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Fabrizio Coscia
Anche lui classe 1932 come Andrej Tarkovskij, il regista e produttore cinematografico tedesco Alexander Kluge è uomo che ha affidato la memoria di molte delle sue esperienze alla scrittura. La Cronaca dei sentimenti (Chronik der Gefühle, 2 Bände, Suhrkamp Verlag 2004) è uno dei suoi tanti testi e racconta in oltre 2000 pagine le esperienze e, soprattutto, i sentimenti con cui ha reagito – e ha visto reagire chi gli era accanto al tempo – agli eventi della storia. È un libro che narra emozioni e così facendo cerca di sondare i comportamenti, le reazioni e le passioni umane, a volte sconcertanti e incomprensibili.
È parte della Cronaca la memoria viva in Kluge di un progetto di film in qualche modo condiviso con Tarkovskij, che avrebbe dovuto ispirarsi ad un testo dell’antroposofo Rudolf Steiner, Dalla cronaca dell’Akasha (Bontempelli e Invernizzi, Roma, 1913). Del rapporto tra il russo e Kluge si sa poco. Il tedesco viene citato nei taccuini tarkovskijani appena tre volte e senza alcun richiamo al progetto steineriano. Nell’appunto datato 8 novembre 1984 Andrej annota, senza specificare: “Poi Berlino, dove spero di realizzare un cortometraggio con [Alexander] Kluge.” (A. Tarkovskij, Martirologio. Diari 1970-1986, a cura di Andrej A. Tarkovskij, traduzione di Norman Mozzato, Istituto Internazionale Andrej Tarkovskij 2014).
Per gentile concessione di Suhrkamp Verlag segue la traduzione delle pagine della Cronaca dedicate al progetto filmico ispirato a Steiner, mai realizzato. (Vito Punzi)
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Le fonti degli dei. Il progetto di film “Dalla cronaca dell’Akasha” con Andrej Tarkovskij
In una camera berlinese confinante con una cucina sedeva (o era stato messo a sedere dalle anime amiche che si prendevano cura di lui) Andrej Tarkovskij, uno dei pochi grandi tra i registi cinematografici del mondo, sconosciuto a Hollywood.
Vengo condotto da un delegato nel nascondiglio. Avevamo accennato attraverso una terza persona alla nostra comune intenzione di produrre un film tratto dal libro Dalla cronaca dell’Akasha, di Rudolf Steiner; Tarkovskij aveva sentito dei film collettivi Germania in autunno, Il candidato, Guerra e pace. Era pronto a collaborare.
Bisognava tenere conto di una differenza d’opinione. Io ero dell’idea che il film dovesse essere realizzato senza l’aiuto di un’autorità pubblica. Per questo motivo le condizioni di ripresa dovevano essere a basso costo. Questo, di qualsiasi cosa si trattasse, compreso il richiamo alla dottrina occulta di Helène Blawatsky, che voleva presentarsi come sottofondo dell’esposizione di Steiner, consisteva in minima parte di “immagini filmabili”. Andrej Tarkovskij, al contrario, aveva in mente che le riprese dovessero avvenire in un luogo distaccato, per esempio nei punti d’incrocio di Himalaya e Karakorum, cioè in territorio tibetano. Ci sarebbero lì creodi, così iniziò il colloquio non appena mi sedetti e mi venne portato del thè. Sono “vie necessarie”. Solo in quei luoghi, ma un luogo è sempre la somma di tutti i movimenti che in quelli fossero avvenuti: ci riuscisse una registrazione filmica, sì, ci riuscisse il progetto di una simile registrazione, questo sarebbe davvero qualcosa di promettente. Senza il luogo giusto non potremmo concepire alcunché.
Una certa segretezza prevaleva nel gruppo russo che si prendeva cura di lui. Non ero sicuro che il suo messaggio, tradotto in tedesco da chi era parte di quel contesto, fatto che riguardava proprio il suo lato non pratico, dovesse essere la sua ultima parola. Aveva richiesto il colloquio, esigendolo. Doveva avere una certa considerazione per la mia mentalità.
Nel sud Itala, non lontano da Napoli, disse Tarkovskij dopo che mi fu servito per la seconda volta il thè insieme a due blinis, ci sarebbe una delle «fonti», nota fin dall’antichità (menzionata da Ovidio), dove lui già era stato. L’accesso sarebbe complicato, proseguì, poiché sulla fonte è stata eretta una cappella cristiana. La cappella la si ritrova solo se nella cantina di una casa patrizia, di una villa, si ritrova un passaggio che conduca ad una profonda volta della cantina, in quel punto si dovrà picconare il terreno. Poiché tutto è poggiato su un declivio, lì entra luce e si trova l’ingresso. Entrando, disse Tarkovskij, ho avuto immediatamente la sensazione che la via conducesse un poco più in profondità, verso quelle fonti che stabiliscono il legame con il regno dei morti. L’intero film ruoterebbe intorno a questa sensazione.
