Un dettaglio non è dettato dal caso. Nel 1944, per Frassinelli, Cristina Campo, come Vittoria Guerrini, firma la traduzione di Una tazza di tè, antologia di racconti di Katherine Mansfield. La Campo ha 21 anni, è nata pochi mesi dopo la morte di Katherine, nello stesso anno, il 1923. Proprio quell’anno, ci informa un biografo, la Campo “scrive la sua prima poesia”. La poesia s’intitola Passo d’addio, ed è la prima – custode del titolo – delle undici poesie che la Campo pubblicherà nel 1956, per ‘All’insegna del Pesce d’Oro’, memorabile marchio Scheiwiller. “E mentre indugia tiepida la rosa/ l’amara bacca già stilla il sapore/ dei sorridenti addii”, è l’ultima terzina della poesia, tutelata da una epigrafe tratta dai ‘quartetti’ di Thomas S. Eliot – utile, credo, come spettro e passepartout per comprendere i racconti della Mansfield.
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In Vita breve di Katherine Mansfield (già Rizzoli 1980, ora Adelphi), Pietro Citati tende a fare della scrittrice un tozzo di cristallo. “Tutti coloro che conobbero Katherine Mansfield negli anni della sua breve vita, ebbero l’impressione di scorgere una creatura più delicata degli altri esseri umani: una ceramica d’Oriente, che le onde dell’oceano avevano trascinato sulle rive dei nostri mari”. Credo, piuttosto, che sia un grido vetrificato, la verifica di un urlo, KM. Insomma, è una che rompe le consuetudini familiari e il canone degli affetti, che ha foga di vita, si affoga nel criterio del corpo. Nel 1909, l’anno prima aveva lasciato la Nuova Zelanda per Londra, KM se la fa con un violinista, poi sposa un maestro di canto – in funereo abito nero – da cui scappa, la prima notte di nozze, senza darsi. Incinta, la madre la sbatte in Baviera per evitare scandali e la disereda – lei abortisce spontaneamente, legge Anton Cechov e soprattutto conosce il di lui traduttore, un polacco sagace, con cui ha una storia. Insomma, Katherine è sfrenata, è un bicchiere di vetro lanciato in faccia. Se è una ceramica, vuole farsi spaccare.
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Eppure, Mansfield – il cognome autentico è Beauchamp – sembra alloggiare nella mansuetudine, analogia in leggerezza. Piuttosto, probabilmente, è la cifra alchemica della sua scrittura: “Katherine Mansfield scrive con mani lievi: accenna, allude, sceglie con grazia gli aggettivi. È volutamente vaga – uno degli aggettivi prediletti della scrittrice neozelandese – perché preferisce che il significato rimanga sospeso, per così dire, aleggi impalpabile sulle cose”, scrive in una bella Nota alle traduzioni Franca Cavagnoli, che ha curato per Mondadori Tutti i racconti di KM (2006). Delle cose non abbiamo certezza di senso, ma di assalto.
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Le lettere di KM hanno altezza impari, da paragonare – se piacciono i paragoni – a quelle di Emily Dickinson, della Woolf – che invidiava con turbe KM. Dicono che la sua vita sia consustanziale all’opera: d’altronde, di ogni grande scrittore possiamo dire che la carne si è fatta verbo. In uno dei racconti più belli, Alla Baia: “Ma quando Beryl si soffermò a osservare il bush, le parve che fosse triste. ‘Siamo alberi silenziosi che la notte stendono verso l’alto i propri rami per domandare supplichevoli qualcosa che nemmeno noi sappiamo’, disse il bush afflitto. È vero che quando si è soli e si pensa alla vita ci si intristisce sempre. L’eccitazione e tutto il resto improvvisamente ti abbandonano ed è come se, nel silenzio, qualcuno ti chiamasse e tu udissi il tuo nome per la prima volta. ‘Beryl!’”. C’è anche questo desiderio: essere chiamati per la prima volta, udire per la prima volta il proprio nome.
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Dal luglio di un secolo fa vengono queste parole. “O Vita – misteriosa vita – che cosa sei tu? Forster dice: un gioco. Io sento ad un tratto come se da tutti quei libri venisse un clamore di voci – sì, i libri parlano – specialmente i poeti. Come sono belli i salici – come sono belli – come piove il sole su di essi – le minuscole foglie si muovono come pesciolini. Oh sole, risplendi per sempre! Mi sento un po’ ebbra – mi sento come un insetto caduto nel cuore d’una magnolia”. Nel 1919 KM è rotta dalla tubercolosi, in settembre andrà a Ospedaletti, sulla Riviera ligure. Ci sono stato spesso. A Bordighera, il comune che lo bordeggia, i miei nonni affittavano una casa, in estate, lì è morto mio padre, ho fatto l’amore, la prima volta. Che siano scritte per noi, ora, quelle parole, se ora possiamo finalmente capire KM, espulsa dal secolo, le sue esplosioni di vetro.
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Che belle le lettere, mi dice Francesca Serragnoli – un poeta, finalmente! – perché tutto, lì, inizia e si conclude, senza replica, in una sfera, un mondo. In uno spazio autonomo e proprio, dico io, dove si attua l’attesa e l’indagine non è cosa pensa?, ma pensami!, in una Camelot della mente – e dunque, della carne.
