11 Maggio 2023

“Il sistema culturale italiano è una mafia. Ed è fighissimo”. C. Palis contro i “Ferragnez”. Un dialogo al buio

Probabilmente, credono di aver scoperto il nuovo Dante Virgili, certi che Instagram, la pletora social, la dittatura dei tolleranti, l’etica giacobina dei perbenisti sia più distruttiva del Terzo Reich. Forse hanno in mano un romanzo scritto di getto, schizzando, schizoide, da Alex DeLarge, l’ultraviolento boy di Arancia meccanica. Forse non è che un gioco, ipostasi dada – “non significa nulla” – in epoca social.

Ad ogni modo – ogni paragone con ciò che fu intorbida ciò che è – Instadrama, romanzo con “la consulenza legale” (facile capire perché), è immondo, moribondo, morboso, laido. La trama, al netto del barbarico, è questa. “Uno scrittore fallito” – di, dice lui, “centinaia di racconti e tre bellissimi romanzi” – rapisce il figlio della coppia “più seguita d’Italia… con un patrimonio complessivo di quasi 60 milioni di follower su Instagram”. Benché, della coppia, lui sia il “fashion influencer” e lei “la cantante”, non è difficile – a caratteri riorientati – riconoscere dietro gli incongrui coniugi i fatidici ‘Ferragnez’. Del rapimento del loro baby, naturalmente, parlano le testate più note al mondo: Dagospia, Leggo, il Guardian, il New York Times (che spara a caratteri cubitali: “Spaghetti Social Drama”). Il romanzo – per modo di dire – è il diario, picaresco, del rapimento; non privo di frasi che mietono stupori, tra il linguaggio dei nuovi guru (Slavoj Žižek, per dire) e quello della pubblicità:

“Come diceva Pasolini, il successo è l’altra faccia della persecuzione. Come ha detto Antonella Elia in un’intervista: ‘Il successo crea angoscia. Ero spaventata’. Come dice il mio DOC: il successo contiene la parola ‘cesso’ perché rende le persone merda”.

Il libro è cattivo, pacchiano, trash; lo scrittore fallito sa che “per guadagnare denaro/tempo devo scrivere tremendamente male, come Fabio Volo”, che

“per vendere e essere ammesso nel sistema… devo diventare nero, come gli elfi, come gli hobbit, come Dikele Distefano… e diventare gay, oppure fare di tutto, beccarmi l’AIDS, vestire i panni del nuovo Jonathan Bazzi, e spacciare la mia malattia per talento letterario”.

Dunque, meglio rapire il bimbo dei “Ferragnez” (o del loro avatar ribaltato). Il libro non denuncia – dacché non c’è più niente da denunciare dopo l’ecatombe: questo mondo va vinto o va superato, di lato – ma mostra, sbraita, brama, spernacchia. Lo ha pubblicato l’editore Gog, il cui factotum – dall’acume insondabile e glaciale – reca nel cognome le stimmate di Vitellio, augusto per una manciata di mesi, reggente su una maldestra legione di licenziosi, che amministrò Roma al setaccio dei massacri alcuni secoli fa. A lui chiedo dell’autore di Instadrama, cioè chi si celi dietro C. Palis, scrittore di cui “non abbiamo notizia certa”, che a me pare il palindromo ideale di M. Ageev, l’oscuro genio di Romanzo con cocaina, romanzo bello & dannato, recuperato dall’oblio proprio da Gog. Il silenzio impera: bizantino, livido, gonfio. L’editore mi molla la mail del tizio, “fanne ciò che vuoi”: il paravento dello pseudonimo pare effettivamente nascondere uno scrittore fallito, forse trentenne, autore di tre romanzi, alcuni dei quali pubblicati con editori di vaglia. Instadrama dissemina indizi: il lettore saprà trarre il suo identikit, si accettano scommesse.

Ad ogni modo, meglio così. La monumentalità romana – pare che C. Palis stia a Roma – mi inquieta. L’Urbe, eterna bellezza, latrina eterna, la preferisco a distanza di sicurezza, non turistica – chiede cittadini che si sfracellino, imbevuti del suo torpore e del suo veleno. Insomma, mando alcune domande via mail. Il tizio – chiamiamolo C. Palis, appunto – mi risponde dopo un paio di settimane. Qui l’esito del nostro breve discutere.

