10 Febbraio 2023

“Ostaggi di capricci assassini”. Storia tragica di Isaac Rosenberg, poeta di guerra

Dobbiamo immaginare il fossato di una trincea, di notte.

Visualizzare un unico punto luminoso, fioco e instabile nel freddo notturno.

Una mano che, stringendo foglio e matita, prende a scrivere nel cerchio luminoso della candela, mentre occhi stanchi seguono la scrittura sul foglio.

Intorno, buio e fango, paura e incertezza. E poi una bolla d’insperata calma, il tempo di buttar giù qualche riga:

“28 marzo
Mio caro Marsh
Penso di averVi scritto quando stavo per tornare in prima linea dopo un breve riposo. Adesso siamo di nuovo in trincea e anche se ho molto sonno ho l’opportunità di rispondere alla Vostra lettera e continuerò finché posso. Sono davvero fortunato ad avere un mozzicone di candela che mi spinge a questo passo di puntualità epistolare. Devo prendere le misure della lettera sulla luce che avrò. Subito, il mio indirizzo
22311 Pte I R.
6° Plotone B Coy [Company] 1° K.O.R.L. [King’s Own Royal Regiment (Lancaster)]
B.E.F.
Al momento siamo molto presi e la poesia è fuori dai miei orizzonti. Ho scritto una o due cose in ospedale verso Natale ma non ricordo se Ve le ho già inviate. In ogni caso, Ve ne invierò una. Durante la nostra breve pausa di riposo dalla linea del fuoco sono riuscito a disegnare un poco – qualcuno aveva dei colori – e gli schizzi non erano male, in ogni caso non credo di aver dimenticato la mia arte.
Non so più niente del Battaglione Ebreo e ovviamente questo mi disturba – più che altro perché nessuno mi ha dato una spiegazione – ma quando lasceremo la trincea, chiederò ancora. Non ricordo di aver letto Freeman. Volevo scrivere un canto di battaglia per gli Ebrei ma per il momento non riesco a pensare a qualcosa di abbastanza forte e meraviglioso.
Vi accludo una piccola cosa. Non vedo poesia da secoli perciò non siate eccessivamente critico – Il mio vocabolario già esiguo prima è impoverito e spoglio.
Sinceramente Vostro
I Rosenberg”

Isaac Rosenberg presta servizio nel 1º Battaglione del Re, il Reggimento Royal Lancaster dal 1916. In guerra non ci è andato per spirito patriottico e nemmeno per un vago ideale di gloria, come molti altri suoi compagni in armi: non riuscendo a trovare lavoro, ha deciso di arruolarsi nell’esercito britannico. Così diventava soldato «per povertà», è lui stesso a dirlo: «Niente può giustificare la guerra» – scrive – «Ho pensavo che se mi fossi unito a loro ci sarebbe stata l’indennità per mia madre».

D’altronde, Isaac – nasce a Bristol il 25 novembre 1890 – è cresciuto in una famiglia povera di ebrei di origine russa emigrati da Dvinsk (ora in Lettonia). I Rosenberg vivono nell’East End di Londra, dove la comunità ebraica è forte e sostanzialmente dedita al commercio – la zona misera degli slums descritti da Dickens in Oliver Twist e altri romanzi. Da ragazzo frequenta la scuola ebraica di Baker Street, poi le difficoltà familiari lo obbligano a lasciarla e s’impiega come apprendista incisore. Ma dopo il lavoro segue i corsi d’arte serali del Birkbeck College: sembra una promessa come disegnatore e pittore.

Grazie all’aiuto di abbienti mecenati ebrei termina gli studi d’arte alla prestigiosa Slade School of Fine Art di Londra, dove conosce Dora Carrington, Mark Gertler e David Bomberg e il poeta John Rodker. La sera gli amici camminano insieme per le vie di Londra e discutono di arte e letteratura. Spronato da Laurence Binyon, un altro war poet, e da Edward Marsh, editore della serie epocale di Georgian Poetry, Isaac inizia seriamente a scrivere versi: la prima esile raccolta intitolata Night and Day, Notte e giorno esce nel 1912. Due anni dopo espone i suoi quadri alla Whitechapel Art Gallery, quindi esce anche la sua seconda raccolta poetica, Gioventù, Youth (1915).

Mentre è in trincea continua a scrivere poesia: sente come un dovere scrivere di quell’esperienza drammatica. La tonalità dei suoi versi ha spesso scenari da nuova apocalisse. Isaac non risparmia al lettore scene crude e descrizioni spaventose dell’atrocità che vede intorno a sé. La realistica ricerca musicale aggiunge spesso orrore all’orrore: sentiamo le ossa dei caduti scricchiolare, vediamo la pelle lacerata dalle pallottole, o il cervello di un commilitone che schizza addosso al barelliere. Una scolastica della tragedia.

