11 Settembre 2022

“Così i prodi guerrieri chiamarono l’eroe figlio del sole”. Inguz: la runa che ha la forma del DNA

La forma è quella di un seme che racchiude l’energia potenziale. Inguz è la runa del DNA, significa “figlio di”, ad essa è associata la sacralità della stirpe. Con Inguz sentiamo un fortissimo eco di quella che era una Era femminile, ormai dimenticata e troppo influenzata dalle divinità maschili: Ingunz è infatti una runa legata alla fertilità e alla gestazione.

“Al principio Ing si rivelò ai danesi
dall’est solcava le onde sul suo carro
così i prodi guerrieri
chiamarono l’eroe figlio del sole.”

Antico poema runico anglosassone

Nelle antiche culture in cui predominava il principio femminile di una Grande Dea, la parte maschile era vista come completamento del femminile e nello specifico, con questa runa, era considerata deposito di energia per permettere alla Dea di ricostruire le proprie forze. Il nome Ingwaz pare che sia un altro appellativo di Nerthus, antichissima divinità germanica, il quale era il dio della terra. Nerthus era il consorte della Grande Dea della terra, la sua energia maschile serviva da riequilibrio energico per la Dea dopo che aveva fecondato la terra, rendendola fertile e coltivabile. Ecco che infatti l’elemento femminile è quello predominante e consuma il maschile per ricostruirsi dopo una grande fatica. Quasi come la mantide religiosa che durante l’accoppiamento ha bisogno di energie e parte a mangiare il proprio compagno dalla testa, divorandolo.

Ora tutto questo ci sembra incredibile. Un principio femminile che si serve del maschile per recuperare la propria completezza energetica, la propria interezza. Questa runa quindi testimonia, nel suo stesso segno grafico, l’importanza dei genitali e dell’apparato sessuale come veicolo di scambio di energia. In antichità infatti, specialmente per le culture pagane, il sesso era utilizzato come strumento di scambio di flusso energetico; di solito era il maschio che ci perdeva, ora ce ne siamo dimenticati e la donna ci sembra quella debole, quella che perde energia e potere, quella che si prosciuga. Questo perché abbiamo dimenticato la dimensione sacrale dei nostri genitali: sono centri di fuoco e acqua, contengono gli opposti e possono creare mondi, creano vita.

Runa Inguz

La sua forma ricorda quella di un seme, come simbolo di fertilità e di progenie; Inguz è il focolare domestico che deve rimanere sempre acceso, è il fuoco sacro della stirpe attorno a cui la famiglia si riunisce d’inverno, per sconfiggere la sfida del ghiaccio. Questa forma chiusa, che indica protezione, richiama anche il concetto della gestazione: qualsiasi progetto, idea o sentimento, prima di essere espresso e portato all’esterno di noi, deve aver passato però un periodo di gestazione, di chiusura protettiva in cui farlo crescere. Inguz è la runa che impone pazienza, la stessa che sanno praticare le donne in gravidanza. Si sa che esporre un amore o un progetto, prima che questi abbiamo dentro di noi raggiunto il loro compimento, equivale a farli fallire, a farli crollare miseramente. Lo sguardo altrui è impietoso, invidioso e distrugge facilmente ciò che non è ancora stato formato del tutto.

Pietra runica di Gotland runestone. Swedish Museum of National Antiquities a Stoccolma.

Con questa runa siamo chiamati a occuparci della nostra progenie e dei nostri antenati. Siamo costretti a fermarci e a guardarci dentro, a rientrare nel suo segno sacro come fosse un cerchio protettivo, un nuovo geometrico utero. Con Inguz dobbiamo riconoscere che l’origine dei nostri talenti sta nel nostro sangue e nelle nostre cellule, tutte rispondono a una unica e personalissima vibrazione che deriva dall’incrocio di tutte le generazioni precedenti. Siamo ciò che siamo grazie ai nostri genitori e finalmente possiamo sgravarli dalla colpa.

Ecco che con Inguz possiamo fare un vero atto rituale di perdono e gratitudine incondizionata, siamo spinti a riconnetterci con i nostri avi, è grazie a loro – e non per colpa loro – che oggi siamo qui. Inguz ci insegna a imparare a vivere un dolore di gioia, un dolore da porre al centro del cuore e trasformarlo in nutrimento, una gestazione che dal rosso denso del coagulo porta alla luce, alla liberazione.

Gruppo MAGOG