29 Giugno 2023

“Kit Kat” il poeta giapponese & avanguardista amico di Ezra Pound

Ezra Pound lo chiamava affettuosamente “Kit Kat”, come le barrette di cioccolata di recente invenzione. Lui, di rimando, ogni tanto, lo apostrofava “Ez Po”, nome da monachesimo taoista – entrambi, in effetti, giocavano a fare gli alchimisti dell’arte, alla ricerca dell’esatta formula verbale in quel tempo atomico.  

Secondo il Los Angeles County Museum of Art – meglio noto come LACMA – Kitasono Katue, “Kit Kat”, “è stato il poeta e artista giapponese più noto nel mondo occidentale alla metà del XX secolo”. Dieci anni fa il museo statunitense dedica a “Kit Kat” una mostra dal titolo efficace e spiazzante, Kitasono Katue: Surrealist Poet. Cosa significa? Che Kitasono Katue – nato a Ise nel 1902 – è stato l’autentico avanguardista della poesia giapponese del Novecento. Anche i suoi colleghi romanzieri, ben più noti, si ispiravano alla letteratura occidentale (Tanizaki ‘imita’ Oscar Wilde, Raymond Radiguet e il Divin Marchese; Kawabata studia Edgar Allan Poe, Lautréamont, la pittura impressionista; Akutagawa si rifà a Maupassant, Strindberg e Dostoevskij): “Kit Kat” sceglie l’ardua via dei fomentatori del caos.

Nella prima lettera che scrive a Ezra Pound, all’inizio del 1936 – ma arriverà a Rapallo, rifugio italiano del poeta, soltanto cinque mesi dopo – Kitasono riferisce la sua ammirazione (“Per lungo tempo, dagli anni del movimento Imagista, abbiamo visto in lei la guida di una nuova letteratura. In particolare, ci ha sorpreso la sua profonda conoscenza della letteratura cinese e giapponese”) e sintetizza, per così dire, il proprio lignaggio lirico: “Siamo partiti dall’esperienza Dada e dal Surrealismo. Al momento, non ci convince alcun ‘-ismo’ forgiato in Europa… stiamo cercando di avanzare entro una nuova visione della teoria artistica”.

In sostanza, Katue Kitasono propone al grande poeta americano, il suo faro, di collaborare alla rivista, “VOU Club”, fondata da poco, costituita da “un gruppo di poeti, artisti, musicisti, architetti ed esperti in tecnologia avanzata”. È l’idea – leonardesca, vitruviana – della congiura delle arti, dell’unione olistica tra gli intenti estetici e pratici: in Italia, progetti simili consuonano nella Scuola Operativa di Silvio Ceccato e nelle elaborazioni filosofiche di Pino Parini e del Gruppo V.

Ad ogni modo, quello tra Pound e Kitasono sarà un incontro tra anime affini: la corrispondenza tra i due, dal 1936 al 1966, conta un centinaio di lettere, una cinquantina di ‘Ez’ (cfr. Ezra Pound and Japan. Letters and Essays, a cura di Sanehide Kodama, 1987; 1996). Per Pound, confinato in Italia, in un lento esilio interiore, totale, fatto fuori da tutti, il dialogo con Kitasono è il ritorno alla giovinezza irrimediabilmente perduta. L’era, voglio dire, delle sperimentazioni avventate – l’Imagismo, il Vorticismo – e del legame, estatico-estetico, con l’Oriente (che dà esito a lavori memorabili: Cathay, la traduzione-rifacimento di alcune poesie classiche cinesi, nel 1915, e la versione, l’anno dopo, di Certain Noble Plays of Japan). In un’epoca in cui gli antichi amici ‘ritornano all’ordine’ – Thomas S. Eliot, ad esempio –, raccolgono i frutti degli insegnamenti poundiani (Ernest Hemingway) o semplicemente si mettono dalla parte giusta dell’epoca, Ezra Pound continua a essere l’esagerato guerriero, l’uomo che crede che la poesia possa ‘fare’ la storia. Agli amici scrive di “VOU”, “la più vitale e vivace rivista ora al mondo”; l’11 novembre del 1940 scrive a Fosco Maraini, in Giappone, di mettersi in contatto con Kitasono. Nel 1938, sulla rivista “Townsman”, aveva presentato “ai lettori occidentali” alcuni poeti di “VOU Club”, tra cui spiccava l’amico Kitasono. Come sempre, l’ardore della generosità, il genio per la nuova impresa, il viaggio – per lo meno poetico – oltreoceanico, a unire più mondi. Dal 1939, per una manciata di articoli, Pound collaborerà anche sul “Japan Times”: in un servizio narra la morte di William B. Yeats, “che chiude la grande era della rinascita letteraria irlandese”, e della sua passione per il teatro Nō giapponese.

Pur a fasi alterne, “VOU” sarà pubblicata fino alla morte del fondatore, Kitasono, nel 1978, ospitando i più importanti esperimenti letterari di quei decenni; con quel malizioso sottotitolo, ogni tanto, “Revue de la Poesie Experimentale”.

