08 Febbraio 2023

“Mi sono rigato le mani di sangue”. Jean Grosjean, poeta dell’assoluto

In una recente pubblicazione, Le Sommet de la route et l’Ombre de la croix (Gallimard, 2021), Jean-Pierre Lemaire installa Jean Grosjean tra i six poètes chrétiens du XX siècle, una specie di conclave della poesia francese, insieme a Charles Péguy, Paul Claudel, Francis Jammes, Marie Noël e Patrice de la Tour du Pin. In poesia, ogni didascalia rischia di trasmutarsi in condanna, ogni onore in museruola. Nato a Parigi quattro giorni prima del Natale del 1912, la vita di Jean Grosjean non può disgiungersi dalla scelta sacerdotale e dalla lacerazione: dopo gli studi presso il seminario di Saint-Sulpice, è ordinato prete nel 1939, sulla soglia della Seconda guerra. Nel 1950, tuttavia, Grosjean si disfa del sacerdozio, si sposa, ritirandosi ad Avant-lès-Marcilly, percorrendo una vita di studi, autarchica, e di contemplazione. Nel campo di Sens e negli stalag di Pomerania e Brandeburgo, durante la guerra, aveva conosciuto André Malraux e Claude Gallimard, l’editore con cui inaugura un legame che durerà per tutta la vita. Il primo libro di poesie di Grosjean, Terre du temps, esce nel ’46 proprio per Gallimard, dopo aver ottenuto l’effimero – durò quattro edizioni – prix de la Pléiade, che contava, in giuria, tra gli altri, Camus, Malraux, Sartre, Maurice Blanchot, Raymond Queneau, Joë Bousquet. Sarà il primo libro di una serie: la poesia di Grosjean, che spesso si coagula nel ‘poema in prosa’, devia in recitativi visionari come Le Messie (1974), Darius (1983), Pilate (1983), Samson (1988), Samuel (1994), Adam et Ève (1997), pubblicati in edizioni di pregio nella “Hors série Littérature” Gallimard.

Se proprio si vuole assegnare l’idolo di una descrizione a Grosjean, potremmo dirlo poète de l’absolu. Poeta dell’assoluto. Così lo dichiara l’editore Philippe Lebaud presentando la sua traduzione dell’Ecclesiaste, Les Versets de la sagesse (1996). Morto nel 2006, ritenuto l’estremo sapiente della letteratura francese, Jean Grosjean ha tradotto diversi testi biblici: la sua attenzione si è rivolta, in particolare, ai profeti, al Vangelo di Giovanni, all’Apocalisse; nel 1971, per ‘La Pléiade’ Gallimard, esce la traduzione del Nuovo Testamento curata insieme a Michel Léturmy. L’interesse di Grosjean è però poliedrico, nel solco della contraddizione permanente, cercata: nel 1979 pubblica la sua traduzione del Corano – esito di studi iniziati in Medio Oriente –, mentre le traduzioni da Eschilo e Sofocle sono costantemente rieditate da Gallimard. Insieme a Jean-Marie Gustave Le Clézio ha creato, nel 1989, la collana ‘L’Aube des peuples’, con l’intento di raccogliere miti e leggende di ogni angolo del globo. Amico di Malraux, un po’ a disagio nel contesto della poesia contemporanea, Grosjean ha riconosciuto il talento di Thierry Metz, introducendo, nel 1990, Le journal d’un manœuvre.

Jean Grosjean resta poeta refrattario, del rifiuto, che va scoperto. La sua non è poesia che accarezza, ma che consacra. In Italia la sua opera è pressoché sconosciuta: nell’ultimo numero di “Poesia”, Annalisa Crea ha pubblicato un servizio su Jean Grosjean. Il camminatore del crepuscolo, traducendo una silloge di testi da Le lueur des jours (1991):

“i jours evocati da Grosjean sono in effetti quelli in cui, anziano ma in perenne cammino, percorre campi e sentieri rischiarati da una luce che ama seguire quando, in autunno o al crepuscolo, si fa obliqua. È la luce della soglia fra il giorno e la notte (e la notte non è altro “che il rovescio di un altro oggi”) quella che meglio si attaglia a Grosjean, poeta del limitare”.

Sono poesie molto belle. Ne ricalco un paio.

“I nostri piani furono ritirate di Russia
da cui ognuno si è tratto a modo suo:
i nostri padri lasciarono i mobili in soffitta
per sorprendere i nostri figli col loro naufragio.

I mietitori sulle cui spalle rilucevano
falci usurate dall’affilatura
tornarono madidi al crepuscolo
a coricarsi sulla terra insieme all’orzo.

