Akutagawa, il ronin della scrittura
Letterature
2222. Questo è il meridiano della letteratura moderna, la cifra che sintetizza ogni contemporaneo, con sferica nitidezza. Il 2 febbraio del 1922 (2/2/22) James Joyce compie quarant’anni e si festeggia con la pubblicazione, quel giorno, presso la Shakespeare and Company di Sylvia Beach, di Ulysses. Chissà se fu felice, o quasi. La replica della cifra sacra, 2222 (2 febbraio 2022), ha in sé qualcosa di mefistofelico – piacerebbe a Joyce – benché sia da escludere l’eterno ritorno dell’uguale: non si vedono copie del divo Giacomo qui in giro, assente è il contesto, per così dire, che vigeva un secolo fa, la possibilità di un libro come Ulysses, perfino la dedizione, la devozione verso il lavoro ben fatto prima che scandaloso. Ad ogni modo, da quella data, consapevoli o meno, tutti discendiamo dall’Ulisse di Joyce, anche noi (sia lode a Carlo Linati, ma anche a Roma, dove Joyce catturò idee fatali nel 1906, e a Trieste e a Italo Svevo…).
Il 2/2 del ’22, cioè nell’anno adamitico 2222, fu una specie di esplosione verbale di cui s’ode ancora l’impeto, imperiale: nessuno, da lì in poi, può prescindere dal “super-romanzo” (copy Ezra Pound) di Joyce, per sottomissione o ribellione. Una storia dell’influenza di Ulisse nella letteratura occidentale del Novecento finisce grosso modo per coincidere con la letteratura occidentale del Novecento: T.S. Eliot – pur usandolo per tirare il carro alla propria estetica – aveva capito tutto, “Usando il mito e operando un continuo parallelo tra contemporaneità e antichità, Joyce instaura un metodo che altri potranno utilizzare dopo di lui”; seguiva, per capirci, il paragone con “le scoperte di un Einstein”. Insomma, il ‘metodo’ di Joyce era equivalente alla teoria della relatività generale di Einstein (che nel 1921 aveva ricevuto il Nobel per la fisica). Da allora, nulla sarebbe stato più come prima. Virginia Woolf legge Ulisse irritandosi – “Ho terminato l’Ulisse e mi sembra un colpo mancato. Genio ne ha, direi, ma di una purezza inferiore. Il libro è prolisso. È torbido. È pretenzioso. È plebeo, non solo nel senso di ovvio, ma nel senso letterario” –, Ezra Pound lo esalta esalando urla: “Tutti gli uomini dovrebbero «unirsi per elogiare Ulisse»; chi non lo farà potrà accontentarsi di un posto negli ordini intellettuali inferiori; non voglio dire che tutti debbano elogiarlo a partire dallo stesso punto di vista, ma tutti i seri uomini di lettere, che ne scrivano o meno una critica, dovranno di certo concepirne una per loro uso e consumo”. William Faulkner, dopo una gita tra bordelli italiani vari, atterra a Parigi, nel ’25, e sogna di vedere Joyce dalla vetrata di un cafè, in Place de l’Odéon: la lezione di Ulisse gli è necessaria per giungere a L’urlo e il furore. Nel 1932, per onorare i cinquant’anni di JJ, Hermann Broch, a Vienna, dà lettura del suo saggio, James Joyce und die Gegenwart (poi pubblicato nel 1936; in Italia è uscito come James Joyce nel 1983, da Editori Riuniti): lo stesso editore tedesco dell’Ulisse pubblicherà il capolavoro di Broch, La morte di Virgilio, che usa, a modo suo, il ‘metodo’ di Joyce. L’Ulisse è testo assoluto e seminale: inimitabile, ha mutato le geografie fino ad allora sperimentate dal genere romanzo; una specie di rivoluzione quantistica. Ne Il gioco degli occhi, Elias Canetti racconta quando ha incontrato Joyce, a Zurigo, nel 1935: fu una fuga nel frainteso. Canetti aveva letto, in pubblico, la sua Commedia della vanità, di cui Joyce aveva recepito solo alcuni frammenti. “Nell’intervallo fui presentato a Joyce”, scrive Canetti, “il quale si espresse in termini molto bruschi e molto personali: ‘Io mi faccio la barba col rasoio, senza specchio!’”. Nella Commedia si accennava agli specchi, al loro inesorabile enigma, ma quella di Joyce pare una frase che nasconda un cabbalista, dai sensi irritati e sovrapposti. Spesso i biografi ricordano che dopo aver pubblicato Ulisse, Joyce subì “nuovi disturbi agli occhi”, quasi che vi fosse una coincidenza tra scrittura e cecità.
