26 Marzo 2022

Inoue Yasushi: il romanzo della Cina imperiale

Relegata la triade – Kawabata-Tanizaki-Mishima – nella teca dei classici, tra i venerabili a cui inchinarsi di tanto in tanto, Inoue Yasushi (1907-1991) è il più vasto, profondo, inafferrabile tra gli scrittori giapponesi, allo stesso tempo fragile come la carta e duro come la spada. In assoluto, è tra i rari autori sorprendenti del secolo scorso; le sue perpetue metamorfosi piacciono a Peter Handke: “ogni libro propone una visione, ma a differenza di altri scrittori, a Inoue credo sempre; la sua tensione ha l’autonomia concreta di un fatto”. Poligrafo, Inoue Yasushi persegue una inesorabile disciplina della scrittura: allevato nel giornalismo, ha esordito con un piccolo capolavoro, Il fucile da caccia (1948), che affila il tradimento, visto da tre sguardi diversamente spietati, per sfiorare una poetica dell’esistere. Il libro è ora in catalogo Adelphi, che ha da poco riproposto un altro, delicatissimo, libro di Inoue, Ricordi di mia madre. Inoue Yasushi è stato tradotto per la prima volta da Bompiani, nel 1964 (La montagna Hira racchiude tre racconti, tra cui il fatidico Fucile da caccia); Ricordi di mia madre, nella traduzione di Lydia Origlia, è stato pubblicato da Spirali nel 1985, poi da Feltrinelli nel 1991, infine da Adelphi. Inoue è noto anche per aver scritto Morte di un maestro del tè (in Italia, Skira, 2016), da cui è tratto il film di Kei Kumai con Toshirō Mifune, premiato a Venezia nel 1989.

La cosa curiosa è che Inoue Yasushi passa, in Italia, per essere un autore ‘da camera’, intimista, legato a formule stilistiche spesso struggenti. Per questo, Inoue rimane scrittore per pochi, viziati da emozioni rastremate e rarefatte, dalle voluttà della malinconia, da un trepidante desiderio di crollo. Questa, però, è una delle anime di Inoue; non quella prevalente. In Giappone, ad esempio, Inoue è molto noto per i romanzi storici, che nel nostro Paese sono ignorati. L’epopea di Gengis Khan – tradotta in inglese come The Blue Wolf e in francese come Le Loup Bleu – pare essere di ineffabile bellezza; Inoue ha scritto il romanzo della vita di Confucio, una serie di libri ambientati nel ‘medioevo’ cinese (sul genere wuxia); i suoi viaggi in Pakistan e Afghanistan, “alla ricerca delle vestigia del regno di Kushan”, gli hanno consentito reportage e narrazioni; nella foltissima bibliografia spicca un saggio dalla tensione romanzesca su Leonardo da Vinci.

Nel 1959 Inoue pubblica Tun-Huang – tradotto nel mondo inglese per New York Review Books, con prefazione di Damion Searls –, romanzo ambientato in Cina, un millennio fa, con al cuore la scoperta di alcuni sutra buddisti di inestimabile valore. Il protagonista, Chao Hsing-te, studioso di talento, a causa di un incidente e di un sogno fallisce l’esame per diventare prefetto imperiale; la sua vita, così, pare frantumarsi in niente, ma “un incontro casuale lo porterà sempre più lontano dalla metropoli, nelle terre selvagge e contese, a Ovest dell’impero Song”. Di quel romanzo traduciamo il primo capitolo, con l’intenzione di mostrare anche in Italia ‘l’altra faccia’ di uno dei grandi e remoti scrittori del secolo. Il romanzo ottenne all’uscita il premio bandito dal “Mainichi”: tra l’altro, Inoue vinse la possibilità di seguire come inviato le Olimpiadi di Roma del 1960. Il Giappone portò a casa 18 medaglie, classificandosi all’ottavo posto del medagliere mondiale, dominato dall’Unione Sovietica; gli ori, quattro, giunsero, tutti, dalla ginnastica, per merito di Takashi Ono, un autentico mito (collezionerà, in quattro Olimpiadi, tredici medaglie). Inoue amava il Judo, scriveva, di nascosto, poesie, da ragazzo aveva vissuto come ospite dell’abate del monastero buddista di Numazu; non gli dispiaceva la velocità, fu sorpreso dall’eleganza di Livio Berruti.

***

Nella primavera dell’anno 1026, Chao Hsing-te approdò a Kaifeng, una capitale del regno Song, dalla sua casa nella provincia dell’Hunan: avrebbe sostenuto gli Esami di Palazzo.

