Il titolo originale era Sadako will leben!. “Sadako vuole vivere!”. Per i curiosi giochi editoriali il libro dell’austriaco Karl Bruckner è stato pubblicato in Italia, nel 1962, con la traduzione di Maria Minellono con il titolo Il gran sole di Hiroscima (Giunti-Marzocco, è ancora oggi edito da Giunti, con la stessa ottima traduzione, ma nella destinazione di libro per ragazzi). Pubblicato per la prima volta nel 1961, il libro ha conquistato il Premio dello Stato austriaco, il premio Città di Vienna e l’iscrizione nella lista d’onore del Premio Andersen 1962. Il periodico tedesco Literatur per questo romanzo scrisse: “bisognerebbe creargli apposta un Premio Nobel per la Pace nella letteratura per ragazzi”.
Karl Bruckner, nato il 9 gennaio 1906, figlio di un tipografo, con antenati conducenti di carrozze trainate da cavalli, cresce nel sobborgo popolare di Ottakring, dove si appassiona da ragazzino al gioco del calcio, studia da meccanico per automobili e da dove emigra per il Brasile, fino all’inizio della Seconda guerra quando ritorna a Vienna. Inizia a scrivere dopo la guerra, ma i suoi romanzi, inizialmente, non ottengono successo. Nel 1948, un suo libro per ragazzi Der diamant des Tobias Amberger (mai tradotto in italiano come purtroppo la gran parte della sua opera) gli apre la strada editoriale, chiarendo la sua voce e la sua vocazione di scrittore impegnato per la pace.
I suoi libri, che hanno al centro storie di bambini e ragazzi, come Die Spatzenelf, pubblicato nel 1949, ma inedito in Italia, un libro che parla di un successo calcistico di un gruppo di ragazzi dalle umili origini, che è poi diventato un classico per ragazzi austriaci e Il gran sole di Hiroscima appunto, il suo grande successo internazionale, non devono essere scambiati per narrativa di genere esclusivamente per ragazzi, ma come tutti i grandi libri, hanno una destinazione universale. Al centro del Gran sole di Hiroscima, la storia di una famiglia, quella di Sadako Sasaki e del suo fratellino Scigheo, quattro e dieci anni, che sopravvivono miracolosamente insieme ai loro genitori, alla “folgore”, ovvero all’inferno della bomba atomica sganciata su Hiroshima il sei agosto 1945. Ma il racconto tocca magistralmente anche lo sconcerto e il mistero che orbitava attorno alla base aerea di Tinian, nelle isole Marianne, nel Pacifico, da dove partirono i voli per i due tragici bombardamenti.
“All’orizzonte il cielo era infuocato. La sfera del sole che sorgeva faceva sembrare il mare un’enorme estensione di metallo fuso. Viste contro questo accecante mare di fiamme, le palme dell’isola di Tinian si stagliavano nere, come carbonizzate. Anche gli uomini attorno al potente quadrimotore B-29, sembravano nere ombre d’averno. L’aereo era come un mostro alato della preistoria, che portava nel ventre una bomba di specie mai vista. I suoi fasci di nervi erano i cavi di comando. I suoi motori gli davano la forza di migliaia di cavalli. Invece di un cervello, dozzine di strumenti pensavano per il mostro-macchina. Erano stati inventati da uomini e venivano maneggiati da uomini. L’equipaggio dell’aereo era pronto. Gli aviatori stavano in riga davanti ai generali Spaatz e Groves, che li guardarono l’uno dopo l’altro e si rivolsero a ciascuno di essi chiamandoli col grado ed il nome. Al colonnello Tibbets, che aveva il comando del B-29, il comandante in capo Spaatz prese la mano, e la tenne stretta”.
Al colonnello fu chiesto di dare un nome all’aereo che avrebbe guidato: Tibbets, l’americano dell’Illinois, a quel “mostro” gravido di male scelse di dare il nome della propria madre: Enola Gay.
“Alle otto e quindici minuti era scesa di altri cento metri, quando altri apparecchi inventati dagli scienziati fecero scattare l’accensione all’interno della bomba: dei neutroni provocarono la disintegrazione di alcuni atomi di un metallo pesante, l’uranio 235. E questa disintegrazione si ripeté in una reazione a catena di sbalorditiva velocità. In un milionesimo di secondo, un nuovo sole si accese nel cielo, in un bagliore bianco, abbagliante. Fu cento volte più incandescente del sole nel firmamento”.
Nei pressi dell’antico castello di Hiroscima, alcuni soldati, sulla piazza d’armi circondata da caserme, si esercitavano. Dovevano infilzare dei pupazzi di paglia, un cerchio rosso a sinistra indicava il cuore. Nello stesso istante in cui il soldato Kunyosci Komatsu infilzava il fantoccio di paglia, si dissolveva nella vampa solare atomica. Sadako e il fratellino Scigheo che cosa stavano facendo in quel momento tragico? Si trovavano in un parco isolato, mentre la madre operaia e il padre soldato ed ex barbiere si sono salvati per miracolo.
La descrizione delle macerie è desolante, soltanto sei ciliegi sono sopravvissuti alla bomba, nel cuore straziato della città.
“Sulla via di casa vidi donne, uomini e bambini morti. In qualche punto i morti erano ammucchiati gli uni sugli altri. Ciò che rimaneva della città, bruciava. Io gridavo di paura, ma tu non potevi ancora parlare. Ed ora dimmi….. ti ricordi dei morti sui quali dovevo salire per poter passare? No? Vedi! E ti ricordi del cane imprigionato nell’asfalto liquefatto, in mezzo alla strada? Guaiva così terribilmente! E ti ricordi che passammo vicino a una donna che tendeva due moncherini carbonizzati? Era sdraiata sulla schiena… il suo viso era un’unica ferita, senza più occhi, né labbra, né naso. Dallo sgomento caddi a terra con te. Oh, era orribile! non lo dimenticherò mai”.
Ma la giovane bambina Sadako, a cui il fratellino si rivolgeva allora, si ricorda del gran calore, come una bruciatura, con cui nonostante la sopravvivenza, è chiamata, dopo molti anni, a fare i conti. Il gran sole di Hiroscima non ha smesso di fare male anche alla piccola ormai adolescente, sportiva, una promessa del ciclismo, che, per guarire, deve ritagliare mille gru d’oro e farle volare sul letto dell’ospedale dove si trova.
Nel grembo dell’ospedale, due dottori curano gli ammalati colpiti dalle radiazioni, uno giapponese, Ikeda e uno americano, il dottor Owens, che si sente in colpa, al cospetto dei malati prova “di nuovo un sentimento di colpa”. Tacere non è leale e non è la strada giusta.
“Tutti dovrebbero gridare: Mai più un’altra Hiroscima! Soprattutto i giovani devono dirlo con convinzione. Sanno troppo poco di ciò che è successo, perché ne sono tenuti all’oscuro. I padri hanno paura di raccontare ai figli della grande catastrofe, e pensano: chi non conosce il pericolo vive senza preoccupazioni. Ma questo non è giusto. Io affermo invece: chi non conosce il pericolo non lo teme, non lo evita, e quindi più facilmente ne resta vittima”.
Linda Terziroli