Instadrama, romanzo antisociale con “consulenza legale”, esce – per postura editoriale – senza Isbn, “l’altissimo vassillo/ che sventola sul regno della cosa/…polso/ per auscultare/ il battito del soldo”, come poetava Valerio Magrelli. La poesia, Codice a barre, è tratta da un libro stampato da Einaudi nel 1999, Didascalie per la lettura di un giornale, non per forza bello. La leggo citata in un libro senza Isbn – pure questo – pubblicato lo scorso anno da Raffaelli, s’intitola Come pianeti nello spazio. Il libro – sottile, di levigata eleganza – racconta di un frate galvanizzato dalla lettura delle “opere di De Sade”: è un inno al libero pensiero, al pensiero scombinato, contro l’era che ci fa coprofagi – consumiamo, digeriamo, caghiamo, poi compriamo ciò che abbiamo cagato per divorarlo & ricagarlo ancora & ancora – contro “la cultura ‘consumata’ e cioè impostata usata dalla classe dirigente”. Il tizio che lo ha scritto, Rodolfo F., l’ho rivisto dopo troppi anni: ne ha oltre novanta, ora, le mani medagliate dai lividi, mente erotomane, perpetuamente eccitata. Il giorno in cui l’ho incontrato, occasionalmente, aveva vertenze di pioggia: Riccione pareva il portale che dà avvio all’Amazzonia. Forse è lui C. Palis, mi sono detto – forse C. Palis sono io – forse sei tu.

Dunque: chi è C. Palis, che vita fa?

Preferirei rimanere nell’anonimato. Posso dire però quello che non sono. Non sono gay. Non sono trans. Non sono non-binario. Non sono un binario. Non sono un treno. Non sono nero. Non ho subito violenze sessuali in cambio di lavoro (anche se una pompa all’editore che ha deciso di pubblicarmi gliela farei volentieri gratuitamente). Non sono stato bullizzato a scuola, non ho nessun trauma particolare, non sono mai andato da uno psicologo. Non ho la vulvodinia, la lombalgia, la lombardia né altre malattie particolari. Insomma, non ho nessun super potere per una buona biografia da premio letterario, da recensione sulle pagine culturali di un giornale. Per questo motivo, quando sono venuto a conoscenza della pubblicazione di Instadrama, sono rimasto sconvolto. Da un po’ di giorni mi sento come Batman: un eroe senza superpoteri, ma con una maschera pazzesca.

Nel romanzo – chiamiamolo così – l’autore fa sfoggio di letture possenti, da Céline a Severino Boezio, da Giuseppe Berto a Pound, Wilde, Dostoevskij, avvalorando l’idea di una scrittura come rischio, dello scrittore in carcere. Che cosa legge C. Palis, quali libri lo hanno formato – o de-formato –, quale scrittura lo anima?

Ho smesso di leggere. Sono anni che non prendo in mano un libro. Da quando ho sostituito il mio Nokia con un iPhone non sono più capace. Nel mio tempo libero non faccio altro che guardare culi di modelle e gattini. In certi momenti – ma solo quando mi sento tremendamente solo – mi ritrovo non so perché a guardare i culi dei gattini. Prima leggevo tanto, principalmente letteratura “alta”. Poi il presente ha vinto (il presente vince sempre). Ricordo che, poco prima di abbandonare i libri, quando ormai avevo capito che leggere è solo fonte di angoscia e di insoddisfazione, facevo schiantare la mia passione per la lettura tramite quelli che definirei “trash-test”: prendevo un grande classico della letteratura e un libro di oggi. Strappavo tutte le pagine, riassemblavo i due libri a caso, una pagina di quello e una pagina di quell’altro, e iniziavo la lettura. Una volta ho fatto questo giochetto con La montagna incantata e Melissa P. Seguivo le digressioni di Castorp e di Settembrini sul tempo, poi voltavo pagina ed ecco che mi ritrovavo nei panni di una ragazzina con tre cazzi in bocca. 

Cos’altro l’ha formata?

Platone e Giorgio Mastrota.

Frase esemplare, a caratteri cubitali, del libro: “l’unico modo per farcela oggi in questo mondo corrotto è far parte dell’inferno dei viventi”. Dunque, bisogna piegarsi alla piaga dell’immaginario imposto, dal diktat di chi pensa per noi, meri coprofagi consumatori. È così? 

Nel libro c’è una frase ancora più esemplare: “voglio teletrasportarmi nel mio buco del culo”.