Tra le diverse traduzioni recentissime dell’Ulisse, scegliamo quella che Alessandro Ceni, tra i rari poeti italiani di oggi, ha realizzato per Feltrinelli; in onore al 2222 della letteratura, ecco un brandello dal fatidico Molly’s monologue, l’ultimo capitolo del libro.
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Sì perché lui mica l’aveva mai fatta una cosa come quella prima di chiedere di avere la colazione a letto con un paio d’uova dal tempo del City Arms Hotel quando gli era presa di far le viste d’essere costretto a letto con una voce da malato a fare la sua altezza per farsi interessante con quella vecchia carampana di Mrs Riordan che lui credeva d’averci mano libera e lei manco un nichelino c’ha lasciato tutto in messe per sé e l’anima sua la più grande spilorcia mai che addirittura c’aveva paura di scucire 4 penny per il suo alcol denaturato a raccontarmi tutti i suoi acciacchi che ci aveva la tiritera da avercene fin qui sulla politica e i terremoti e la fine del mondo e un pochino spassiamocela piuttosto Dio l’assista il mondo se tutte le donne fossero della specie sua dagli ai costumi da bagno e scollature si capisce nessuno voleva se li mettesse lei per me era pia perché non c’è uomo che l’abbia guardata due volte spero di non essere mai come lei miracolo che non volesse ci si coprisse la faccia ma era una donna istruita certamente e il suo cicalare su Mr Riordan qua e Mr Riordan là per me fu contento di essersela tolta dai tre passi lei e il suo cane che mi stava ad annusare la pelliccia e sempre a intrufolarsi per andarmi sotto le sottane specialmente poi però mi piace questo in lui educato con le vecchie così e i camerieri e i mendicanti pure non s’inorgoglisce di nulla ma non sempre se mai gli capita un qualche cosa di realmente serio è molto meglio per loro andare in ospedale dove tutto è pulito ma mi sa dovrei martellarglielo per un mese sì e poi avremmo d’acchito in ballo la questione infermiera che lo farebbe star lì finché non lo buttano fuori o una monaca magari come la foto zozza che ha che quella è monaca quanto lo sono io sì perché loro sono così deboli e piagnucolosi quando son malati vogliono una donna per rimettersi se gli sanguina il naso t’immagini Oh tragedia e quell’aria da stomorendo sceso dalla circolare sud quando si slogò il piede alla festa della corale al Monte pandizucchero il giorno che indossavo quel vestito Miss Stack gli portava dei fiori i peggio andati che poteva trovare sul fondo del cesto qualsiasi cosa di tutto pur d’entrare nella camera da letto d’un uomo con quella sua voce lì da vecchia zitella provandosi a immaginarselo che moriva per lei di mai più riveder il tuo volto anche se sembrava più uno che non s’è fatto la barba da un po’ a letto babbo era uguale a parte che odio bendare e dare medicine quando si taglia il dito del piede col rasoio nel pareggiarsi i calli impaurito di buscarsi un avvelenamento del sangue ma se ero per dire io ad ammalarmi allora sai che attenzioni solo che naturale la donna lo nasconde per non dare tutto l’incomodo che danno loro sì è andato in qualche posto sono sicura dall’appetito che c’ha a ogni modo amore non è o lo avrebbe perso pensando a lei così o era una di quelle donne di notte se laggiù c’è stato davvero e la storia dell’hotel ha messo su un mucchio di bugie per nascondere le intenzioni Hynes m’ha trattenuto chi è che ho incontrato ah sì ho incontrato ricordi Menton e chi altri che vediamo quella faccia da bambinone ho visto lui e che non era sposato da molto che faceva il cascamorto con una ragazzina al Miriorama di Poole e gli detti le spalle quando se la squagliò con un’aria da sprofondarsi che sarà mai ma ha avuto la sfacciataggine di ronzarmi intorno una volta ben gli sta pottaione e gli occhi assatanati di tutti i babbioni capitatimi e quello me lo chiamano procuratore solo che odio baruffare a letto o sennò se non è questo è una puttanella o l’altra imbarcata da qualche parte o agganciata alla chetichella se solo lo conoscessero come lo conosco io sì perché l’altro ieri stava scribacchiando qualcosa una lettera quando entro nella stanza sul davanti per i fiammiferi per fargli vedere della morte di Dignam sul giornale come se qualcosa me lo dicesse e lui la coprì con la cartasuga fingendo di star pensando agli affari così molto probabilmente era per qualcuna che si crede di aver pescato il rimbischerito perché a tutti gli uomini gli piglia un po’ in quel modo alla sua età specialmente verso la quarantina com’è ora lui così da spillargli a moine quanti più soldi può