31 Gennaio 2022

Sinfonia Joyce: "gli effetti musicali del mio Sirene sono migliori di quelli di Wagner"

Il mondo in suoni: Sirene.

La lingua usata come uno strumento musicale: torcia in piena notte e buio a mezzogiorno, le parole sono tutto, nella trama incantatoria dell’Ulisse. Dove il verbo diventa mondo e il lettore si trova ‘dentro’ la pagina in un’esperienza sensoriale totale, convergenza di suoni, colori, profumi, visioni.

Una volta ‘dentro’ si crede alla finzione narrativa, quasi fossimo diventati parte vitale della storia, orditi nelle parole e nella musica, stelle che cadono a una a una nell’occhio o sul palmo della mano. Nella scia continua di musica del racconto, Sirene è la sezione con riverberi classici di mare e di onde. Wagner potrebbe esserne l’Orfeo.

Certo è stato l’entusiasmo giovanile di Joyce. Che lo condivideva persino con Arthur Symons, autore-guru di una ‘bibbia’ fin de siécle, quel Movimento Simbolista in letteratura che imprime stimmate visionarie a mezza Europa. Malgrado le fiamme d’esordio, già da inizi ‘900 nella corrispondenza joyciana s’infittiscono distacco e ironia ­– “Wagner e l’Anello e Bayreuth (memorie della mia giovinezza!)”, e per gli anni ’30 la rottura con le “dieu Wagner” si è consumata. Ma la predilezione per una narrativa-impasto orchestrale, filamenti di suoni e grappoli d’immagini legati tra loro in risacca acustica rimane.

Come una rete gettata in mare, riferimenti, nessi ed echi wagneriani attraversano l’intero Ulisse: l’Olandese volante in Proteo ed Eumeo, Tristano e Isotta in Calipso, con il velo del crepuscolo metafora di desiderio, eclisse parziale di bellezza, simbolico doppio del velo di Isotta che sventola dalla torre per Tristano ad anticipare la notte d’amore e morte invocata dagli amanti. Un parallelo implicito con il Crepuscolo degli dei è l’episodio di Circe presso una Dublino in fiamme, e Stephen Dedalus mette in parodia il dialogo tra Siegmund e Sieglinde sulla scelta del nome Wehwald nella Valkiria.
I momenti d’incrocio Joyce-Wagner sono infiniti.

Ancora la Valkiria  proietta nel romanzo l’attimo in cui Siegmund estrae la spada dall’albero dove l’ha bloccato il sortilegio di Wotan. Simbolo di ogni potere, nel riflesso di peltro della lama la spada  assicura la prova più dura, la forza che ingoia se stessa nella propria ombra, o è trasferita alla penna che appoggia parole alla pagina. Scuro e audace, il motivo della spada esce dalla partitura: “Notung!” è il grido vittorioso di Siegmund. Imitandolo Stephen ha ribattezzato Nothung il suo bastone – svilito, abbassato a gergo moderno che considera, forse, anche l’alliterazione con nothing, niente…:

Nohung! Leva in alto il bastone con ambo le mani e spacca il lampadario. La livida vampata finale del tempo sprizza e, nell’oscurità che segue, rovinare di tutto lo spazio vetro infranto e muratura lì lì per crollare: Nothung! He lifts his ashplant high with both hands and smashes the chandelier. Time’s livid final clame leaps, and, in the following darkness, ruin of all space, shattered glass and toppling masonry (p. 517, Penguin 1984)

Stephen non è l’eroe Siegmund e fa un mulinello del bastone solo per colpire, maldestramente, il paralume di una lampada.

Sirene è tra i capitoli più “musicali”, lo si è spesso ribadito. Eppure a leggere queste pagine sembra ogni volta di ascoltare un segreto detto per la prima volta. Come attraversare una via che conosciamo, ma il respiro cambia, il tempo dimentica i decenni e lo spazio diventa liquido, acqua che va. Joyce ne legge dei passi all’amico e appassionato wagneriano Ottocaro Weiss, prima di andare insieme ad ascoltare La Valkiria: “Non trovi gli effetti musicali del mio Sirene migliori di quelli di Wagner?” gli chiede.

Sembra seccato quando l’amico declina una risposta affermativa. Weiss, che adora la Valkiria, ha trovato impudente la domanda.

La realtà non è mai sufficiente, di per sé. Perciò lo scrittore sente il bisogno d’inventarsene un’altra, non da sostituire alla prima ma da sovrimporle: ecco la cattedrale di parole. Questo romanzo-mondo con l’impronta dei polpastrelli wagneriani nell’orchestrazione di misture sonore, per struttura, dizione e ritmo scavalca ogni esperimento precedente di riprodurre timbri e tecniche musicali sulla pagina. Malgrado gli anni della crescente rottura di Joyce con l’universo-Wagner.

