28 Maggio 2018

Intervista con il vampiro. “Preferisco fantasticare. Nel mio mondo interiore non ho limiti morali”

AVVERTENZA. L’intervista che segue ha carattere profondamente disturbante e potrebbe turbare la sensibilità del lettore. Nelle intenzioni di chi l’ha realizzata questa intende unicamente fornire uno spaccato della vita di un personaggio controverso e socialmente disadattato. Quanto da lui sostenuto, in un flusso di coscienza che l’intervistatore si è appena limitato a guidare con delle semplici domande, non corrisponde in alcun modo al pensiero di chi ha raccolto la sua testimonianza. È bene che chi legge rammenti che il giornalista deve, nella sua attività, evitare quanto più possibile il ruolo di censore e moralista. Si consideri, pertanto, quanto riportato come un documento che vuole aiutare il lettore a comprendere un universo sotterraneo, che rappresenta comunque una porzione della realtà che ci circonda ed entro cui ci troviamo a vivere.

L’uomo mi accoglie in casa sua, in principio, come se niente fosse. Mi trovo in una città che non conosco. Chiaramente, non posso rivelare chi mi abbia fornito il suo contatto. Lui mi fissa a lungo, dopo avermi fatto entrare. Pur avendo accettato di farsi intervistare, la presenza di un estraneo in casa lo inquieta, anche perché io so di lui. Mi dice: “Quando riporterai l’intervista non citare mai il mio nome. Puoi chiamarmi Pluto. Non fare fotografie. Non hai macchine fotografiche con te, o microcamere nascoste, vero? Se vedo da qualche parte il mio viso sono cazzi. Non citare i nomi dei miei familiari, se dovessero sfuggirmi. Non scrivere niente che possa ricondurre in qualche modo a me”.

Nonostante le mie rassicurazioni, vedo che ancora non si sente a suo agio. “Aspetta un attimo che chiudo le finestre. Fuori non devono sentire nulla”. A maggior cautela, abbassa pure le serrande. Se non fosse mezzogiorno, direi che la notte sembra essere calata prematuramente. “Non mi importunano”, spiega Pluto, “ma non mi salutano nemmeno. Sono un fantasma. Ed è la condizione che ho sempre cercato. I primi tempi, dopo il rilascio, sono stato aggredito parecchie volte. Non ho mai reagito, non ho mai aperto bocca. Prendevo le botte e zitto, non mi lasciavo sfuggire manco un “ahi”. Così hanno smesso. Ogni tanto mi insultano, ma è acqua fresca. Hai incontrato qualcuno del palazzo mentre salivi qui da me?”

“No.”

“Magari ti avranno visto dallo spioncino. Ma, comunque, non è un problema. Solo un cieco potrebbe scambiarti per un bambino.”

Ci sediamo nel salotto di casa sua.

PLUTO: Non è una visita di piacere la tua, quindi non perdiamoci in chiacchiere. Tu sei qui perché sai, o almeno credi di sapere, chi sono.  Quindi non devo introdurti niente. Parti con le domande. Quante sono in tutto?

GG: Non ho domande. Chiacchieriamo. Senza preconcetti e imbarazzi. L’ideale sarebbe che tu parlassi a ruota libera di te, della tua vita, dei tuoi trascorsi. Senza domande.

PLUTO: No, allora, non ci siamo capiti. Al telefono, stamattina, mi hai parlato di un’intervista per un giornale culturale o quello che è, una roba sociale. Un’intervista presuppone delle domande – altrimenti è una chiacchierata. Ma io perché dovrei chiacchierare con te? Chi sei?

GG: Non mi sono preparato niente. Per la mia esperienza posso dirti che è molto più imbarazzante svolgerla per domande, un’intervista. Le domande mettono a disagio intervistato e intervistatore. Però, se proprio insisti: perché vuoi che nell’intervista ti chiami Pluto? Partiamo da qui.