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Ristampate da Elliot nel 2016, le Lettere della Mansfield dicono un tratto – e il tormento – dell’editoria nostra. Le ho nell’edizione prima, del 1943, Mondadori, per ‘I quaderni della Medusa’, collana, leggo, che si occupa di “opere biografiche, critiche, libri di viaggio, di memorie ecc.” dei “grandi scrittori di fama universale”, stampati dall’editore “in traduzioni accuratissime come sempre, dovute all’ingegno e alla cura di egregi scrittori nostri”. Quindi: le Pagine di viaggio di D.H. Lawrence, i Ricordi di Lev Tolstoj, la biografia di Erasmo di Stefan Zweig. La ‘quarta’ è accattivante: “La fama di Katherine Mansfield, l’eccezionale scrittrice neozelandese, morta il 9 gennaio 1923 ad Avon, poco più che trentenne, anziché appannarsi va facendosi col tempo sempre più splendente e vasta; e l’influenza dell’arte sua si fa sentire continuamente, in profondità, nelle opere più elette della moderna letteratura narrativa. Sarà dunque accolto col massimo favore questo volume di ‘Lettere’ scelte e tradotte da una delle più delicate e originali scrittrici italiane, Milli Dandolo”. Su Emilia ‘Milly’ Dandolo, pubblicata con agio da Garzanti, Mondadori, Rizzoli, Treves, potremmo sbriciolare le consuete parole sulla vanità della fama: resistono ancora le sue traduzioni di Peter Pan e di Samuel Pepys.
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“Ci sono lettere e memorie di scrittori tanto diverse dalla loro opera d’artisti, che spesso deludono o disorientano. Katherine è un personaggio delle sue novelle: e queste lettere sembrano ‘inventate’, per la meravigliosa capacità dell’artista che inventa la verità, o che trasforma la propria verità in un miracolo d’arte”, scrive la Dandolo. In effetti, è proprio quando scrive di sé, della sua vita, che lo scrittore inventa, si crea, dando viso agli eventi, sgambate al giorno. (d.b.)
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A Lady Ottoline Morrell
Sabato pomeriggio, luglio 1919
Piove e io mi sento sola, fredda, abbandonata. Pregate per me. Conosco molto bene questo senso di dissolvimento, di vita incorporea: l’ho provato in quest’ultima settimana. Ero a letto, ridotta uno straccio, e piangevo e il pianto mi faceva tossire e l’estate era finita… Credo fermamente che sia venuto il tempo per una “parola nuova”, ma credo che non sarà facile dirla. La gente non ha ancora esaminato a fondo l’incantevole mezzo della prosa. È ancora una terra inesplorata – lo sento così profondamente.
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A Dorothy Brett
luglio 1919
O Vita – misteriosa vita – che cosa sei tu? Forster dice: un gioco. Io sento ad un tratto come se da tutti quei libri venisse un clamore di voci – sì, i libri parlano – specialmente i poeti. Come sono belli i salici – come sono belli – come piove il sole su di essi – le minuscole foglie si muovono come pesciolini. Oh sole, risplendi per sempre! Mi sento un po’ ebbra – mi sento come un insetto caduto nel cuore d’una magnolia.
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A William Gerhardi
21 novembre 1921
Sapete, ve lo dico in confidenza, io non sarò per molto tempo ‘di moda’. Mi si scoprirà; tutti saranno disgustati, rabbrividiranno di sgomento. Mi piacciono tante cose terribilmente fuori moda – e la gente. Mi piace sedere sulle soglie delle porte, chiacchierare con la vecchia che porta le mele cotogne, andare in gita nelle piccole vetture traballanti, ascoltare la musica dei giardini pubblici nelle sere d’estate, parlare ai capitani dei piccoli battelli malandati, a gente d’ogni genere in poti d’ogni genere. Ma che fatale periodo ho cominciato! Continua per sempre. Davvero, occorrerebbe un’intera vita per finirlo…
Vedete, non sono un’aristocratica; le colazioni domenicali e le complicate conversazioni sul problema sessuale e quel languore che è così importante e quello spirito che è ancora più importante – vedete, io fuggo tutte queste cose. Io sono innamorata della vita, terribilmente… Sì, vivo in Svizzera perché sono tisica. Ma non sono inferma. La tisi non mi appartiene. È solo un orribile cane vagante che mi perseguita da quattr’anni, e così io cerco di perderlo tra queste montagne. Ma immobilizzata per sempre – oh no!
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Ad Arnold Gibbons
13 luglio 1922
…L’importante è scrivere – trovare se stessi perdendo se stessi. (Non c’è verità più profonda). Non so davvero se in questo mondo – fatto com’è fatto – il dolore sia assolutamente necessario. Ma non vedo che noi possiamo giungere alla conoscenza e all’amore se non attraverso il dolore. Ciò pare troppo definito, espresso così poveramente – se parlassi, potrei fare delle riserve… Ma devo credere nel dolore.
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A John Middleton Murray
26 dicembre 1922
…Vedi, la domanda è sempre la stessa: Chi sono io? E fin che non si è trovato la risposta, io non vedo come si possa governare se stessi. C’è un ‘io’? bisogna essere persuasi di questo prima di sapere come bisogna sicuramente comportarsi. E io non credo nemmeno per un momento che questi problemi possano essere risolti solo col cervello. È questa vita del cervello, questa vita intellettuale a prezzo di tutto il resto che ci ha condotti in questa situazione. Come può aiutarci ad uscirne? Non vedo speranza di salvezza, se non si impara a vivere secondo le nostre emozioni e i nostri istinti, mantenendo tutto in equilibrio.
Vedi, se mi fosse concesso di gettare un solo grido verso Dio, sarebbe questo: Io voglio essere VERA. Fin che non sarò così, non vedo come potrò non essere sempre alla mercé della vecchia Eva in tutte le sue manifestazioni… Per il momento so veramente, veramente, che tutte le cose una dopo l’altra mi sono state tolte, ma che non sono annientata – e che spero – e più che sperare – credo. Mi è difficile spiegarmi… Tutto passerà come un sogno, con irrisorie consolazioni…
Katherine Mansfield