Come i libretti d’opera wagneriani, si apre con un’ouverture di temi, brevi estratti della vicenda che segue organizzati per motivi: in effetti, sembrano l’equivalente verbale dei Leimotive wagneriani. La ricerca dei Leimotive è a lungo tra gli sport preferiti dei wagneriani (tra i pochi a non apprezzarli Debussy, che lamenta come ogni personaggio salga sul palco “accompagnato dal suo bravo motivo”). Sta di fatto che, al posto del motivo musicale, nell’Ulisse abbiamo una frase associata a personaggi o a situazioni, che risuona più volte e sempre variata.

Miss Douce e Miss Kennedy, le due “sirene” che adescano gli uomini alla “barriera corallina” del Bar Ormond sono introdotte da una sorta di mantra dai riverberi bruno-dorati:

Bronzo accanto a oro, la testa di Miss Deuce accanto alla testa di Miss Kennedy, sopra le tende dell’Ormond Bar, udirono passare gli zoccolli vicereali, acciaio sonante… (Bronze by gold, Miss Douce’s head by Miss Kennedy’s head, over the cross blind of the Ormond Bar heard the viceregal hoofs go by, ringing steal…, p. 256)

La frase è uno sviluppo dell’ouverture: Bronzo accanto a oro udirono i ferrei zoccoli, acciaisonanti. Impertntn tntntn … (Bronze by gold heard the hoof irons, stealyringing Imperthnthn thnthnth…, p. 254)

Il motivo torna ancora con alterazioni più o meno evidenti: “Sì, bronzo vicino, accanto a oro lontano, udirono acciaio vicino, zoccoli risonare lontano, e udirono acciardizocoli sonardizoccoli sonardacciaio” “bronze from anear by gold afar, heard steak from anear, hoofs ring from afar, and gheard stellhoofs ringhoof ringstee” (p. 257), “bronzo quindi oro (…), alternativamente risuonando bronzoro orobronzo” “after bronze in gold (…), ringing in changes, bronzegold goldbronze” (p. 259), “oro vicino accanto a Bronzo lontano”, “gold from anear iron by bronze from afar” (p. 263), “oro accanto a bronzo sentirono acciaio ferrato”, “gold by bronze heard iron steel” (p. 269). La prima frase che le presenta le segue mentre guardano la processione del viceré dalla finestra. Forma ritmata e suono mimetico (cui si aggiunge il ritmato zoccolio dei cavalli) stabiliscono i temi fondamentali con il sistema binario “bronzo … oro”, “vicino … lontano”, “Bronze … gold” e “anear … afar”. Questo diventerà lo schema ricorrente che identifica la coppia delle ‘sirene’.

Visivamente, parte del fascino di queste “sirene” da suburbio viene dalle capigliature diverse ma declinate nella stessa tonalità (bronzo, oro) e dal contrasto tra la gentilezza languida di Miss Kennedy e la vivacità provocante di Miss Douce. Ripetute variazioni sulla coppia si chiudono nel riepilogo finale di tutti i loro temi, che allo stesso tempo mette in scena un altro attore: Tec. Un giovane senza vedere (…). Non vedeva bronzo. Non vedeva oro (Tip. An unseeing stripling (…). He saw not bronze. He saw not gold, p. 289).

L’elaborazione ‘musicale’ della forma traina il senso, l’artificialità delle due ragazze, la loro affettazione al bar esibite in stile deliberatamente costruito:

Miss Kennedy trotterellò tristemente via dalla fulgida luce, attorcigliandosi un Capello ribelle dietro un orecchio. Trotterellando tristemente, non più oro, attorceva e attorcigliava un capello. Tristemente attorcigliava trotterellando capelli d’oro dietro un orecchio attorto. (…) Miss Deuce si alzò a metà per guardarsi di traverso la pelle nello specchio del bar adorno di caratteri dorati dove balenavano bicchieri di vino del Reno e chiaretto e in mezzo una conchiglia. (Miss Kennedy sauntered sadly from bright light, twining a loose hair behind an ear. Sauntering sadly, gold no more, she twisted turned a hair. Sadly she twined in sauntering gold hair behind a curving ear. (…) Miss Douce halfstood to see her skin askance in the bairmirror gilded-lettered where hock and claret glasses shimmered and in their midsts a shell, pp. 256-7).

