Quattro mesi dopo la sua scomparsa, avvenuta a primavera scorsa, sulla sua casa di Milano hanno apposto, pochi giorni fa, una targa che la ricorda. La grandissima ballerina Carla Fracci aveva iniziato la carriera proprio qui, nel 1946, l’anno in cui le donne hanno votato in Italia per la prima volta. L’anno in cui è nata la repubblica, lei si era iscritta alla scuola di ballo del Teatro alla Scala, dove si è poi diplomata, nel 1954. Ha mosso i suoi primi passi. Si può dire così? “Qui visse dal 1945 al 1959 e mosse i primi passi di danza Carla Fracci tra le più grandi ballerine del ventesimo secolo dai cortili di Calvairate al Teatro Alla Scala fino ai palcoscenici di tutto il mondo”, si legge oggi sulla targa che la ricorda. In via Ugo Tommei al civico 2. Carla Fracci è ormai un simbolo, anche agli occhi di chi è lontano dalla danza, un nome che evoca, ne senti il richiamo, il fascino senza tempo di un mondo di leggerezza, poesia, corpo e sacrificio. Ne ho parlato, pochi giorni fa, con Mary Garret, nome d’arte di Mariafrancesca Garritano. Mary Garret, come la Fracci, entra nella scuola di ballo del Teatro alla Scala di Milano, tempo dopo, nel 1996, e si diploma l’anno successivo. Nel 1998, entra a far parte del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala, partecipando a tutte le produzioni e tournée internazionali del teatro. Ma è a causa di un libro, pubblicato nel 2010, La verità, vi prego, sulla danza! e di un’intervista rilasciata all’Observer, che il teatro decide di licenziarla in tronco. Salvo poi riassumerla, nell’ottobre 2014. (Linda Terziroli)
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Mary Garret, che cosa ha scritto in questo libro di così pericoloso (e irripetibile) da trovarsi addirittura licenziata?
“Il libro, uscito nella sua prima edizione nel settembre 2010, è stato venduto presso lo shop interno del Teatro alla Scala, questo sta a significare che non fu affatto il libro a determinare il licenziamento. Fu a causa di un’intervista il cui titolo e contenuti travisarono completamente le mie parole e intenzioni, che subii un licenziamento per giusta causa, ritenuto illegittimo dalla Corte d’Appello e confermato dalla Suprema Corte di Cassazione. I temi su cui si snodava l’intervista rilasciata al The Observer (domenicale del The Guardian) erano legati ai disturbi alimentari di cui anche io ho sofferto in un periodo della mia vita”.
È vero che spesso il mondo della danza è un luogo in cui nascono disturbi alimentari?
“Purtroppo sì. Esistono statistiche mediche mondiali che dimostrano quanto sia alta la percentuale di rischio negli ambienti come quello della danza. Alcuni studi dimostrano, infatti, che le danzatrici si ammalano facilmente non solo di anoressia e bulimia, che sono tra i disturbi alimentari più conosciuti e palesi, ma di tutti quei disturbi alimentari definiti sotto soglia, che necessitano di altrettanta attenzione clinica. Se consideriamo che si inizia a fare danza quando si è ancora molto piccoli e il corpo cambia nell’età dello sviluppo, è facile comprendere come sia facile cadere nell’errore della cattiva gestione dell’immagine che si ha di se stessi, cercando di controllare il cambiamento attraverso l’alimentazione. Nella danza è tutto più amplificato perché lo strumento del mestiere è, appunto, il corpo. La terza edizione del mio libro, uscita a marzo del 2021, contiene una prefazione e un’appendice medica del dottor Alessandro Raggi, che spiegano molto bene questi aspetti ed è il motivo per cui ho voluto rimettere in commercio il mio libro, andato fuori produzione nel 2016, facendo un autopubblicazione disponibile solo su Amazon, in lingua italiana e in inglese. Abbiamo dedicato una giornata di sensibilizzazione sul tema ‘Danza e DCA’ proprio per le scuole di danza (9 ottobre presso MoveOn-Milano) nella speranza di poter offrire qualche spunto di riflessione in più”.
Il suo libro ha anticipato certe tenebrose immagini del film di grande successo “Il cigno nero” uscito nel 2010 del regista Darren Aronofsky con Natalie Portman (che ha conquistato l’Oscar come miglior attrice grazie a questo film), Mila Kunis e Vincent Cassel. La pellicola ha avuto delle ripercussioni nella sua particolare situazione?
