03 Ottobre 2020

“Io non posso appartenere a nessuno, io sono una donna destinata a star sola”. Voglio essere la Gréco, voglio essere come Juliette Gréco

“Non ce l’ho con nessuno, nemmeno con me stessa. Ho scelto. Tutto. Gli amici, gli amori, e tutto il resto”. Anch’io! anch’io! anch’io… voglio arrivare a questo, voglio essere questo, lei che era così, lei che era questa qui, e io che, dannazione, non sono così, non ancora, non riesco, io che con me stessa ce l’ho, io ce l’ho col mondo intero, e pure con qualche str*nzo. Ma la vita è scegliere, ogni giorno, ogni istante, scegliere, scegliere, scegliere, ogni cosa, ogni scelta è consapevolezza, è esistere, è crescere, scegliere è come respirare, come sussurra Godard, questa è l’unica, reale libertà, “la sola nostra libertà è una libertà di scelta”, e Juliette Gréco, lo diceva, lo cantava, che lei era libera, nata libera, ma che la libertà va difesa, è sotto minaccia, un niente e cadi in trappola, specie se sei donna. Juliette Gréco non sempre si è sentita libera, la sua libertà è stata un pulsare sempre da riconquistare, a dita tese, brano dopo brano. Una libertà per cui ha ucciso. Ucciso, sì, ogni allarme, confusione, ferita, e ogni uomo che l’ha delusa, ogni amore che è finito, li uccideva lei, la Gréco, che se c’era qualcosa che odiava era un amore che cominciava ad appassire, cambiare, non era più come prima, e lei, appena ne vedeva un minimo segno, di cedimento, ecco che lo ammazzava, di netto, alla radice, decisa. Non parlando più, non essendoci più, per la Gréco l’assenza, il mutismo, erano la massima punizione, la massima mortificazione. Sua. E dell’altro.

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Il silenzio. Diceva che la sua voce nasceva dal silenzio, quello con cui è cresciuta, da sola, il silenzio di un padre che non c’è mai stato, che se n’è andato, chissà dove, con chi, il silenzio di una madre che la lascia bambina con la sorella ai nonni, madre che va via, ha altro da fare, va a combattere i tedeschi, e finisce in un campo di concentramento, è prigioniera politica, come lo sarà Juliette adolescente. Che bisogna fare, come bisogna essere, per essere, diventare delle donne come lo era la Gréco, essere belle e non solo di tratti, del viso, di forme di un corpo giovane, ma belle perché fiere, e si ha spirito, eleganza, dignità. Bisogna essere povere, che altro, affrontare una guerra e sopravviverci, che altro, emergere da quelle macerie, che altro, imparare da quella paura, quella vergogna, quella umiliazione, da quegli stracci, che altro, per quanto tempo si è andate in giro lerce così, miserabili, e mangiare un panino con una fetta di cetriolo al giorno, se ti va bene, e avere fame.

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È la fame, la povertà, quelle a noi sconosciute, che ci han dato donne così, esempi così, inarrivabili certo ma doni, sono doni, miraggi, appigli, modelli femminei quando quello che guardi, che ti offre la realtà del tuo tempo, non ti basta, non ti interessa, non lo vuoi. Non mi basta, non lo voglio, non mi interessa, io voglio essere la Gréco, voglio essere come la Gréco, gli stessi abiti, corsetto chiuso e a collo alto come un’armatura, lo stesso trucco, gli occhi bistrati, la stessa alterigia. Il segreto di Juliette Gréco è racchiuso nella foto scelta da Libération per omaggiarla, il giorno della sua morte, in quella lampo che sta per chiudersi sulla sua schiena diafana, intoccabile, e mancano pochi centimetri, e la Gréco se la chiude da sé. Non ti chiama, non le serve, lei è come non avesse mai avuto bisogno di nessuno se non del pubblico, e cantare, cos’è, è fatica, ogni volta, sempre di più, “avanzi sul palcoscenico e sei sola, tutte le sere sei sola, e tutte le sere ti trovi nella situazione di una che deve sedurre un uomo daccapo. Il pubblico al posto di un uomo”. Juliette che ha avuto uomini, e non amori, se non uno, il primo, un corridore, morto se non sbaglio in gara. Non si nascondeva: “Io non posso appartenere a nessuno, io sono una donna destinata a star sola”.

Juliette Gréco con Jean Cocteau

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Ditemi, voglio illudermene, ma quel mondo, quello della Gréco, quella Parigi lì, c’è stato davvero? M’è sempre più difficile pensarlo, finanche sognarlo assediata dalla banalità che mi tocca vivere, ripetitiva, corpi e voci che si riproducono, ossessivamente, e mai che ci sia, vi brilli un’idea che sia una, no, ognuno chiuso nella sua condivisione vacua, e ottusa. Prolissità del niente, parole che sono niente, la Gréco invece stava zitta, la Gréco ha avuto maestri che oggi dove stanno, dove caz*o stanno, non ci stanno. Juliette Gréco parlava al passato, per lei ricordare era un dovere, era un macigno, lei che era senza madre, senza padre, e “quando avevo bisogno di un consiglio, una spiegazione, andavo da questi signori, col mio libro in mano, e chiedevo: ‘Cosa vuol dire questo, Jean-Paul? Cosa vuol dire questo, François?’”. Perché Sartre, Mauriac, Maurice Merleau-Ponty, per lei avevano volto, e voce, guardavano, e rispondevano. Avevano tempo. “Maestri che offrivano il sapere senza costringerti all’inchino”. Forse la chiave non è quel vestito nero, quella chiusura lampo, ma quei libri in mano, e Saint-Germain-des-Prés centro del mondo. Per cristallizzare un pensiero ci vuole un volto, e Sartre lo decise, di dare al suo esistenzialismo il volto di Juliette Gréco. Sartre lo scrisse, che “la Gréco ha i milioni nella gola… le parole cascano dalla sua bocca come pietre preziose… v’è in lei un milione di poesie che qualcuno prima o poi scriverà”. Juliette Gréco combatteva la vita e combatteva da sola, in piedi, dacché bisogna muoversi, e battersi, in piedi, cantare, in piedi, e restarci, in piedi, se non altro rialzarsi, per opporsi a tutto quello che si detesta. Con che forza? Quale forza? “Scoprii le canzoni di Cocteau durante la Liberazione. A partire da quel momento capii il mio ruolo. E non ho mai smesso di cantarle”. Ma cantare Cocteau, Prévert, Queneau, Aznavuor, Gainsbourg, quella Francia lì, quei paesaggi lì, quelle atmosfere… è solo poesia, di un tempo, che non potrà esistere, riformarsi in qualche modo, ancora.

Barbara Costa

*I virgolettati sono tratti da:

Oriana Fallaci, Da Sartre a Zanuck, in L’Europeo, 22/09/1963 – poi in Intervista con il mito, Rizzoli, 2010

Daniela Sari, Intervista con la Gréco, in La Nuova Sardegna, 23/07/2000

Paolo Di Stefano, La mia voce nasce dal silenzio, in Corriere della sera, 19/07/2004

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