A quel tempo, la burocrazia era onnipotente. Per controllare l’esercito, la politica ufficiale, da tempo, mirava a collocare dipendenti di palazzo in posizioni strategiche. Dipendenti pubblici erano stato installati perfino nei luoghi nevralgici delle milizie. Chi desiderava avere successo in quel mondo, curava la propria ambizione con lo studio, doveva superare l’esame che si teneva ogni tre anni.

L’imperatore Chen Tsung aveva scritto di suo pugno una poesia per imprimere nei sudditi la disciplina dell’istruzione:

Non occorre accaparrarsi terre per arricchire la famiglia:
mille misure di miglio contengono i libri.
Non occorre una casa spaziosa per dimorare nella pace:
dimore d’oro contengono i libri.
Non lamentarti se non hai servi ad aiutarti:
cavalli incalcolabili contengono i libri.
Non lagnarti se la tua sposa non è bella:
fanciulle dal nitore di giada contengono i libri.
Tu che vuoi realizzarti: accendi la luce
della mente, vai alla finestra, recita i Sei Classici.

Se si passavano gli Esami di Palazzo, era limpida la via per diventare ministro o funzionario di alto rango; i prefetti provinciali erano scelti tramite quella prova. Come suggeriva la poesia di Chen Tsung, ricchezza, belle donne e ogni altro avere si ottenevano tramite lo studio. Trentatremilaottocento candidati si erano radunati nella capitale, dalle province dell’impero, per sostenere l’esame, quell’anno. Da questa massa, ne avrebbero selezionati cinquecento.

Hsing-te si era trasferito nella capitale dalla primavera, da un amico che viveva presso la Porta dello Splendore Occidentale. La città traboccava di candidati, più o meno giovani. Hsing-te aveva già sostenuto gli esami presso la Commissione preliminare: interpretazione dei classici in prosa, e poesia. Li aveva superati brillantemente.

Il sole di inizio estate filtrava attraverso gli olmi, sulla grande strada della capitale; la Commissione del personale gli aveva inviato un avviso per la prossima selezione: qualità fisiche, retorica, calligrafia, composizione. L’esame prevedeva esercizi di forza, eleganza, precisione e sapienza nel parlare, audacia e stile nella scrittura, capacità logica. Se li avesse superati, l’ultimo ostacolo era un colloquio orale, al cospetto dell’imperatore, sugli affari politici del regno. I primi tre candidati avrebbero avuto un futuro brillante, certo.

Hsing-te era sicuro che nessuno avrebbe saputo superarlo, la sua fiducia era giustificata dalle capacità. Proveniva da una famiglia di studiosi, aveva studiato fin dalla prima infanzia. Fino a quell’anno, il suo trentaduesimo anno di vita, aveva vissuto circondato da libri. Gli esami sostenuti fino a quel momento gli erano parsi semplici. Ad ogni prova, migliaia di aspiranti venivano eliminati; in nessun momento Hsing-te aveva dubitato del proprio successo.

Quel giorno, i candidati erano già raccolti nel cortile interno dell’aula degli esami, stretto, ad ogni lato, da vasti corridoi. Uno dopo l’altro venivano chiamati da un funzionario e condotti nell’aula. In attesa del loro turno, gli uomini si risposavano, seduti nel cortile, o camminavano per smorzare la tensione. Una leggera brezza sbriciolava l’aria, calda, dura. Dapprima, Hsing-te attese con impazienza di essere chiamato; poi si rassegnò all’attesa, una palude, e si chinò ai piedi di un albero di pero. Incrociando le braccia, trovò una posizione comoda. L’attesa gli fece chiudere gli occhi, affascinandolo con il sonno. Di tanto in tanto sentiva lo sgocciolio dei nomi, poi la voce si fece sempre più fievole. Prima che potesse accorgersene, Hsing-te si era addormentato e stava sognando.

Nel sogno, veniva condotto nella camera dell’imperatore. La stanza era pattugliata, su entrambi i lati, da alti dignitari di corte, riccamente vestiti. Al centro della stanza c’era una sedia. Hsing-ti vi si avvicinò senza paura, si sedette. A pochi passi da lui, una pedana rialzata, velata da una tenda. “Cosa ne pensa riguardo alla proposta di rendere più sicure le frontiere?”. La domanda giungeva dai recessi, oltre il velo, la voce era severa. La proposta di rinforzare le frontiere era stata avanzata, trent’anni prima, da Ho Liang, comandante dell’esercito Yung-hsing. A quel tempo, l’impero era severamente vessato dalle incursioni delle tribù occidentali, gli Hsi-hsia, che spesso minacciavano la dinastia Song. Quando Ho Liang aveva ispezionato la colonia di confine di Ling-chou e avanzato la proposta, la situazione era critica. Da allora, nessuno aveva risolto il problema.