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Non serve a nulla filmare quel luogo, dissi, neppure se documentassimo lo scavo verso la fonte troveremmo qualcosa nel senso di Rudolf Steiner. No, ribatté lui, ma quella sensazione, se lei la condivide (e per questo non dobbiamo arrivare fino in sud Italia, è sufficiente che Lei me lo faccia rivivere e me lo confermi qui, in questa camera), diventerà la guida sismografica che dirige le immagini. I traduttori, una giovane russa e il suo ragazzo che apparteneva alla cerchia ristretta di fornitori di Tarkovskij, discussero per un breve periodo della traduzione della parola SISMOGRAFICO. Tarkovskij aveva usato un’espressione russa che in tedesco non era traducibile in maniera esatta; l’ordine delle parole significava “fluttuante”; tuttavia, dotata di una risonanza, poteva anche significare “thrilling”, “emozionante”, “con moto” e perfino “distruttivo”. Tarkovskij fece una pausa, si mise ad ascoltare, tranquillo. Nell’incavo e nella marcatura della pelle del suo viso trovò vita un alto grado di determinazione. Mirava a “dettare” il film. D’altra parte cercava “collaborazione”, ma non era abituato alla collaborazione.
I testi di Dalla cronaca dell’Akasha risalgono le ere, descrivono l’origine dell’uomo, soprattutto però i tanti movimenti dello spirito che non sono giunti nel presente dell’umanità.
I passaggi avvengono come catastrofi? Gli spiriti più forti delle ere passate che ora sono controspiriti di una nuova era, sono rovine, frammenti, particelle viventi simili a virus, o sono lava, come dopo un’eruzione vulcanica? Cosa attira il sentire di Tarkovskij in Tibet? Oppure il progetto cinematografico del punto d’incrocio e della vetta è solo un’idea? Proprio come Richard Wagner ha bisogno di Bayreuth per affermarsi in modo dimostrabile? Il genio ha bisogno di eccessi economici per elevarsi oltre la media?
Si mostrò che il rimando di Tarkovskij al Tibet si fondava su un errore di traduzione. Si trattava di certe valli e ghiacciai in Hindu Kush. Sono molto prossimi a quel luogo. Lui stesso non ha mai visitato quel paesaggio, ma ne ha sentito parlare, “terreni mai calpestati da nessuno” e alcuni “giardini di straordinaria bellezza”. I giardini sono ancora piantati secondo le più antiche prescrizioni di Atlantide e attraverso la loro vegetazione e la loro coltivazione contengono informazioni su quell’astro da cui derivano i PERFETTI. Se si cerca, disse Tarkovskij, si troveranno lì anche vecchi libri.
Suggerisco di andarci prima senza attrezzatura cinematografica e di verificare la notizia. Per il film ho in mente: un attore protagonista, fisicamente e mentalmente forte, un agrimensore (geografo). Guida di una spedizione che risulta insufficientemente equipaggiata, sotto-finanziata, così come viene annunciato che sarà anche la nostra. Ha avviato la spedizione, sebbene il finanziamento della stessa non faccia parte dei piani per quest’anno e neppure per il prossimo. Esclusa da tutti i progetti. Così questa spedizione trova nelle valli prossime al picco del comunismo quei giardini, quei ghiacciai e quei luoghi selvaggi. Qui, alimentati solo dalle nostre sensazioni, nella stanza di Berlino in Mommsen Strasse, vediamo il luogo giusto davanti a noi.
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Sì, dice Tarkovskij, sono davvero valli selvagge e si tratta di un unico e medesimo fiume che percorre la valle, ma è un fiume che per lunghi tratti non è visibile. Dalle più alte cime delle montagne conduce umidità, una corrente di molecole acquose e da ciò derivano anzitutto i fiumi marginali Oxus e Jaxartes. Chi si bagni presso di loro prova una sensazione di forza, perché attraversato da eoni. Raccogliere, salvare, nel turbamento non dubitare, prosegue Tarkovskij, è questo il senso del terzo trono, un’acqua corrente che nessuno vede.
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Tutto questo, dico io, dev’essere trovato dall’agrimensore, del tutto apolitico e un po’ testardo. Egli trova ciò che non sta cercando. La sua testardaggine corrisponde alla nostra camera, che esige immagini. Ciò che lui effettivamente trova corrisponde alla magia dei sistemi ottici, alcuni dei quali, vecchi di seicento anni e sviluppati da artigiani olandesi, sono in grado di registrare qualcosa che l’occhio umano non può vedere. Ad esempio la Macro-Kilar. Sì, disse Tarkovskij, dobbiamo fidarci.
Dicono i traduttori: Ciò che ha detto il Maestro può significare che “lo approva” o che “lo conferma”, oppure “questa è l’unica cosa su cui fare affidamento”.
