
Napoleone non esiste. Contro il negazionismo e il moralismo storico
Politica culturale
Alessio Magaddino
Oggi cinque maggio è onesto ricordare Napoleone con un resoconto “al vivo” un anno dopo la sua disfatta a Waterloo. Il diario di John William Polidori non è storia e nemmeno poesia, è vita: “Napoleone bevve un solo bicchiere di vino dall’inizio della battaglia alla fine della sua fuga”, scrive John William accompagnando come medico e segretario un certo Byron su suolo europeo nel maggio del 1816.
Stessi mesi in cui Napoleone dettava in esilio le sue impressioni a Las Cases:
07.05.1816
Abbiamo chiacchierato di letteratura, passando in rassegna l’epica antica e moderna. L’imperatore si è soffermato sull’Iliade, ne ha preso un volume e letto ad alta voce diversi passi. Quest’opera gli piace infinitamente: “È, come la Genesi e la Bibbia, il sigillo ed il compendio della sua epoca. Omero, nel comporla, è stato poeta, oratore, storico, legislatore, geografo, teologo: era l’enciclopedista del suo tempo.“
L’Imperatore considera Omero inimitabile. Ciò che più lo impressiona sono i costumi primitivi uniti alla perfezione delle idee: “Potete vedere gli eroi uccidere la loro preda, cucinarsi da soli il pasto e, subito dopo, pronunciare discorsi di rara eloquenza e sublime umanità.”
Tutto questo un altro grande lo riassumerà nel 1821 con tre sestine di una poesia tanto citata quanto bistratta:
E sparve, e i dì nell’ozio
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.
Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa,
L’onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere
Prode remote invan;
Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
Narrar se stesso imprese,
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!
E ora un po’ di prosa.
John William Polidori lo si ricorda, quando si può, come l’autore di un racconto lungo e per niente arguto, Il vampiro, che fece sentire freddo lungo la schiena al pubblico inglese il quale pensava a inizio Ottocento che i racconti del surreale e dell’orrore fossero una prerogativa delle taverne tedesche e parigine.
Il vampiro non diede né soldi né fama a Polidori. Morì ancora più oscuro di quanto fosse nato, a 26 anni nel 1821. Per via ereditaria si collegano a lui i vari Rossetti emigrati da Vasto in Inghilterra. E pensare che il nonno di Polidori era stato segretario di Alfieri: era una dinastia destinata a finire in gloria.
Andrea Bianchi
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Dal diario di John William Polidori
4 maggio 1816
Abbiamo raggiunto Waterloo dov’era il quartier generale di Napoleone. Un locandiere importuno insisteva perché ordinassimo da mangiare. Siamo scappati e andando avanti siamo arrivati a St Jean, dove i ragazzini offrono le stesse cose che a Waterloo, bottoni, libri, ecc.
Questo era il villaggio da cui viene il nome francese della battaglia, credo, perché era la posizione che Napoleone cercava di guadagnare. La vista della pianura, mentre avanzavamo sulla destra, ci ha colpito come un camposanto delle speranze di cui il coraggio e la guerra hanno fatto scempio. Rilievi gentili, abbastanza da offrire vantaggio a chi è sotto attacco – poche siepi – e pochi alberi. Non c’erano segni di devastazione tali da attirare l’attenzione di chi passa: se non fosse per l’insistenza dei ragazzini e lo scintillio dei bottoni che tengono in mano, della guerra non ci sarebbe alcun segno.
I contadini fischiettavano spensierati, il verde della natura era intenso e gli alberi muovevano i rami con dolcezza, come prima della battaglia. Le case sono state riparate. Solo alcuni punti intonacati di bianco tra i mattoni indicavano il danno inferto dai cannoni; in rovina c’era solo Hougoumont che venne attaccata con tanto coraggio e difesa con tanta facilità – o per lo meno così immagino, visti i pochi che finirono ammazzati nel giardino e la vista dell’insieme, mentre tanti francesi giacevano morti in campo aperto. Nel giardino furono ammazzati solo venticinque inglesi, in campo aperto millecinquecento; e nell’altro schieramento, senza contare i feriti, vennero massacrati seicento francesi.
Va detto che il valore, la fermezza e il coraggio che i francesi hanno dimostrato attaccando questo posto, difeso in alto dai nostri cannoni e dalle feritoie dai nostri soldati, nobiliterebbero da soli la causa per cui hanno combattuto. Prima di arrivare a Hougoumont ci hanno mostrato i luoghi dove Hill, Pictony e gli Scotch Grays hanno realizzato le loro molte imprese. Il luogo che ha visto la tremenda carica della cavalleria è l’unico segnato da una siepe. Con i corazzieri che avanzavano, gli Scots si divisero mostrando una batteria nascosta che sparò a raffica contro lo schieramento avverso, e poi furono gli Scots a venire attaccati. Adesso non mi meraviglio troppo che abbiano vinto.
