22 Marzo 2023

“Un’avventura a Budapest” di Ferenc Körmendi: piacere allo stato puro

Negli anni Trenta l’Ungheria e Budapest andavano molto di moda. Nei teatri era tutto un fiorire di commedie brillanti e sentimentali ambientate da quelle parti, nelle sale cinematografiche era il grande momento del cosiddetto “cinema dei telefoni bianchi”, cioè di quei film più propriamente detti “commedie ungheresi”. Opere sinonimo di evasione e di superficialità che davano un’immagine di Budapest come di una città spensierata e più in generale di un mondo senza problemi. Purtroppo questa etichetta rimase appiccicata a tutto quello che arrivava dall’Ungheria. Anche alla letteratura. Così i critici dell’epoca, che evidentemente non erano migliori di quelli di oggi, stroncavano senza pietà tutti i libri che arrivavano da quelle parti, anche se riscuotevano un grande successo di pubblico. Anzi ancora di più per questa ragione.

Tra i tanti a farne le spese ci fu anche Un’avventura a Budapest, romanzo scritto dall’ungherese Ferenc Körmendi (1900-1972), che subì lo stesso trattamento. Niente lotta di classe, niente palingenesi rivoluzionarie, solo borghesucci di mezza tacca con le loro meschinità piccolo-borghesi. Tutta roba fatta apposta per fare storcere il naso ai sopracciliosi critici militanti.

Il libro nel 1932 vinse un concorso internazionale, venne tradotto in 22 lingue  e diede il via a una lunga scia di grandi successi editoriali. Per molti anni i romanzi di Körmendi furono tradotti e venduti in tutto il mondo. Tra gli altri vale la pena ricordare: La generazione felice (1934), Peccatori (1936), Incontrarsi e dirsi addio (1937). In Italia all’epoca lo pubblicò Bompiani, poi con il passare degli anni, considerato a torto un prodotto della letteratura di evasione, finì nel dimenticatoio.

In realtà, nonostante fosse accusato dalla critica di essere uno scrittore superficiale e disimpegnato, Körmendi era un uomo che viveva a pieno il suo tempo. Ostile al nazismo trionfante anche in Ungheria in quel periodo, nel 1939 se ne andò in esilio in Inghilterra. Poi dopo la guerra tornò in patria, ma anche il comunismo non faceva per lui. A quel punto se ne andò di nuovo e questa volta fu per sempre. Emigrò negli Stati Uniti dove morì nel 1972.

La trama di Un’avventura a Budapest è presto detta. Siamo alla fine degli anni Venti e un gruppo di trentenni ex compagni di liceo delusi e insoddisfatti della propria vita è solito ritrovarsi tutti i giorni in un caffè quando scoprono per caso che Anton Kádár, un loro vecchio compagno di scuola considerato da tutti un idiota, il classico tonto della compagnia soprannominato “il Pinguino”, ha fatto fortuna in Sudafrica dove è diventato ricchissimo. È successo che uno di loro sfogliando una rivista nella sala d’attesa del dentista viene colpito da una fotografia e:

«Mi gioco la testa che questo scemo davanti alla tenda è Tonio Kádár».

A quel punto i nostri “quattro amici al bar” decidono di invitare Kádár a tornare a Budapest per una rimpatriata con lo scopo di raggirarlo e, con l’inganno, trarre profitto della sua immensa ricchezza.

L’autore intanto ci racconta la cavalcata verso il successo di Anton, una corsa sfrenata attraverso mezzo mondo costellata da mille peripezie, meschinerie, cuori spezzati, amicizie tradite. Fino a quando un bel giorno riceve una busta a Budapest:

«Caro Kádár, un piccolo gruppo di tuoi ex compagni ti manda un amichevole augurio per Natale».

Così arriva il momento del ritorno a Budapest e dell’incontro con i suoi vecchi amici, soprattutto con Kelemen, il motore di tutta la storia. Da questo punto in poi assistiamo a una lunga partita scacchi tra i vari personaggi, nella quale l’autore si dimostra un maestro nel descrivere i moti più segreti dell’animo umano. Già la prima sera, in un ristorante dell’Isola Margherita sul Danubio, Kádár comincia a pensare che l’idea di tornare non sia stata delle più felici:

«Dieci anni! Sono tutti estranei per me. Naturalmente, per loro, lo sconosciuto sono io. È stato un errore, fin dal principio».

Nel prosieguo della vicenda le donne hanno un ruolo importante. Kádár ha una moglie e Kelemen una sorella, ma non aggiungo altro. Fatto sta che alla fine le cose non vanno secondo i piani di nessuno. Come dice bene l’autore, un po’ tutti i personaggi sono «burattini che si credono burattinai». L’epilogo del romanzo è splendido e va lasciato al gusto della lettura.

Se posso lasciarmi andare, Un’avventura a Budapest è uno di quei libri che sono piacere della lettura allo stato puro. Naturalmente il mondo descritto da Körmendi non esiste più. È cambiata Budapest, è cambiata l’Ungheria ed è cambiato tutto il resto. Ma non sono cambiati gli uomini, con i loro sogni e desideri, le invidie, le gelosie, la loro avidità, la loro boria, i loro drammi interiori. Insomma, non è cambiata la vita. E, al di là del contorno, nelle pagine di Un’avventura a Budapest quella che si sente pulsare è la vita, quella autentica, quella di sempre, anche la nostra. Come in tutti i veri grandi romanzi di ogni tempo.

Silvano Calzini

Gruppo MAGOG