, così, una specie di contro-storia dell’arte e degli artisti tanto riuscita che dovrebbe sostituire i manuali accademici, polverosi, una polveriera di ovvietà. L’arte l’hanno fatta – e la fanno – i disadatti, i fuori via, i perdenti, i perduti, i geniali anticonformisti, incompresi, vilipesi, a volte. Outisder, appunto. “Outsider perché diversi, spesso in anticipo sui tempi, bollati come pazzi, alieni, stravaganti, conosciuti solo da storici dell’arte non asserviti al mainstream e collezionisti dall’occhio acuto, e mai dal grande pubblico, a cui vengono costantemente negati. Outsider perché hanno rinunciato a lottare, o hanno trascurato le leggi non scritte del mercato per proseguire, in solitudine, la propria ricerca, sino a svanire. Outsider, infine, perché non sono riusciti a sopravvivere al conformismo, alle guerre che hanno sconvolto il Novecento, alle persecuzioni razziali, culturali o politiche, ai pogrom, alle uccisioni selettive e infine ai disastri delle droghe e agli eccessi della beat generation”. Che straordinario elogio del lato sinistro dell’arte, non ufficiale, rivoluzionario, di volitiva bellezza. Nel libro, per intenderci, le storie sono livide e splendide: scopriamo “La Frida Kahlo dell’India” (Amrita Sher-Gil) e poi la baronessa che s’inventò l’orinatoio di Duchamp (Elsa von Freytag-Loringhoven), e poi lo sciamano Pavel Filonov e la fotografa Vivian Maier, che col senno di poi, ora, è famosissima, gli tessono intorno documentari e film, e poi Gino Rossi e Anita Berber e Henry Patrick Raleigh, “il morto di fame che dipingeva i ricchi”. Un ‘bestiario’ di artisti eccentrici, per lo più eccelsi, che la sorte e il tempo hanno relegato ai margini della grande arte. E che ora risorgono, con ghigno titanico. (Davide Brullo)

Leggendo il suo libro verrebbe da fare un elogio smodato degli outsider: “straordinari perdenti… non scelgono mai i luoghi e le date giuste per nascere, creare, amare, morire. Vivono in mondi paralleli”. Come le è venuta l’idea di questo controcanone coi controcosi dell’arte

Ci sono molte motivazioni. La prima è che si fanno sempre i conti con la propria storia e con il proprio passato. Ed essere figlio di un artista, e avendo conosciuto tanti altri artisti, mi ha fatto comprendere come la vita sia strettamente connessa all’opera, e che non bisogna avere timori reverenziali o credere che la storia dell’arte sia stata già scritta e che sia intoccabile.

C’è poi un dato incontrovertibile: è stato il mercato e sono state le culture dominanti a definire chi fossero i maestri e chi le figure di contorno, perché se nasci in Lituania o in Armenia c’è poco da fare. E se nasci donna devi fare il triplo per essere presa sul serio. Ultimo fattore, il Novecento, un secolo terribile, nelle cui spirali sono stati coinvolti grandi artisti, che la storia ha poi disperso, perché detenuti, perseguitati, morti in guerra. Solo degli “artisti degenerati” dovremmo imparare a memoria i cognomi, in segno di omaggio.

Accatino
Alfredo Accatino organizza grandi eventi in giro per il mondo: è scrittore e sceneggiatore. Suo padre, Enrico, è stato un artista di genio e un rivoluzionario nell’ambito della didattica delle arti visive

Quando scrive, “conosco opere mediocri di grandi artisti, e magari opere pazzesche di sconosciuti che hanno avuto per destino la facoltà di lasciare… un segno indelebile”, tocca il vero tabù: quanto conta la fortuna, il culo, il destino nel successo di un artista?

