09 Febbraio 2022

Il metodo degli anticonformisti. Come nacque il mito di James Dean

“Come vedete, finalmente abbiamo uno spazio”, disse Lee Strasberg ai membri dell’Actors Studio, era l’ottobre del 1956. “Questo luogo è un simbolo, ci dona la sensazione di qualcosa di duraturo. Non sappiamo cosa faremo l’anno prossimo, ma sappiamo dove saremo l’anno prossimo. Tutto è possibile”. Era una chiesa restaurata al 432, sulla 44sima strada, Manhattan. L’Actors Studio era nato come un esperimento, un modo nuovo di intendere la professionalità dell’attore. Aveva resistito a molteplici ostacoli, alle dimissioni del cofondatore, Bobby Lewis, a varie difficoltà finanziarie e pressioni politiche. Ora era un’istituzione: giovane, con una base operativa.

Ma il trionfo dello Studio è maculato di dolore. Dopo poche frasi di circostanza, Strasberg scoppia in lacrime. “Vedi, è proprio ciò che temevo”. Si ferma. A lungo. Pensa a James Dean, morto in un incidente automobilistico l’anno prima. Strasberg pensa a Dean perché ha appena visto il suo terzo e ultimo film, Il gigante, in sala da poco. “Quando sono salito sul taxi, ho pianto. Ho pianto per due motivi. Intanto, per la gioia, per il film”. Era la dissipazione del talento di Dean che Strasberg, infine, piangeva, il modo in cui si era rovinato, “il suo comportamento sempre eccentrico, che imitate anche voi… l’ebbrezza, la mania, il resto”. Strasberg poteva aiutare un attore a indagare radicalmente se stesso: cosa l’attore avrebbe scoperto, però, non era sua competenza, era affare per analisti.

James Dean aveva diversi problemi. La madre, a cui era molto legato, era morta di cancro all’utero quando aveva nove anni: fu mandato a vivere con gli zii, in Indiana. Da adolescente, si suppone sia stato abusato dal suo pastore. Era, nelle parole di Carroll Baker, “uno strano introverso dalla faccia triste”, dalla sensibilità esagerata, quasi performativa. Benché avesse abbandonato il college per fare l’attore, odiava essere analizzato o criticato, odiava esporsi.

James Dean fotografato da Dennis Stock

Gli attori devono regolare lo spessore della propria pelle per sopravvivere, devono diventare indifferenti al pubblico, indurire il cuore, scegliere di essere vulnerabili soltanto quando il lavoro lo richiede. Dean non è mai riuscito in questa pratica, la sua incapacità a gestire se stesso lo ha portato a gesti stravaganti. Quando gli propongono un provino per La casa da tè alla luna d’agosto, Dean ha delle resistenze, perché deve interpretare un giapponese. “Era paralizzato dalla paura. Gli chiesero di preparare alcune frasi dal monologo di Sakini”. Dean sale sul palco del Martin Beck Theatre per recitare il suo monologo, si mette a ridere, scappa. Il responsabile del casting gli corre dietro. “È così imbarazzante”, sussurra Dean. “Sono d’accordo con te. Ma ci sono un’infinità di cose scomode che dobbiamo sopportare per fare questo lavoro. Ora rimettiti in sesto e torna sul palco”. Dean torna a teatro. Comincia a recitare, ricomincia a ridere, scende dal palco, se ne va. Dean aveva ragione: alcuni provini sono grotteschi, mortificanti, soprattutto quando si tratta di pronunciare battute come, “Belle signore, gentili signori, mi presento. Mi chiamo Sakini…”. Eppure, gli attori, se vogliono lavorare, non possono sempre scegliere i ruoli che prediligono. Il ruolo, infine, andò a Marlon Brando.