“Sono stata intervistata spesso, anche da testate giornalistiche importanti, proprio per la curiosità che questo film ha creato nei confronti del mondo del balletto. Molti esponenti della danza si erano indignati a causa del linguaggio estremo che il film ha usato per rappresentare il nostro mondo, ed io credo di essere stata tra i pochissimi che invece lo hanno apprezzato. Ci ho trovato cose che ho vissuto e che avevo già descritto nel mio libro. Ovviamente io ho avuto il mio modo di raccontare, e Aronofsky il suo, ma non dimenticherò mai un’intervista in cui lui stesso dichiarò di aver trovato il mondo della danza molto più spietato di quello da lui indagato per la preparazione del film “The Wrestler”. È chiaro che anche “The Black Swan” arriva da uno studio approfondito dell’ambiente, altrimenti non avrebbe scosso così tanto clamore. Esattamente come era successo per il mio libro”.
La scomparsa di Carla Fracci ha segnato un risveglio di interesse nei confronti di questo mondo anche grazie all’uscita di alcune fiction. Pensa che sia ritratto un mondo edulcorato o ci sia più attenzione al dietro le quinte?
“Sicuramente lei è stata un personaggio destinato ad essere eterno, a prescindere dalla sua presenza in questa dimensione, ed è chiaro che una donna con la sua fama non poteva che toccare tutti con la sua scomparsa. Ma per quello che riguarda l’interesse al nostro mondo, è difficile dire che una cosa possa escludere l’altra. Mi spiego: c’è ormai una ricerca morbosa del dietro le quinte nella vita di tutti noi, basta guardare l’uso dei social, che appassionano anche perché la gente cerca di sapere tutto dei propri beniamini. In un certo senso i social avvicinano le persone, le fanno sentire simili tra loro e alcuni personaggi non risultano più così irraggiungibili. Sui social, lo sappiamo, esistono tanti modi per far vedere quello che vogliamo, e altrettanti per non far vedere quello che non vogliamo. Basta applicare questo ragionamento a tutto il resto ed abbiamo la risposta”.
Attualmente, forse anche attraverso i social, si registra una maggiore attenzione al corpo delle donne e all’alimentazione, forse anche a seguito della pandemia. Pensa che sia un fuoco fatuo oppure si possa davvero dare spazio in modo efficace a una corretta educazione alimentare?
“La pandemia, a mio parere, ha amplificato ciò che già c’era e quello che c’era prima era una falsa attenzione alla corretta alimentazione. È risaputa l’esistenza di cibi che, se mangiati continuamente, risultano dannosi per la salute dell’essere umano, però sono proprio quei cibi ad avere un basso costo. I nutrienti considerati più salutari sono spesso più costosi e quindi è difficile incentivare la popolazione, tutta la popolazione, ad una corretta alimentazione. Mi dispiace dirlo, ma io temo che il business dell’alimentazione vada oltre le reali esigenze della salute. Si educa con l’esempio, e l’esempio che abbiamo non è molto rassicurante”.
La scultura di Degas ai raggi X, lo scheletro della ballerina.
Mariafrancesca Garritano.Nel 1996 entra nella scuola di ballo del Teatro alla Scala di Milano, dove si diploma nel 1997. Nello stesso anno riceve il premio Rotary come “Miglior allievo dell’anno”. Nel 1998 entra a far parte del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala, partecipando a tutte le produzioni e tournée internazionali del teatro. Nel 2010 pubblica un libro “La verità, vi prego, sulla danza!” in cui descrive, al di là dell’immagine romantica e fiabesca delle ballerine di danza classica, la realtà quotidiana fatta di duri sacrifici e competizione personale. Nel 2011, in considerazione dei suoi meriti artistici, viene nominata ballerina solista. A fine 2011 rilascia un’intervista all’Observer nella quale le vengono attribuite dichiarazioni mai pronunciate. Per tale motivo, viene licenziata dal teatro. Nell’ottobre 2014, dopo circa due anni di contenzioso legale contro il licenziamento, la Corte d’Appello di Milano stabilisce il reintegro nel corpo di ballo della Scala. Dopo il ricorso in Cassazione da parte del teatro, la suprema corte ha confermato l’illegittimità del licenziamento.