Kitasono resterà al fianco di Pound nei giorni oscuri dell’arresto e dell’internamento; nel 1954 pubblica per la Diver Press di Robert Creeley un’antologia di testi come Black Rain. Le poesie di Kitasono – di cui si allega un repertorio in appendice all’articolo – paiono appropriate al tempo cibernetico: tese a spiazzare, a creare parole-totem, verbi di vetro che conoscono la virtù di spezzarsi. È curioso: la missione di Breton si mescola all’antica arte dell’haiku; bisogna spazientire le parole fino a mostrarsi altro da ciò che sono. Il gioco dell’elusione e dell’allusione, in Kitasono, crolla verso lo zero del verbo. In un testo del 1966 “Kit Kat” postula l’idea di una poesia senza parole, fatta di ideogrammi fotografici:

“La poesia è cominciata con una penna d’oca, finirà con la penna a sfera. Al momento, la poesia è a un bivio che conduce verso la rovina o verso un potenziale più vasto; la direzione dipenderà dal tipo di strumento che i poeti moderni utilizzeranno per esprimersi, al di là delle penne a sfera.

La macchina fotografica è adatta all’uso lirico dei poeti. La macchina fotografica può trarre una poesia armonica da oggetti insignificanti.

Le parole sono i più incerti simboli ideati dagli esseri umani per comunicare. Lo Zen, il pensiero filosofico e quello religioso hanno considerato le parole spazzatura, cosa senza valore.

La poesia plastica non ha bisogno di versi né di strofe: è la forma della poesia in sé.

Un flusso di poesia sperimentale ha avuto origine dal Futurismo, dal Dadaismo, dal Cubismo, lasciando, qua e là, pozze di poesia, piccoli stagni di versi che prima o poi si prosciugheranno.

Poeti: non aspettatevi il plauso pubblico perché siete bravi artigiani del verbo. Un tale plauso è fasullo.

Creerò poesia dall’obbiettivo di una macchina fotografica, con pezzi di carta, tavole, bicchieri… Questa è la nascita di una poesia nuova”.

Nota sulla poesia plastica, 1966

La forma-formula di questo manifesto ricorda la severità dei trattati buddisti: Kitasono unisce l’avanguardia europea all’estremismo Zen. Due anni dopo, ritirando il Nobel per la letteratura, Kawabata parlerà dell’arte contemporanea riferendosi ai monaci-poeti del passato nipponico: Saigyō, Dōgen, Ryōkan. Allo stesso tempo, Kitasono non si affranca dall’estetica dell’era errante – la “poesia visiva”, John Cage, Emilio Villa, Fluxus – ma compie un gesto antico: rigettare la comunicazione, fare del verbo un luogo cavo, ciotola, mendicanza, vuoto. I suoi lavori lirico-fotografici sembrano malinconici patchwork: il frammento di un occhio, un foglio accartocciato, gambe che si muovono come nuvole, nel niente.

Naturalmente, Kitasono e il suo maestro, Ezra Pound, non si incontrarono mai. Bastavano i chiari intenti, l’affettuoso afflato.

***

Sur un paroissien

deragliato nel secolo delle rose cinerine         cavo, paranoico gatto

lignaggio di sogni

giardino cristallino, l’immacolata principessa si risveglia sospesa come un’allodola

il mio universo è luna, specchio, nuvole

sirena cava chiacchierina nel cielo

sull’albero solatio un solatio orante

le nuvole tremano

questa tempesta che si contorce sulla cima della montagna
schiaccia i depressi schiavi      risveglia l’immensa danza dei laghi

*

Fantasma con gli occhiali

maneggiando una fragile pipa di ceramica, fissavo nell’osservatorio
la torsione della conchiglia al suo apice
conchiglie imbragate sulla cima delle elettriche torri
chiudendo una finestra conica, ho visto una lunga, esangue figura in un libro verde
una grigia conchiglia spicca sulla fronte di un musicista
malinconia mi assale

*

Théatre de Salomé

Salomé smaltisce film come una libellula         Salomé è la figlia prediletta
una ragazza di Babilonia

Salomé fa una giravolta sulla torre dell’hotel      i suoi capelli scintillanti
capelli blu         conica luce che ci accerchia

sotto la verde luna di Babilonia        un uccello senza occhi     eccolo
l’uccello che non ha occhi

dov’è Yokanan?

si sta tagliando i capelli      era un profeta, all’inizio: ora indossa la bombetta e lavora in banca

da White Album (Shiru no arubamu), 1929

**

Pioggia nera

urlano i cartelli
nella
pioggia

inverno
inumidita di speranza
cammina nella città di fango

nel suo
cappotto
lacero

la logica della solitudine
è febbricitante: dio
a strisce, Sartre etc.

il vento
è vacuo
mentre lacera l’oggi

pioggia nera, inverno:
solitaria metropoli
al crepuscolo

*

A une dame

                      che mi ha donato una sigaretta, quando ero
                      stanco, triste e sognavo un cavallo verde

sogno
quello
che crea
cupe
strisce
di gigli

la solitudine
della conchiglia
pende
contro
il nero
idolo
nell’illusione
dello specchio
che gocciola
sulla parete

oppure:
illusione
delle piogge
del sapone
del deserto

la vacua
sirena
l’energico
cranio
della piramide

*

Ritratto oscuro

mustacchi
viola:
alcolica
disperazione

oppure: ombra
con un uovo
dentro
la gabbia
di ossa

distanza
della
notte
dalla
morta
tartaruga

solitudine
purificata
dalla
nera
pioggia
che si decompone
nella forma
di una scala

e poi
il muro
sei parte
di quel
misero
cono
solitario

da Black Fire (Kuroi hi), 1951

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