PLUTO: Pluto, mi è venuto in mente così. Mi è sempre piaciuto come cartone. Forse perché aveva la lingua lunga. Perché era un cane giallo. Perché amava incondizionatamente un topo, un essere molto più piccolo di lui.

GG: Senti particolarmente tue queste caratteristiche? Senza ironia, sia chiaro.

PLUTO: Chi non vorrebbe avere una lingua lunga come Pluto? Con una leccata prendeva tutto il corpo di Topolino, dai piedi alle orecchie.

GG: Farebbe comodo a tutti, immagino.

PLUTO: A tutti, già.

La conversazione, a questo punto, sembra arenarsi prematuramente. A me non viene altro da dire e Pluto sembra innervosito. Mi chiede più volte se sono della polizia. I miei dinieghi non lo convincono. Si chiude ancora di più.

“Ora vado a dormire”, mi dice, ma non si muove dalla sedia a dondolo.

PLUTO: Non ne verrà niente di buono, da questa roba. Più la rimesti, la merda, e più puzza.

GG: Mi sembri infastidito. Stai tranquillo, il tuo nome non uscirà in alcun modo, ripeto. Non uscirà niente che possa ricondurre a te. Su questo puoi stare sereno al cento per cento.

Un’altra lunga pausa. Stavolta Pluto ne approfitta per aprire una bottiglia che nel buio non riesco a identificare. Si attacca e beve. Ma ci vuole almeno un’altra mezz’ora prima che il nostro incontro ingrani la marcia.

PLUTO: Un pedofilo è un colpo grosso per una piccola rivista, vero? Uno scoop.

GG: Non è questo l’obiettivo. Tu ti consideri un pedofilo?

PLUTO: Un pedofilo è qualcuno attratto sessualmente dai bambini, no? Neppure a mia madre l’ho mai negato. È stata la prima persona a saperlo. E gliel’ho detto io.

GG: Tua madre come l’ha presa?

PLUTO: Ero ragazzo, abitavamo ancora in campagna. Certe cose non erano così diffuse, negli anni settanta. Specie nei piccoli centri. Come la prese mia madre… mi disse di non parlarne con nessuno, di pensare al lavoro e di “limitarmi a guardare”. Che poi è quello che ho sempre fatto. Guardato e basta.

GG: C’è stata, se lo ricordi, una prima manifestazione del desiderio?

PLUTO: Sì. A quindici anni.

GG: Cosa è successo?

PLUTO: La comunità della chiesa doveva allestire il presepe vivente. Mancava un neonato per fare Gesù Bambino. Non nascevano bambini da sette anni, in paese – e il bambino più piccolo aveva appunto sette anni. A lui perciò assegnarono, per quanto poco realistico fosse, il ruolo di Gesù appena nato. Io mi occupavo dei costumi e, poco prima della messa in scena, chiesero a me di truccare il ragazzino per nascondere l’età. Gli ricoprii tutto il corpo di cerone. Ci misi due ore, non volevo finire più. Non lasciai scoperto nemmeno mezzo millimetro di pelle… Un impegno così, oggi, farebbe insospettire chiunque. All’epoca non ci pensò nessuno.

GG: Avevi una qualche consapevolezza del tuo desiderio?

PLUTO: Certo. Sapevo di desiderare quel bambino.

GG: Facesti qualcosa con lui nelle due ore di preparazione?

PLUTO: No. Gli applicai il cerone anche sui genitali – ma il ragazzino doveva apparire nudo sulla paglia, perciò faceva parte del mio compito. Non andai mai oltre.

GG: E dopo questo?

PLUTO: Pensai che una volta cresciuto di età anche il mio desiderio sarebbe maturato. Non più i bambini ma gli uomini. L’idea mi faceva paura – essere attratto da un coetaneo peloso e che, come me, iniziava a puzzare di sudore.

GG: Storie sentimentali? Relazioni?

