Una notte a Kalinteri e altre prose, pubblicato dalla casa editrice pistoiese Via del Vento, si inserisce nella collana “Ocra gialla”: una preziosa raccolta che custodisce testi inediti e rari di grandi letterati del Novecento.
Il titolo prende il nome dal racconto di apertura che, con un connubio di concretezza e musicalità sempre sulla soglia di una fuggevole trascendenza, guida il lettore passo dopo passo attraverso gli occhi di Konstantinos Kavafis. L’io narrante si prospetta un timoniere attento, pronto a celebrare e rendere lode alle bellezze tacite dei villaggi che costellano la Grecia orientale, fino a Costantinopoli. Proprio nella Città d’Oro, il celebre poeta originario di Alessandria d’Egitto ritorna nel 1882, anno di svolta e prese di coscienza: a seguito di un periodo trascorso in Inghilterra dopo la morte del padre, è il luogo in cui acquista consapevolezza delle radici elleniche e delle inclinazioni omosessuali.
Risale a qualche anno dopo (1885-1886) la prosa di apertura sopraccitata, ambientata a Kalinteri – un esteso litorale bagnato dal Bosforo, “dio di buon cuore”, le cui acque increspate dal vento non fanno che sorridere ai suoi spettatori. Una voce carica di ammirazione racconta con dovizia di particolari la natura bizantina: un locus amoenus, abitato da brezze in forma di spiriti consolatori, notti gioiose e valli lodevoli. Sfogliando queste pagine, sembra quasi di assaporare i suoi religiosi silenzi, di intravedere le sue acque ridenti, di essere inebriati dai suoi fiori che spargono profumata eloquenza. Fra queste righe si cela uno dei grandi poteri della scrittura di Kavafis: far toccare con mano ciò che altri occhi non avrebbero neppure scrutato.
A questo intreccio di musicale concretezza, si affianca il racconto Alla luce del giorno in cui si manifesta la quintessenza dello scrivere kavafisiano, caratterizzato da “un’irruzione del demoniaco e del fantastico nel quotidiano” – come sottolinea la curatrice Claudia Ciardi. Un fantasma nelle sembianze di un uomo sulla quarantina, con uno sguardo malinconico e beffardo a galvanizzare i suoi occhi, inizia ad abitare regolarmente i sogni del protagonista. Ad ogni apparizione, il visitatore immaginario gli indica la strada per diventare milionario. Eppure, Alexandros A., di fronte a quell’indovino di pensieri, non riesce a vincere il proprio timore. Forse, senza mai trovare il coraggio di osare.
In questa cornice governata da un’aura di spiritualità e magia, si inserisce un solenne inno al piacere. Kavafis invita i propri spettatori a spalancare le finestre così da “sentire le prime avvisaglie dei soldati in marcia, quando arriva il reggimento del piacere con la sua musica e bandiera”. E arruolarsi in questo esercito non porterà che gioia duratura: che ti esaurisce, ma ti esaurisce inebriandoti.
Le altre prose riconfermano le molteplicità tonali e di genere che confluiscono in un solo scrittore in divenire: quello kavafisiano è un laboratorio dalle infinite sfaccettature, dentro al quale non si può che farsi prendere per mano e lasciarsi guidare. E dal 1935, anno della prima pubblicazione dopo la morte dello scrittore, sembra che l’amore del suo pubblico non faccia che aumentare. D’altronde, lo stesso Kavafis predisse che la propria fama postuma si sarebbe accresciuta col tempo. E, come sottolinea Claudia Ciardi, la profezia non fa che avverarsi.
“Noto spesso quanta poca importanza le persone danno alle parole […].
“Un uomo semplice sa che la stragrande maggioranza pensa il contrario, quindi tace, ritenendo sia inutile parlare, dal momento che nulla cambierà le cose. È un errore grossolano […].
“Ecco perché mi limito a parlare ma non credo che le mie parole siano inutili.
“Altri trovano il coraggio dell’azione.
“Le mie molte parole – quelle di un timido come me – presiedono al manifestarsi di un’energia. Servono a preparare il terreno.”
Sofia Cacchi