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Gli animali conducono il nostro eroe, l’agrimensore, colui che non sa ciò che cerca, dice Tarkovskij. Vogliono inoltrarsi in quella valle, bramano quel giardino, sebbene gli animali “non sappiano nulla”, e seguano la corrente invisibile, finché quella entra nella luce. Si tratta, la vedo davanti a me, di una delle più belle valli del mondo. Lì si trovano alti cavalli bianchi, viali di alberi piantati da Lisimaco.
Abbiamo bisogno di visti sovietici, dissi. E i fiumi dell’antichità si chiamano oggi Amu-Darya e Syr-Darya. Dobbiamo deciderci per una delle due valli fluviali. In età moderna ciascuno dei due fiumi, ben visibili alla camera, trasporta argilla, terrapieno rotolante, fino a quando l’acqua si insabbia prima ancora di arrivare al lago d’Aral, verso il quale un tempo tendeva. Saremmo molto fortunati qualora trovassimo qualcosa che riproduca le informazioni di Rudolf Steiner presenti in Dalla cronaca dell’Akasha sotto forma d’immagine. Forse troviamo “edifici dell’Unione Sovietica”, aree di risanamento, canali e deviazioni del fiume, piantagioni di cotone. Dovremmo dirigerci piuttosto verso il castello di Elmau, oppure verso il lago Spitzing e troveremmo in molte superfici di terreno, in molte fonti, in molti animali più significato di quanto non riporti Steiner (che cita testi precedenti), rispetto a un viaggio nella zona del Pamir dell’Unione Sovietica.
Allora dobbiamo scegliere la parte dell’Hindu Kush che appartiene all’India, rispose Tarkovskij. Solo la volta celeste sopra quelle aride montagne, alcuni metri quadrati di terreno sui quali nessun uomo mette piede – queste sole sarebbero immagini. Diretto contro i pianificatori di Mosca. Dovremo raccontare alcune di quelle che Lei chiama immagini in un altro luogo, pensò Tarkovskij, Cos’è autentico? Cos’è possibile riprodurre? Il nord della Georgia non è meno autentico dell’Afghanistan. Ma quando quel senso del luogo s’instaura, come l’ho provato con Napoli, allora le riprese possono essere girate solo in luoghi nei quali si dia un sentimento simile. Siamo verghe da rabdomanti?, domandai. Una volta l’uno, una volta l’altro, meglio se in due, rispose Tarkovskij. Si deve attendere l’avvento delle immagini.
Ci sono certamente tracce delle età più lontane, disse Tarkovskij. Saranno rintracciate se riusciremo a immaginarci spazi vuoti e tempi vuoti. In questo senso il terreno a nord-est di Oxus e di Jaxartes è TERRENO VUOTO. Dove dovremmo cercare la pienezza del mistero se non lì?
Risposi dicendo che avremmo potuto filmare altrettanto bene ciò che è elementare: il primo irrompere dell’autunno, il tempo più prolungato dell’inverno, le aurore, ognuna delle quali è diversa dall’altra. Se in Omero si dice “l’occhio soffia tagliente come il nord-est”, allora questo è difficile da filmare, perché a soffiare è l’occhio e non il vento. Questo però potremmo filmarlo più facilmente nel calcare delle Alpi e presso il mare dell’estremo nord, piuttosto che in una spedizione in una terra antica che né Lei, né io conosciamo.
L’acqua è il cocchiere della vita
Dobbiamo osservare tutte le eterogeneità dell’acqua e dello scorrere, disse Tarkovskij, ecco perché potremmo effettivamente impostare la prima rotazione delle riprese qui in Europa. Sono le acque che garantiscono le connessioni tra le epoche. Non l’aria, non il fuoco. In ogni caso il terreno non si sta muovendo su larga scala sulla superficie del pianeta. Un deserto può avanzare per 200 km in cento anni. Quanto tempo impiegherebbe per completare la circonferenza del pianeta?
Ero felice di averlo dissuaso dai costosi tragitti per le due troupe cinematografiche con cui avremmo girato. Quanto materiale avremo girato nell’anno successivo? chiese Tarkovskij.
Abbiamo deciso che ciascuno dovrebbe iniziare con il proprio team entro le prossime settimane. Notizie filmiche, per così dire, che corrispondono alla sensazione del colloquio che avemmo qui. L’Istituto per la Produzione Cinematografica (Institut für Filmgestaltung, ndt) di Ulm dovrebbe fornire un fondo per le riprese.
Vedo Tarkovskij indugiare nella camera progressivamente sempre più buia. I delegati portarono in seguito avanti e indietro messaggi tra di noi. La malattia mortale ha presto oscurato i suoi piani. Le sue forze vitali cambiarono. Divennero più avide, meno propense all’arrivo di qualcosa da attendere. Nel frattempo anche l’Unione Sovietica stava cambiando. Si sarebbe potuto girare nei luoghi originali. Tarkovskij morì in una clinica di Parigi.
Alexsander Kluge
Traduzione dal tedesco e cura di Vito Punzi
*Tratto da: A. Kluge, Chronik der Gefühle, Band I, Basisgeschichten, Suhrkamp 2004, pp. 472-478)