PLUTO: Stavo per parlarne. Guarda come a volte la fortuna viene incontro agli onesti. Mi fidanzai qualche tempo dopo con una ragazza. Questa aveva due fratellini piccoli, due gemelli. D’estate giocavano senza vestiti nel giardino della loro casa. Nessuno si vergognava di niente, una cosa molto tranquilla, naturale. Era bello vederli schiacciare a piedi nudi gli insetti del prato, sedersi per togliere le spine, ripulirsi dalla terra prima di rientrare in casa. Una volta fecero a gara a chi calpestava più vermi. La mia ragazza era uscita per una commissione e, alla fine dei giochi, mi offrii io di pulirli. Fu bellissimo – e quanto abbiamo riso! Quei due mi adoravano.

GG: Quanto durò con la ragazza?

PLUTO: Un paio d’anni. Poi mi trasferii qui e la lasciai. Mi dispiacque soprattutto per i due gemelli. Per lei relativamente… non è che avessimo combinato o progettato granché nel frattempo. Siamo agli inizi degli anni ’80. Con due anni di ritardo avevo deciso di iscrivermi all’università. Di questa città mi piaceva l’anonimato. Non c’era, come al mio paese, obbligo di rapporti sociali. Infatti, i primi mesi, non frequentavo praticamente nessuno, a parte i miei colleghi di corso.

GG: Cosa studiavi?

PLUTO: Scienze Politiche. Di solito, quelli come me si iscrivono a Lettere per cercare nella letteratura un modo per giustificare a sé stessi la natura dei loro impulsi. Oppure a Psicologia, per ovvi motivi. O anche a Medicina, così da arrivare poi alla specializzazione psichiatrica o alla professione pediatrica. Dico questo sulla base della mia esperienza. Ho conosciuto centinaia di persone con passioni identiche o simili alle mie. Scienze Politiche mi piaceva perché era estranea, nuova, senza l’obbligo della passione e perciò più stimolante. Se qualcosa non mi piace lavoro meglio. Cerco di sbrigarmela il più in fretta possibile e sono più efficiente. Mi dispiace, comunque, di non essermi laureato.

GG: Come mai?

PLUTO: Alla morte di mia madre mi ritrovai in possesso di molte proprietà immobiliari. Non ritenni più utile studiare. Peccai di pigrizia, di comodità.

GG: Ok. E sull’altro versante? Quello del privato, dell’intimo.

PLUTO: Il periodo migliore della mia vita. Un via vai di persone e contatti. Noi amanti dei bambini ci mischiavamo alla comunità LGBT. Era una festa continua e non sempre i ruoli e le passioni erano chiare. Non era difficile che un omosessuale semplice o risolto abbordasse un ragazzino per scoparci. Checché ne possano dire oggi, non esisteva la sacra inviolabilità del preadolescente. Chiedevamo l’abbassamento dell’età del consenso, si parlava di nuove identità, di inedite e mai esplorate forme d’amore. In tutto questo, te lo ripeto per l’ennesima volta, io non facevo niente di fisico. Ma arrivai a mettere insieme una discreta collezione di riviste e vhs. Oggi, se la possedessi ancora, varrebbe una fortuna.

GG: Cosa si vedeva in questi video e nelle immagini che ti sono capitati per le mani?

PLUTO: C’era un po’ di tutto, dalle scene più soft a quelle più estreme come stupri e pestaggi. Ogni tanto capitava di vedere qualche omicidio. Ricordo una cassetta in cui un bambino molto grasso veniva picchiato a morte da alcuni coetanei. Poi facevano finta di coccolare il cadavere, lo truccavano e gli schiacciavano i testicoli.

GG: Ricordi anche se ti eccitò?

PLUTO: Sì, mi eccitò. La guardai qualche altra volta e poi la diedi via. Troppo senso di colpa.

GG: Il resto del decennio?