Hsi-hsia era un piccolo paese nella zona orientale del Wuliang. Era stato colonizzato molto tempo prima dai Tangut, una popolazione di origine tibetana. Oltre ai Tangut, in quella zona vivevano i Turfan e gli Uiguri. Molti di loro si erano coalizzati in brevi regni: soltanto Hsi-hsia era diventato potente. Opprimeva le altre tribù, invadeva, di norma, le frontiere della Cina. Ufficialmente, Hsi-hsia aveva ammesso il proprio vassallaggio nei confronti dei Song; di nascosto tramava con Khitan, antico nemico della Cina. Questa devastante insubordinazione era una spina nel fianco della Cina. L’area di Ling-wu, confinante con il Wuliang, era razziata ogni anno dalla cavalleria Hsi-hsia, a tal punto che si riteneva di doverla abbandonare. Prima di proporre le sue regole per la sicurezza, Ho Liang aveva elencato le ragioni per cui le contromisure fino ad allora prese erano state inutili, spesso impraticabili.

Alla fine del suo rapporto, Ho Liang proponeva un piano specifico: “Costruire un forte nelle fertili pianure, in un’area dove gli Hsi-hsia potrebbero stabilire una base per l’invasione. Attendere il loro esercito, quindi attaccare. Finora non siamo stati in grado di battere in battaglia gli Hsi-hsia perché costretti a inseguirli, lungo i deserti, disperdendo inutilmente forze e truppe. Se il nemico ci affrontasse in battaglia, a viso aperto, l’annientamento non sarebbe difficile. Se Hsi-hsia non invade, costruire altri forti e una città murata. Mantenere un solo forte è proibitivo: con due postazioni potremmo sfruttare gli indigeni indigenti, in grado di rendere autosufficiente l’avamposto. Un comandante competente sia scelto per sovrintendere alle operazioni di difesa: convincendo i nativi, potremmo conquistare la zona”. Questo era il piano di Ho Liang, formalizzato trent’anni prima.

Hsing-te cominciò: “I governatori dell’epoca non hanno ascoltato Ho Liang, preferendo la strategia della guerriglia. A causa della loro stupidità, la frontiera è ancora un problema”. Mentre sosteneva la proposta di Ho Liang, la voce era scossa dall’emozione. Percepì sedie che si rovesciavano, pugni sulle scrivanie, commenti rabbiosi, offese; tuttavia, aveva il compito di terminare quanto diceva. “Hsi-hsia ha inglobato i barbari vicini, guadagna forze, sarà una grande minaccia per il futuro della Cina. Per questo motivo, la Cina è costretta a mantenere un enorme esercito di ottocentomila soldati pronti a combattere: il loro mantenimento è una spesa enorme. C’è anche da dire che le scorte per le cavalcature sono in parte sotto il controllo del nemico”.

Con violenza, le tende che velavano l’imperatore si aprirono. In un istante, diversi uomini furono su Hsing-te. Il ragazzo cercò di alzarsi dalla sedia, ma per qualche inspiegabile motivo le gambe erano paralizzate. Non riusciva a muoversi. Cadde in avanti.

In quel momento, Hsing-te si svegliò dal sogno: era caduto con la faccia per terra. Si rialzò in fretta, guardandosi intorno. Il sole, abbagliante, perforava il cortile, pressoché vuoto. Un funzionario lo fissava, da un angolo. Hsing-te si pulì le mani, sistemò gli abiti. Il cortile, fino a poco prima gremito di candidati, era spoglio, nudo. “Che fine ha fatto l’esame?”, chiese Hsing-te, quasi sussurrando a se stesso. L’uomo si limitò a guardarlo con disprezzo, senza rispondere. Hsing-te si accorse di aver perso la possibilità di sostenere l’esame, cruciale, perché si era addormentato. Il suo nome era stato scandito, ma egli giaceva nel sogno.

Si avvicinò al cancello, le strade del distretto governativo erano spopolate. Vagava come in trance. L’esame a palazzo… il banchetto con gli alti funzionari dopo averlo superato… la gloria di indossare le bianche vesti dell’alta burocrazia… essere chiamato Eccellenza: tutto questo era incenerito dal sogno.

Improvvisamente, una poesia di Meng Chiao gli attraversò la mente:

Esaltato dalla brezza primaverile
il mio cavallo accelera il passo.
In un solo breve giorno
vedo tutte le peonie di Ch’ang-an.

Inoue Yasushi

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