Le corazze che abbiamo visto erano quasi tutte segnate da proiettili e colpi di baionetta e di sciabola. Buonaparte e i francesi, la guida ci ha detto, ammiravano molto l’ottima disciplina e il coraggio incrollabile degli scozzesi in gonnella. Procedendo ci hanno mostrato il punto dove arrivarono i prussiani, che risolsero la battaglia per un colpo di fortuna, e, poco più distante, il punto dove il colonello Howell, cugino del mio amico [Byron], fu sepolto prima di venir portato in Inghilterra. Tre alberi, uno dei quali tagliato, segnano il punto, che ora è stato dissodato. A Hougoumont abbiamo visto la cappella, intatta, dove giacevano i nostri feriti e dove il fuoco ha consumato le palme dei piedi di un crocifisso.
I contadini dichiarano che durante l’ultima carica della Guardia Imperiale Napoleone era certo di arrivare a Bruxelles en quatre heures. Wellington, dopo la sconfitta dei Prussiani ecc., andò a Waterloo il 17 e decise dove avrebbe stanziato ogni armato. È stato un grande vantaggio: ma nonostante la sua eccellente posizione, sarebbe di certo stato sconfitto se non fosse stato per la fortunata avanzata dei prussiani. Da Hougoumont siamo andati alla casa dalle tegole rosse che è la ricostruzione di quella dove Buonaparte era stanziato, il suo quartier generale. È da questo luogo che ha visto l’arrivo dei Prussiani, pensando che fosse l’armata di Grouchy. È qui che ha avvertito per la prima volta la certezza della disfatta, subito dopo aver mandato la vecchia Guardia Imperiale all’ultimo attacco, nella certezza della vittoria.
Subito dopo, sulla strada, è apparsa la Belle Alliance dove si incontrarono Wellington e Bluecher. Il nome deriva da un matrimonio in tempo di pace; e ora può adattarsi a un incontro bellico. Di lì siamo ritornati a St Jean dopo essere ripassati a Hougoumont. Qui ci hanno mostrato corazze, elmi, bottoni, spade, aquile e libri dei reggimenti. Abbiamo comprato gli elmi, le corazze, le spade ecc. di un ufficiale e soldato dei corazzieri, e anche aquile, coccarde ecc.
Mendicanti, una conseguenza dell’espansione inglese.
Abbiamo cavalcato sul campo di battaglia, il mio amico cantava una canzone turca – io ero in silenzio, intento a galoppare sul campo, il più bello che si possa immaginare per una battaglia. La guida ci ha detto che l’unica cosa che gli è stata raccontata dalla guida di Buonaparte dopo la battaglia è che questi aveva solo domandato la strada per Parigi, e non aveva detto nient’altro.
Oggi il mio amico ha scritto ventisei strofe – alcune su Waterloo.
A Bruxelles, la notte della battaglia di Waterloo, la gente era parecchio sulle spine – i servi e altri li svegliavano ogni minuto per dire che i francesi erano alle porte. Alcuni tedeschi andarono là con immenso coraggio, di corsa. Lord Wellington mandò a chiedere a un colonnello se correva via dalla battaglia o verso di essa, dandogli la scelta tra le due opzioni. Sentendo questo il summenzionato colonnello fece sfacciatamente dietrofront, e trotterellò verso Bruxelles con la sua truppa.
Dacosta, la guida, dice che Buonaparte era calmo e composto finché non arrivarono i prussiani e che allora disse a Bertrand: “Quella sembra l’aquila prussiana”, e quando Betrand assentì il suo volto, per un attimo, si fece pallido. Dice che mentre guidava la Guardia Imperiale, arrivati alla casa dalle tegole rosse andò dietro a una collinetta per non farsi vedere e così li seminò. Wellington si comportò da soldato quando si sarebbe dovuto comportare da generale, e da ballerino quando avrebbe dovuto comportarsi da soldato. Dopo aver visto il campo di battaglia, e ricordando l’immenso coraggio dei soldati, non riesco a dare a Wellington la palma di condottiero che gli hanno attribuito tanti suoi ammiratori. Napoleone bevve un solo bicchiere di vino dall’inizio della battaglia alla fine della sua fuga.
John William Polidori