Il corpo a corpo delle stagioni in cielo
non dà tregua alcuna alle nostre genie:
vengono gli anziani dai villaggi
ad infiorare tombe a cui si aggiungeranno.

Io ti porto a mo’ di rose nell’abisso
questi giorni di terra ai quali fui invitato:
se mi sono rigato le mani di sangue
è per paura d’esser preso per poeta”.

Questa poesia si chiama Declino:

“Obliquità dell’ora tardiva
e trasparenza d’ali degli uccelli
quando s’involano nei raggi di luce.
Sentore d’erbe come una cena d’eremo.
Passaggio dei passi d’una brezza tra le erbe.
Lento allungarsi di ombre di alberi
e umidità che veste i ruscelli la sera.
Baluginìo di un bosso in fondo ai boschi
come sono apparsi gli scomparsi,
come la loro luce in fondo all’anima”.

Qui di seguito altri testi, in altra traduzione, a seminare Grosjean come chi getta semi di fuoco nella gola della notte.

***

Provare il deserto

Si è allontanato dai villaggi. Verso sera, raggiunge il deserto, s’infossa nella sua enfiagione. Si libra nel mutismo dello spazio. Dorme a tratti. Le costellazioni ruotano lente. Poi la luminaria notturna del cielo si estingue nel pallore dell’alba.

Addossato a una pietra fredda mira la nascita della luce. Sente montare il tepore, poi la febbre, sorda. Non mangia più. Il caldo lo morde. Occhi offesi dall’eclatante chiarezza del giorno. Bisogno di cocci d’ombra per sopravvivere, cambiare posto secondo l’ora.

Finché il sole non smette di vibrare come una freccia allo zenit. Azzurro ferito a morte. Il caos del suolo precipita nel pozzo delle altezze e l’anima nell’incoscienza.

Istanti improvvisi. Lo scorpione sotto la roccia. Un respiro tra i piedi impolverati, lapidazione di sabbia.

Anche il sole è stanco. Disarmato dai raggi, la brace è sospesa e bianca, poi crolla.

Ed è ancora notte, fredda, sotto un cielo di pietre tremolanti e sillogi di meteore.

Insonnia fino al piccolo mattino, fino all’abisso del sonno senza sogni, e rinvenire in pieno giorno.

Davanti a me si distende l’avvenire. Dietro di me le indistruttibili mura del passato. Chiudo gli occhi. Ti attendo.

Silenzio. Una frattura nel silenzio. Il tuo passo è leggero.

*

Il tempo

L’aratore lancia semi e giuramenti, in volo, sopra i cavalli.
La terra crolla come sabbia sulla spalla lucente del vomere.

Tutto il cielo ruota,

l’angelo parla

ma il tempo non è che te.

Fai un passo in avanti, il futuro si inchina.

*

Grido

Una mattina come le altre, l’avena tagliata ieri, il frutteto cosparso di pruni.

Il fiume si allontana alleggerito dalla nebbia.

Una nuvola all’orizzonte, l’agnello dimenticato dalla madre, il picchio rosso che grida.

L’erba alta ondeggia, bilancia il debutto del mondo.

*

Da Samuel

Samuel monta per i boschi quando vede venirgli incontro due sconosciuti, un uomo reso scuro dalle stagioni, l’altro giovane, alto, con la testa solida e i capelli arruffati: colpiva la ferocia del suo sguardo.

Disse a Samuel: Cerchiamo il veggente, dov’è la sua casa?

Sono io.

Allora l’altro snoda un pezzo di tela per offrirgli un antico pezzo d’argento.

Come sapevate che ero qui?

Ce lo hanno detto le ragazze, alla fonte.

Samuel tiene gli occhi fissi sul ragazzo, alto. Gli sembra di averlo visto in sogno. Gli sembra di riconoscere quello sguardo, intenso e assente. Non gli chiede il nome. Quando gli dice che si chiama Saul, ne ricorda i tratti.

L’azzurro riposava tranquillo sui tetti. I camini sono bene ancorati. Una torre di guardia sul colle.

Cenano con alcuni clienti abituali nell’oscurità della grande sala. Samuel chiacchiera per divertire gli ospiti. Saul stringe i pugni per sbriciolare il tempo perduto. Samuel, d’un tratto, lo afferra per un polso e lo trascina nel giardino. Non sa ancora cosa dire. Guarda il cespuglio di ortiche, ode il crepitio della vegetazione, il silenzio del giovane. I motti di un merlo lo distraggono: tra gli alberi, le colline blu all’orizzonte, sembra così vicine.

Poi Samuel comincia a parlare, deve parlare, ha molto da dire, ma lo fa in modo maldestro, male.

Jean Grosjean

Gruppo MAGOG