Fuor di metafora: nel libro non li cita mai, ma io intuisco in controluce i fatali “Ferragnez”, icona del nostro tempo, allo scempio. Mettiamola così: il suo è un libro di ‘denuncia sociale’. Ma cosa denuncia, cosa resta da denunciare, cos’è il ‘sociale’? 

Denuncio i cavalli. Mi dispiace rispondere così a cazzo, ma vi sto facendo un favore. Potrei fare un discorso ampio e articolato, però se scrivo troppo e divento serio chi legge chiude Pangea e va su TikTok. Siamo tutti finiti, fanculo a tutto. Si salvi chi può.

In fondo, anche lei, come tutti, vuole la fatidica fama. Salvo pubblicare per un editore fuori distribuzione senza il marchio “infame” – così dicono, furoreggiano – Isbn. Come concilia la latitanza editoriale con il desiderio di primeggiare?

Io voglio il successo come tutti, sia chiaro, anche se ormai non ci spero più, e questo libro è talmente privo di speranza che posso finalmente permettermi di lasciarmi andare. Tra l’altro preciso che non ho pubblicato con Gog, sono loro che hanno scelto di pubblicarmi. Io ho mandato questo libro in giro, a varie case editrici, quasi per scherzo, poi loro sono gli unici che lo hanno letto, e gli è persino piaciuto. Per rispondere alla domanda, io non concilio niente, la mia latitanza editoriale non è una scelta, ma un ripiego. Se Einaudi avesse voluto pubblicare il mio libro glielo avrei dato subito. Ora ho questi editori medio-piccoli ma almeno mi hanno pubblicato, a mia insaputa, perché non ho lasciato recapiti, e infatti se non dovesse vendere bene li denuncerò per appropriazione indebita o non so cosa. Ho tentato quest’ultima strada dell’anonimato perché credo sia l’unica per avere successo. Oggi scrivono tutti, quindi i libri che possono emergere dal pantano sono solo quelli scritti da Nessuno. Voglio essere come Elena Ferrante, ma una Elena Ferrante cattiva e spietata con la sindrome di Tourette, posseduta da un demone assiro.

Cosa ne pensa C. Palis del ‘sistema culturale’ italiano, della letteratura italiana?            

Il sistema culturale italiano deve essere un posto fighissimo. È una mafia di cui vorrei fare parte per godere dei loro stessi privilegi. Andare in tivù, tenere una rubrica per qualche giornale o rivista, pubblicare le peggiori porcate e comunque essere recensito e sviolinato dai colleghi. Una parte di me vuole chiaramente che questo sistema prenda fuoco, e che tutto vada in malora, ed è la parte che ha scritto questo libro, ma questa parte esiste soltanto perché l’altra parte di me che vuole il successo non l’ha neanche sfiorato. Perché non sono lì dentro a fare festa insieme a loro. Perché sono un frustrato che, a differenza del protagonista di Instadrama, non ha neanche le palle di rapire il figlio di quei due. Ho provato per tutta la mia breve carriera letteraria a entrare in questo giro, ho tentato di collaborare con riviste, di farmi gli amici giusti, mi sono persino iscritto a una scuola di scrittura creativa e ho leccato il culo a tutti i professori, uno per uno, pur di ottenere un contatto, un lasciapassare, una spintina, come si fa con gli stronzi, ma niente, forse perché ho un lato autodistruttivo, qualcosa dentro di me che mi porta a sabotarmi proprio nel momento in cui sto per raggiungere un obiettivo, non lo so. Ad ogni modo adesso sono qui a fare il saltimbanco, la tenia, il guastafeste se possibile, l’imbucato snobbato perché troppo ubriaco che decide per vendetta di pisciare di nascosto nei bicchieri da cui berranno gli altri.

Che sogni ha? Sogna qualcosa? Cosa vuol fare da grande? 

Da grande? Sono già da buttare nell’umido. Sfortunatamente sono nato in un’epoca in cui la medicina fa passi da gigante. Probabilmente dovrò vivere fino a 150 anni, la cosa mi angoscia parecchio. Se oggi a 30 anni sei vecchio, e a 50 sei già “esistenzialmente” finito, cosa farò per i restanti 100 anni di una vita inutilmente allungata? Da grande non so che cosa farò, ma di una cosa sono certo: sarò solo anzi solissimo, vecchio anzi vecchissimo, triste anzi felicissimo grazie agli psicofarmaci che assumerò, e guarderò dalla finestra il mondo che cambia mentre Alexa100 mi ricorderà che mi sono cagato addosso.

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