Siegfried Sassoon ammira in lui la forza michelangiolesca, la visionarietà alla Blake che porta qualità materica dei versi, la visione sconvolgente, il possente muoversi da un’immagine all’altra. È lui a firmare la Premessa all’edizione del 1937:

“…spesso vedeva le cose come nella scultura […]; modellava le parole con fierezza di energia e ispirazione, trovando gioia nella forma, e sognava magnificenze di luce e profondità d’ombra; le sue visioni poetiche hanno per lo più colori cupi e incombenti masse scultoree, incandescenti e vastamente forgiate. Osservandolo lavorare con le parole, lo trovo un poeta del movimento […]. Rosenberg non era consapevolmente un ‘war poet’. Ma la guerra lo ha ucciso e le sue poche “poesie di trincea” sono fondamentali […], hanno la controllata immediatezza di un uomo che ha trovato la propria voce e ha raggiunto la maestria del proprio materiale; […] Alba in trincea per me ha una qualità toccante e nostalgica che respinge ogni analisi critica. È l’esistenza sensoriale della trincea, odiosa e repellente, indimenticabile e ineludibile. E di là da questa singola poesia intuisco quelle che avrebbe potuto scrivere dopo la guerra, e la vita che avrebbe potuto vivere dopo le trincee che sono state il limbo di tutta l’umanità sensata e dell’immaginazione che rende il mondo migliore. Perché lo spirito della poesia guarda oltre la vita delle trincee. E Isaac Rosenberg era naturalmente dotato di quello spirito divino che tocca la nostra argilla umana e l’eleva all’espressione sublime”.

Marsh invece non apprezza molto i versi crudi di questo figlio del popolo, che della guerra racconta l’orrore pure, lo stridere delle ossa, la decomposizione dei corpi, la repulsione e il terrore trasformati in incubo collettivo. E nelle raccolte di Georgian Poetry include un numero molto inferiore di suoi versi rispetto ad altri poeti, anche minori per potenza simbolica, come quel Freeman citato da Rosenberg nella sua lettera.  

Alba in trincea è quella “piccola cosa” che Rosenberg acclude nella lettera a Marsh. È anche l’ultima sua poesia:

“L’oscurità si sbriciola –
È il solito vecchio druido Tempo di sempre.

Solo una cosa viva mi scavalca la mano –
Uno strano topo sardonico –
Mentre colgo il papavero dal terrapieno
E me lo metto dietro l’orecchio.
Bizzarro topo, ti fucilerebbero se sapessero

Delle tue simpatie cosmopolite
(e Dio sa quali antipatie).
Adesso che hai toccato questa mano inglese
Farai lo stesso con un tedesco –
Tra poco, senza dubbio, se tu volessi
Attraversare il verde addormentato che ci separa.
Sembri sogghignare tra te mentre passi accanto
A occhi forti, belle membra, atleti superbi
Con meno probabilità di vita di te,
Ostaggi di capricci assassini,

Sparsi nelle viscere della terra,
Nei dilaniati campi di Francia.
Cosa vedi nei nostri occhi
Quando ferro e fiamma stridono
Scagliati per cieli immoti?
Quale fremito – quale terrore nel cuore?
I papaveri che hanno radici nelle vene dell’uomo
Cadono, e sempre continuano a cadere;
Ma dietro l’orecchio il mio è al sicuro,
Solo un poco sbiancato di polvere”.

L’alba in trincea “sbriciola” l’oscurità della notte. Così, forse, una bomba potrebbe ‘sbriciolare’ in polvere il terrapieno che protegge la vita del soldato, accenno anche alla polvere eterna della morte, imminenza probabile se non certa.

L’umanità cancellata, il mondo animale la fa da protagonista, il punto di vista è rovesciato: il topo guarda all’uomo con curiosità, come fosse una cosa immobile dentro la trincea, mentre lui può muoversi, attraversare impensabilmente anche la Terra di nessuno.  

Isaac Rosenberg (1890-1918)

Rovesciata è anche la stessa posizione fisica: l’uomo striscia dentro la terra, il topo cammina – più libero di lui – sopra la terra. Sopra tutti loro, il cielo ascolta impassibile i rumori di guerra per i “dilaniati campi di Francia”. Allora dal grigio della tonalità dominante i versi passano al rosso, che inonda quasi di sé la pagina: il papavero-sangue dell’uomo è anche simbolo d’oblio, la fine che minaccia il poeta.

Disseminata per i campi di Francia, questa distesa di papaveri rossi è abbagliante.

Il verso porta una lontana eco omerica nelle generazioni umane che “cadono come le foglie”. Come i papaveri davanti ai soldati dalla trincea, che “continuano a cadere”. Da qui l’amara ironia di quel safe, “al sicuro” dietro l’orecchio del poeta: fino al prossimo attacco, fino alla prossima bomba. Perché il papavero è già a little white with dust, “un poco già bianco di polvere”: polvere della terra arida sui campi di guerra, o polvere che torna alla polvere.

Ecco la testimonianza suprema del poeta che ha deposto penna e pennello ed è andato a combattere.

Il sostantivo riprende e assorbe il verbo dell’alba all’inizio. Il cerchio si è chiuso.

La lettera che Rosenberg scrive a Marsh dal Fronte Occidentale è l’ultima. Quando viene spedita, il 2 aprile 1918, il poeta è già morto: in un pattugliamento notturno, all’alba del primo aprile, cade ucciso probabilmente per mano di un cecchino presso Fampoux, a nord-est di Arras. Sepolto in una fossa comune, nel 1926 le spoglie di Isaac Rosenberg verranno traslate nel Bailleul Road East Cemetery, Saint-Laurent-Blangy, al Passo di Calais in Francia.

Con la Premessa di Siegfried Sassoon e una selezione di lettere, ritratti e disegni, tutte le sue poesie saranno raccolte nel volume postumo The Collected Works of Isaac Rosenberg: Poetry, Prose, Letters and Some Drawings, L’opera di Isaac Rosemberg: poesia, prosa, lettere e una selezione di disegni nel 1937, a cura di Ian Parsons.

I suoi autoritratti sono alla National Portrait Gallery e alla Tate Britain a Londra. 

Rosenberg è tra i sedici poeti della Prima guerra mondiale ricordati al Poets’ Corner a Westminster Abbey.

Paola Tonussi

Gruppo MAGOG