Sospeso il luccichio di specchio e bicchieri duplicato dalla trasparenza del vino bianco (chiaretto), si segue con crescente attenzione il passaggio per le vie di Dublino del nuovo personaggio: l’accordatore di pianoforti cieco. La resa fonetica del suo arrivo è vivacemente suggerita da manipolazioni di ritmi, ripetizioni e allitterazioni, assonanze, quasi calchi di paesaggio sonoro: “Il cieco camminava ticchettando un tic dopo l’altro”, “Tap blind walked tapping by the curbstone tapping, tap by tap” (p. 287).

Il tema sviluppato s’innesta in quello delle Sirene. Rovescia la posizione di Odisseo, che sente ma non vede la sua “sirena”:

Tic. Tic. Un giovanotto, cieco, con un bastone ticchettante, avanzava ticticticchettando davanti la vetrina di Daly dove una sirena, chioma tutta grondante (ma lui non poteva vedere), tirava boccate da sirena (…). Tic. Un giovane entrò nell’atrio vuoto dell’Ormond. (Tap. Tap. A stripling, blind, with a tapping cane, came taptaptapping by Daly’s window where a mermaid, hair all streaming (but he couldn’t see), blew whiffs of a mermaid (…). Tap. A youth entered a lonely Ormond hall, p. 288)

All’inizio i “tic” del suo bastone sono isolati. Con il racconto che progredisce, più il ragazzo si avvicina al bar, più i battiti dei “tic” aumentano, le pause di silenzio si accorciano. Infine anche lui entra nel bar. Ritmi manipolati, schegge di suoni replicati, allitterazioni e assonanze “si sono fatti” personaggio. Wagner è rimasto indietro, nella vita-esperienza di Joyce-Ulisse, ma l’esecuzione continua. All’infinito.

Il tema di Boylan è orchestrato anche più enfaticamente. Nell’ouverture è annunciato da “tinnulo tinnulo in calessino tintinnante. (…) Tinnulo”, “jingle jingle jaunted jinglinging. (…) Jingle” (pp. 255-6), reminiscenza del cigolio nel letto di Molly nell’episodio di Telemaco. Il motivo riemerge quando lo si ritrova diretto verso la fine di Wandering Rocks. Le rocce erranti del mito, opposte al grigiore di Dublino. Bloom lo vede sfrecciare alla guida di un’auto fiammante:

Tinnulo. (…) Tinnulo calessino tinullo. (…) Tinnulo su molleggianti gomme scarrozzava dal ponte alla riva Ormond (Jingle (…) Jingle jaunty jijngle (…) Jingling on supple rubbers is jaunted from the bridge to Ormond quay, pp. 260-3).

Si capisce la fonte di “jaunty” e “Jingle”. Audaci ritmi brillanti ne descrivono l’ingresso all’Ormond Bar:

Tintinnio di calessino accostò il marciapiede e si fermò. (…) Tinnulo un tintinnio del calessino. (…) Tintinnante. E’ andato. Senti… (Jingle jaunted by the curb and stopped. (…) Jingle a tinkle jaunted. (…) Jingling. He’s gone. Hear…, pp. 263-6).

Il suo soggiorno è breve e l’azione limitata. Ma la presenza dominante, imperativa, è chiara: gli effetti musicali fanno da contrappunto alla sua baldanza un po’ volgare, mentre l’incontro con Molly si avvicina. Ancora, lo stile materializza attore e scenografia in una poetica novecentesca riformulata di soundpainting.

Pochi anni dopo l’uscita del romanzo, nel 1929, Ernst Curtius affermava che nell’Ulisse “la tecnica letteraria usata è l’esatta trasposizione dell’uso musicale del Leitmotif, il metodo wagneriano”. Vero. Fino a un certo punto. Nella cattedrale di verbo e musica di “Sirene” ogni suono concorre a far esplodere significati. Nel tema, il canto ammaliatore delle “Sirene”, la combinazione-abbraccio con la musica è al culmine. Ad assicurarcene, la voce del poeta:

C’è una seduzione nella musica, ha detto Shakespeare (Music hath charms Shakespeare said, p. 279).

L’intervento improvviso del bardo tuttavia è momentanea, la sua voce si spegne. Nemmeno la riva dell’Avon è più dove l’abbiamo lasciata. Le parole sciolte in musica si riappropriano, prima o poi, della loro essenza e tornano a essere parole: “Più libero all’aria. Musica. Ti dà ai nervi”, “Freer in air. Music. Gets on your nerves (p. 287) è il verdetto finale di Bloom mentre esce dal bar.

Paola Tonussi

Gruppo MAGOG