non c’è scimunito peggio d’un vecchio scimunito e poi il solito venirmi a baciare il sedere per farla di nascosto non che me ne importi un piffero con chi lo fa o chi ha conosciuto prima a quella maniera pure mi piacerebbe scoprirlo a patto di non averceli tutt’e due sotto al naso tutto il tempo come quella sgualdrina quella Mary che avevamo a Ontario terrace che s’imbottiva quel suo sedere finto per eccitarlo basta e avanza sentirgli su l’odore di quelle femmine pitturate una volta o due ho avuto un sospetto facendolo venire vicino quando trovai il capello lungo sul soprabito senza quella quando andai in cucina che faceva finta di bere dell’acqua 1 donna a loro non basta tutta colpa sua si capisce rovinare le serve poi proporre di farla mangiare alla nostra tavola a Natale se non ti spiace Oh no grazie non in casa mia mi rubava le patate e le ostriche 2/6 la dozzina mi usciva per andare a trovare la zia per piacere furto abituale altro che ma io ero sicura che lui qualcosa con quella lì ce l’aveva ci voglio io per scoprire una cosa come quella lui diceva non hai prove era lei la prova Oh sì sua zia stravedeva per le ostriche ma io le dissi quel che pensavo di lei suggerirmi d’uscire per restare solo con lei non mi sarei abbassata a spiarli le giarrettiere che trovai nella sua stanza il venerdì che lei era fuori questo mi bastò un tantino troppo per me e come pure le si gonfiò la faccia per la stizza quando le detti gli otto giorni meglio farne a meno del tutto le camere le fo più alla svelta io non fosse per la dannata cucina e buttare la spazzatura gliela cantai a lui a ogni modo o via lei o via io non riuscivo neanche a toccarlo se pensavo che era stato con una sudicia svergognata bugiarda sciattona come quella negandomelo in faccia e cantando qua e là per la casa nel WC pure perché lei sapeva che se la passava più che bene sì perché lui non riesce proprio a farne a meno a lungo così deve farlo da qualche parte e l’ultima volta m’è venuto sul sedere quando fu la sera che Boylan mi strinse forte la mano andando lungo la Tolka nella mia mano ecco furtiva un’altra io premetti appena il dorso della sua in questo modo col pollice per rendere la stretta cantando la giovin luna di maggio è raggiante amore perché lui s’è fatto un’idea su lui e me non è così sciocco disse ceno fuori e vado al Gaiety anche se io non ho intenzione di dargli la soddisfazione in ogni caso lo sa Iddio lui è cambiamento in un certo senso non essere sempre e per sempre con indosso lo stesso vecchio cappello a meno che non paghi qualche bel ragazzo per farlo siccome mica posso farlo da sola a un giovanottino gli piacerei lo manderei in confusione un poco da sola con lui se fossimo gli farei vedere le giarrettiere le nuove e lo farei diventar rosso guardandolo seducendolo io lo so cosa i ragazzi provano con quella peluria sulle guance lì a farsi quel sbatti e mena col coso a ore domanda e risposta lo faresti questo quello e quest’altro col carbonaio sì con un vescovo sì lo farei perché glielo dissi di un certo Decano o Vescovo seduto accanto a me nel giardino del Tempio ebreo quando lavoravo a maglia quella roba di lana nuovo di Dublino che posto era questo e così via i monumenti e mi spossò di statue incoraggiarlo farlo peggio di quel che è chi è che hai in mente su dimmi a chi stai pensando chi è dimmi il suo nome chi dimmi chi l’Imperatore Tedesco è sì immagina io sono lui pensa a lui ma senti te che cerca di fare di me una puttana che mica ce la farà mai dovrebbe smetterla oramai arrivato alla sua età pura rovina per qualsiasi donna e nessuna soddisfazione a far finta che ti piace finché lui viene e poi finire da sola alla meglio t’illividisce le labbra comunque è fatta ora e una volta per tutte con tutte le chiacchiere del mondo che la gente ci fa sopra è solo dapprincipio dopo è la solita lo fai e non ci pensi più perché non puoi baciare un uomo senza prendere e sposartelo prima delle volte ami all’impazzata quando senti quel modo così piacevole dappertutto su di te che non ti tieni io vorrei che un uomo questo o quello mi prendesse una qualche volta quando lui è qui e mi baciasse stretta fra le sue braccia non c’è niente come un bacio lungo e caldo che ti scende giù nell’anima quasi ti paralizza poi odio quella roba la confessione quando andavo da Padre Corrigan mi ha toccata padre e che male c’è se l’ha fatto dove e io dicevo sull’argine del canale come una sciocca ma dove da che parte sulla tua persona figlia mia sulla gamba dietro in alto era sì piuttosto in alto era dove ti siedi sì…
James Joyce