Conta sicuramente, così come conta l’ambiente dove si è scelto di nascere, la capacità relazionale, l’adesione del mercato. Anche l’opportunità di poter operare al fianco di altri grandi artisti, sfuggendo alle insidie che la vita e la storia ci pongono spesso sul cammino. Pochi riescono a superarle, molti ne diventano vittime. Quello che invito a fare è guardare, anche in museo, prima l’opera, poi la didascalia. Mi permetta di fare anche un esempio privato. Come sa, nella vita “parallela” sono autore di grandi eventi i tutto il mondo. Ebbene per una serie di casualità sono diventato autore di cerimonie olimpiche, il massimo possibile nella mia professione, cosa che mi ha poi aperto molte porte. Ecco, questo è il punto. Io credo di essere bravo, come tanti altri, e lo sarei stato comunque, ma ho avuto una piccola, grande “botta di culo” che, di fatto, mi ha cambiato la vita. E forse non ero il migliore in assoluto…

Qual è stato l’outsider che le è piaciuto di più scoprire, scovare, scrivere? E quello che l’ha divertita di più – e quello che l’ha commossa di più?

Come tutti ho le mie preferenze. Quello che forse ho amato di più l’ho voluto mettere in copertina, Dik Ket, olandese, malato di un difetto cardiaco grave, la Tetralogia di Fallot che è vissuto chiuso in casa, senza rinunciare all’amore per la vita e all’ironia. La più divertente e tragica la storia della Baronessa Elsa von Freytag-Loringhoven, che ha ideato, in una vita completamente folle, l’orinatoio, poi “ribattezzato” da Duchamp prima di morire in circostanze misteriose. La più sorprendente, la scoperta dell’esistenza di Nicholas Kalmakoff, avvenuta a un mercatino delle pulci, senza che nessuno sapesse di chi fosse quella firma K. La più tragica, la morte per fame di un intransigente artista e sciamano russo come Pavel Filonov.

Oggi è possibile essere outsider, fuori norma, fuori legge? Chi è l’emblema dell’outsider, oggi, in un mondo in cui tutti, per fare qualcosa, devo scendere a patti, stare agli ordini?

Ci saranno sempre gli Outsiders, ed è una ricchezza, perché ci permetterà di comprendere le cose nel tempo, in una nuova dimensione storica, a ritroso. E non saranno solo artisti o pittori, proprio perché infinite sono oggi le opportunità espressive e tecnologiche e i linguaggi che possono utilizzare. La difficoltà, al contrario, saranno le troppe informazioni, quel ronzio confuso che potrebbe rendere difficile discernere il talento dal mainstream.

Esiste, poi, il caso dell’outsider che diventa vip: penso alla riscoperta, tra gli autori che tratta, di Vivian Maier, ma anche di Cagnaccio di San Pietro e di Roland Topor. Anche qui, interviene il culo postumo, la fortuna a corrente alternata, il mercato, cosa?

Dei tre artisti citati direi che la storia simbolo è quella di Vivian Maier, oggi icona indiscussa, divenuta oggetto di mercato. Credo anzi che per pubblicare le sue opere nel volume la casa editrice abbia dovuto pagare i diritti più alti. Ma ha alle spalle una storia esemplare e talento pure, e ha una storia “notiziabilita”. Ecco è questo il gancio per il successo: diventare notizia.

Dedica un affettuoso ritratto a suo padre… cosa le ha insegnato?

Mio padre, l’artista Enrico Accatino, teorico dell’arte e uno dei creatori dell’Educazione Artistica in Italia, mi ha lasciato un forte legame valoriale e affettivo, ma soprattutto mi ha insegnato l’amore per l’immateriale, per la creatività, per il bello, anche quello che non appare tale. Mi ha insegnato a guardare con i proprio occhi, infischiandosene di chi si ha davanti o di quello che dice la massa. Non ha fatto l’artista, “era” un artista e mi ricordo un suo grande insegnamento. Diceva: “Se sei espressivo, non preoccuparti di voler sembrare espressivo”.

Dopo aver redatto questo abbecedario degli outsider – che è poi, mi pare, un manuale di postura al vivere – di cosa si occuperà, cosa sta scrivendo?

Scrivere è il mio tesoro nascosto, e questa avventura non è ancora finita. Continuerò a lavorare su questo tema con Giunti al seguito di Outdisers, con 50 nuove storie e 50 artisti da raccontare, una decina dei quali mai citati prima in Italia. Una missione, un piacere, un dovere morale.

 

 

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