PLUTO: Dopo i fuochi iniziali tutto si spense lentamente. La paura dell’AIDS minò tantissimo la vita pubblica. A ogni serata vedevi persone che si tastavano di nascosto i linfonodi, gente che si chiudeva in bagno e vomitava per l’ansia. Chi prima aveva sbandierato la propria omosessualità, ora taceva e negava per paura di essere associato alla malattia. Questa angoscia si rifletteva anche nel nostro immaginario. Non c’erano più figure sorridenti, la felicità aveva smesso di essere sexy. Comparvero foto di ragazzini emaciati, pallidi, pieni di lividi. La volgarità e la violenza divennero categorie commerciali a sé. Per un periodo furono molto popolari delle videocassette, in cui dei giovanissimi bestemmiavano e gridavano ogni sorta di oscenità su uno sfondo bianco – solo questo per tutta la durata del video.

GG: Una specie di anticamera infernale, sembra.

PLUTO: Ma l’uomo si abitua a tutto. Io mi abituai, figurati. Ero giovane, benestante e potevo permettermi di non fare niente tutto il giorno. A fine mese ricavavo sempre una bella somma dagli affitti. Giocai persino in borsa, fomentato dal mito di Wall Street. Ero uno yuppie all’italiana. E, poi, a me il problema dell’AIDS non toccava minimamente. Non ero frocio e, quando dovevo scopare, mi accontentavo di qualche ragazza amica di amici. A occhi chiusi e con molta fantasia, certo, ma una donna è più vicina a un bambino di quanto non lo sia un maschio adulto. È anche una questione di pelle…

GG: Tu hai ripetuto diverse volte di non aver mai toccato un bambino, di non aver mai abusato di qualcuno. È stata una remora morale, la tua? Lo hai fatto per paura delle conseguenze? Per umanità?

PLUTO: Non l’ho mai fatto perché credo che, se lo facessi, i ragazzini non mi attrarrebbero più. Non li troverei più interessanti. E davvero, senza la mia attrazione per loro, non saprei dove sbattere la testa. Preferisco fantasticare oppure guardare. Nel mio mondo interiore non ho limiti morali. Posso immaginare ciò che voglio. Non ci sono vittime e il sangue, come posso dire, è finto. Questo non toglie che, se ti raccontassi ciò che mi passa per la testa, scapperesti sicuramente via. Il fatto che io parli con tanta lucidità, però, dovrebbe fugare ogni dubbio riguardo la mia pericolosità. Non sono pericoloso. Non agisco, non ho mai agito.

GG: Acquistando o diffondendo materiale pedopornografico, però, contribuisci a fomentare gli abusi e il mercato delle violenze.

PLUTO: Qua ti sbagli. Il mercato delle violenze, come lo chiami tu, esisterebbe anche senza di me. Siamo milioni. Che una goccia d’acqua faccia un oceano è una bugia per stronzi. E, comunque, non ho più niente a che fare con prodotti simili, da quando mi hanno rilasciato, quindi questi discorsi non mi riguardano in alcun modo.

GG: Com’è stata la vita in carcere? Girano molte storie su come venga trattato un pedofilo dietro le sbarre.

PLUTO: Non c’è stato molto clamore mediatico a precedere l’arrivo in carcere, dopo il mio arresto, perché, a conti fatti, nessuno aveva toccato nessuno. Perciò i primi giorni sembrava facile. Poi le voci iniziarono a girare ed ebbi non pochi problemi. Sì, in parte è tutto vero quello che si dice. È chiaro che lì dentro siamo reietti, proprio l’ultimo gradino. Un rapinatore si sentirà sempre e comunque superiore a un pedofilo.

GG: Sei mai stato aggredito?

PLUTO: Certo. Diverse volte. Anche da alcune guardie, durante gli spostamenti da una parte all’altra. La sera, quando mi mettevo a letto, immaginavo che a picchiarmi fossero stati dei bambini. Questa è un’immagine che ritorna spesso.

GG: Ritorna spesso. In che modo?