A molti colleghi Dean non piaceva. Aveva un tono impertinente, la sua tecnica si basava sull’ispirazione, enfatizzava la spontaneità con la disciplina. Norma Connolly, che ha recitato in televisione con lui, ha detto, “Jimmy era uno stronzo. Era anche scaltro. Era disposto a fare sesso lì per lì, sulla scala, per convenienza… era un ragazzo noioso, infelice, di cattivo gusto”. Ha ricordato che a una festa organizzata per gli Oscar, James Dean, con la canottiera, alla disperata ricerca di attenzione, tamburellava su piatti e pentole vantandosi delle dimensioni del suo pene. Dean si è fermato soltanto quando ha visto Marlon Brando. Indossava un vestito elegante. “Quella l’ho messa l’anno scorso”, ha detto Brando a James Dean, indicando la maglietta.

Le accuse di copiare da Brando e da Montgomery Clift hanno funestato la breve carriera di Dean. In parte, corrispondevano al vero. Dean telefonava regolarmente a Clift, per conquistare il segreto della sua grazia minimalista. Per studiare i modi di Brando, ha guardato più volte The Men, ha letto i resoconti della stampa sul processo di studio del suo idolo. Dopo aver visto la performance di Dean in La valle dell’Eden, Brando è scoppiato, “indossa il mio guardaroba, mi ha rubato il talento”. Dean ribatteva sui giornali che “per le mie ossessioni non faccio affidamento a Brando”. In qualche modo, sia in La valle dell’Eden che in Gioventù bruciata, Dean copia i modi di Brando con un cucchiaio o due di Montgomery Clift. Ma nel corpo di Dean, il carisma di Brando e di Clift è come distillato in tic avulsi, innaturali. Il registro di Dean è sempre imbronciato, cupo, fuori tono, immotivato, dunque immortale.

Eliza Kazan ha sempre avuto parole di elogio verso l’attore che ha tramutato in star. Dean corrispondeva esattamente al personaggio di Cal: un giovane petulante, ribelle, con problemi emotivi, capace di gesti di grande dolcezza come di atti selvaggi, a volte autodistruttivi. Raymond Massey, che nel film è il padre di Dean, si è invece lamentato dell’incapacità dell’attore di ripetere due volte la stessa scena, la stessa battuta, così com’era scritta.

Dean era un membro dello Studio, ma raramente saliva sul palco. I riscontri di Strasberg spesso lo umiliavano. Tuttavia, Dean e Strasberg erano legati da un rapporto vantaggioso per entrambi. Strasberg mutò Dean in “un uomo incredibile, un’enciclopedia ambulante, con una ispirazione esatta”, dandogli autorevolezza come attore. Per lo Studio fu fondamentale acquisire legittimità attraverso un attore diventato tanto famoso e amato. Il metodo praticato da Dean non era esattamente quello professato da Strasberg, ma per il pubblico egli incarnava lo Studio. In tutti i suoi tre film, Dean si ribella a una figura paterna incapace di amore, diventa l’emblema di un modo attoriale anticonformista. La prestanza inquieta di Dean ricordava ai giovani di ribellarsi alle repressioni familiari, la sua bellezza androgina evocava desideri proibiti, la morte in un incidente automobilistico proprio quando doveva uscire Gioventù bruciata gli ha conferito un fascino tragico. La canonizzazione di Dean ha portato l’Actors Studio nel vortice della controcultura giovanile, nonostante fosse un’istituzione guidata da un uomo sulla cinquantina, fondata sulle teorie di un russo nato a metà dell’Ottocento. Per i giovani attori che cercavano di farsi scoprire scoprendo se stessi, l’Actors Studio era il posto esatto; per i guardiani della rispettabilità hollywoodiana, come l’editorialista Louella Parsons, non erano altro che “un gruppo di attori sudici, scortesi, sgarbati”. L’Actors Studio sfornava attori che deridevano il conformismo della società: il Metodo era diventato una forma di ribellione.

Isaac Butler

*Si pubblica un estratto dal libro di Isaac Butler, “The Method. How the Twentieth Century Learned to Act”, 2022

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