PLUTO: Non voglio parlare di questo. Continuiamo con la mia vita esteriore, piuttosto. Invece di sei anni, ne feci cinque. Uscii nel 2014. Decisi di non trasferirmi altrove. Ritornai qui, nel mio quartiere. Una scelta che qualcun altro avrebbe interpretato come una zappata sui piedi. Tutti sapevano quello che avevo fatto e, sicuro, non mi aspettavo comprensione o vicinanza dai minus habens. La vecchia portiera del palazzo disse che volentieri mi avrebbe strappato il cuore dalla bocca, se avesse potuto. Molti mi sputavano dietro. Le botte fanno male, ovvio. C’è il rischio di danni perenni, di rimanerci. Sono stato picchiato molte volte, dopo il mio ritorno qui. Te lo avevo già accennato prima. Non reagivo. Non bisogna reagire. Solo così si stufano. E, infatti, alla fine si sono stufati, sono anni che nessuno mi tocca. Mi picchiavano perché li facevo sentire vigliacchi, codardi, incapaci di accettare le fantasie e le voglie più comuni che tutti rinnegano per paura della felicità. L’ordine sociale ha paura della felicità umana. Io sono venuto al mondo per scuotere le coscienze.

GG: Pretesa eccessiva.

PLUTO: Perché?

GG: Perché, a parte la gente del quartiere, nessuno ti conosce, Pluto. Magari qualche psicologo, qualche tuo vecchio amico o gli archivi delle forze dell’ordine. Il tuo crimine non è stato niente di eclatante o radicale. Ridimensionati.

PLUTO: Io ho avuto il coraggio di stare dall’altra parte, di espormi pubblicamente. Ti pare poco? Io non rinnego niente. E, tra tanti, ci sono anche io. Quando sarà sdoganata la felicità, in futuro, citeranno anche il mio nome insieme a tutti gli altri.

GG: Ma non era una cazzata la storia della goccia che fa un oceano? E poi: di quale felicità da sdoganare stai parlando?

PLUTO: Quella del corpo, dell’essere liberi. Anche i bambini hanno dei desideri e provano piacere come noi. Abbiamo paura di questo. Temiamo i loro desideri perché sappiamo che sono più grandi e incontrollabili dei nostri. Non hanno forma. I desideri dei bambini possono travolgerci. Godono più di noi. Ti sei mai chiesto quanto possa godere un neonato, se stimolato a dovere?

GG: Prima di una certa età non si può provare piacere, è fisiologico.

PLUTO: E chi lo dice? Il neonato? Un po’ presuntuoso parlare per qualcuno che non ha capacità di esprimersi.

GG: Ti stai arrogando anche tu lo stesso diritto.

PLUTO: Sì. Con la differenza che voi parlate dalla parte dei censori, dei castratori. Io parlo dalla parte dell’amore e della condivisione. Amare un bambino non significa fargli violenza per forza. Crescete: questo è un pensiero primitivo, da Medioevo. Ogni età ha i suoi orgasmi e i suoi godimenti. Un neonato è tutto erogeno, puro piacere. “Dove lo tocchi suona”, come si dice. Gli basta una carezza, un bacino. Crescendo, il corpo predispone al piacere soltanto alcune zone. Crescendo, il corpo smarrisce l’innocenza e l’orgasmo si ridimensiona, si riduce al cazzo, alle palle, allo schizzo di sborra. Ma l’età è una cazzata. Siamo tutti uguali, dalla nascita fino alla morte. E a ogni età abbiamo diritto al piacere.

GG: Se, come hai detto, l’aspetto fisico è escluso dai tuoi desideri, perché accalorarsi tanto?

PLUTO: Perché è una questione di principio.

GG: Se avessi la possibilità di tornare indietro e cancellare per sempre, dall’inizio, le tue fantasie – lo faresti?

PLUTO: No. Assolutamente no. Le mie fantasie non hanno mai danneggiato nessuno. E alla vita non chiedo altro che questo. Di immaginare, di sognare. Poi si vedrà.   

Gabriele Galloni            

Gruppo MAGOG