“Là, oltre il nulla, oltre il confine estremo”. I discorsi di Iosif Brodskij
Politica culturale
Davide Pugnana
Le semplificazioni sono l’anticamera dell’oblio. Pigliamo ‘Sebastiano Vassalli’. Prontamente il pedissequo wikipedista dirà: “scrittore ed editorialista italiano” (vista la militanza sui quotidiani patrii). Aggiungendo, “ha ottenuto i massimi premi letterari del Paese” (che sia stato candidato al Premio Nobel per la letteratura nel 2015 lo aggiunge la nota della Treccani); poi stringendo “il suo libro più noto è La chimera, pubblicato nel 1990, con cui l’autore ha vinto il Premio Strega”. Di fatto, Vassalli, con cotanto rispetto, si riduce a quello, La chimera. Poveretto. La nota Wikipedia, con sprint critico, cestina tutta la sua attività dall’esordio einaudiano nel ’68 (Narcisso) fino al 1984 – anno del reportage letterario La notte della cometa, che inaugura il confronto di Vassalli con l’opera estrema di Dino Campana – come ‘Opere giovanili e della neoavanguardia’. D’altronde, in tono più formale ma sostanzialmente equivalente, la scheda di Francesca R. Scicchitano per la Treccani dice che Vassalli, nella sua prima vita letteraria, “si produsse in componimenti letterari che vennero poi giudicati, da una parte della critica, ‘troppo militanti’ e accondiscendenti rispetto agli sperimentalismi linguistici”. Insomma, roba da cestinare. Quanto a me, libri come Tempo di massacro (1970), L’arrivo della lozione (1976), Mareblù (1982), rischiano di essere molto più eccitanti di tanta tediosa letteratura odierna. Ad ogni modo. Il bello di Vassalli è che fu un animatore culturale assiduo, del ‘sottosuolo’, fondò riviste ciclostilate e anonime case editoriali, partecipò con genio al Gruppo 63, ma fu tra i primi, miracolosamente, a non credere al teatrino del ’68. A tal proposito, la casa editrice De Piante, esperta in libri rari, introvabili, da collezione, ha tirato fuori dalla soffitta delle cose perdute un testo di Vassalli che pare essenziale per capire il Sessantotto al di là della cagnara del cinquantesimo. Il testo s’intitola I nuovi travestiti (pp. 28, euro 30,00; con sovraccoperta d’artista di Claudio Granaroli, postfazione di Giovanni Tesio e nota di Roberto Cicala), “uscì nel marzo 1969 sul terzo numero del «foglio bimestrale di poesia e scienze affini» fondato, con il titolo provocatorio “Ant Ed” che richiama un’idea di “anti editoria”, dal ventiseienne Sebastiano Vassalli nel novembre 1968, l’anno simbolo della contestazione in cui pubblica la sua prima opera sperimentale presso Einaudi, Narcisso, scagliandosi contro «le stampatrici automatiche che mille opuscoli sfornano di esibizione poetica»” (così Cicala). Con intelligenza cinica – il bello di Vassalli è che è sempre stato un ‘contro’, un antipatico – lo scrittore capisce che in troppi cavalcano la ‘contestazione’ per fare carriera, che la ‘reazione’ alligna dietro l’angolo della ‘rivoluzione’, che tanto rumore per nulla, per far cassa di risonanza al consueto gioco delle poltrone sicure. I ‘travestiti’, in fondo, sono i lacchè del politicamente corretto, i voltagabbana, i professionisti della ‘contestazione’, determinati a percorrere una “infrenabile e irresistibile ascesa su per le scale gerarchiche, verso le seggiole, le cattedre, i troni, i seggi, gli scanni, tutto può giovare… Le università, i circoli culturali ‘di sinistra’, gli edifici costosi della ‘top direction’, le sedi dei partiti politici e dei settimanali per uomini, le case editrici, i teatrini alla moda ne sono pieni. I loro atteggiamenti sono puramente dettati dallo spirito di conservazione, questo è logico: sono i vecchi arnesi della paccottiglia di sempre, i re travicelli che non affonderanno mai”. Con spirito ‘bombarolo’, Vassalli se la piglia con Jean-Paul Sartre (“vecchio zampettatore da sfilate protestatarie”), con il Sessantotto (“la lotta diviene così astratta, onninclusiva e inconcludente… in fondo, i rapporti di potere rimangono immutati: solo si richiedono maggiori doti sceniche”), con gli amici avanguardisti del Gruppo 63, rappresentati da una rivista, Quindici, che ha tradito gli intenti (“basava le proprie possibilità di sopravvivenza – anche economica – su alcuni ‘grossi’ nomi della paccottiglia di sempre, le cui attitudini mimiche e mimetiche erano già ben chiare, e non attendevano che l’occasione opportuna per manifestarsi”), con i criteri editoriali dell’epoca, viziati, proponendo una forma di virtuosa – e anarchica – ‘autogestione’ intesa a “scavalcare l’editore per appellarsi ai lettori, non influenzati dal ‘sistema’ e dalla pubblicità”. Tutta questa furia, rende il ‘primo’ Vassalli indimenticabile. E da riscoprire.
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Per gentile concessione della De Piante Editore pubblichiamo un estratto da “I nuovi travestiti” di Sebastiano Vassalli.
Caratteristica essenziale del travestito è dunque quella di essere pianificato (e pianificatore), nell’ambito di una continuità moderatamente dinamica delle istituzioni, preventivamente in senso contestatario. Di trasformare l’opposizione da negativa in positiva, perché rientri in una certa sfera di rapporti e di interessi epicureisticamente intesi come sistema egocentrico; cioè alla gloria personale dell’Individuo, del Travestito: alla sua infrenabile e irresistibile ascesa su per le scale gerarchiche, verso le seggiole, le cattedre, i troni, i seggi, gli scanni, tutto può giovare: dalla Cina (lontana, nonostante il film di Bellocchio) al capitano Guevara, dal Potere Negro (che oltre Atlantico non dà fastidio) alla retorica sul fascismo ai Movimenti Studenteschi (che possono, questi, dare anche fastidio: ma poi si scopre che sono fondamentalmente utili, in quanto dirottabili contro i travestiti di ieri).
Quale parte abbiano, in tale prassi, coloro che «arredano» – per così dire – il paesaggio di questa nostra «aiola che ci fa tanto feroci »: i manutengoli tra i più diretti del sistema (e che tanto gridano, e tanto contestano: secondo una prassi di comportamento catalogata dai nostri nonni come tipica di chi «ha la coscienza sporca» – ed io vorrei aggiungere le mani – come parte del corpo che mi interessa, tutto sommato, anche più della coscienza); dice – e dice bene, ed in maniera esauriente, l’amico Fonio nel suo intervento specifico. Il mio discorso vuol essere più generale – anche se poi finisce col riferirsi anch’esso ad un ambito specifico: quello delle patrie «lettere» (e qui lo spunto mi viene dalle recenti dimissioni di Giuliani, direttore di Quindici, e della crisi redazionale della rivista stessa).
Chi vuole farsi un’idea sommaria e molto approssimativa di quali siano l’entità e l’incidenza nella nostra cultura della corsa al travestimento, dia un’occhiata alle riviste (di filosofia, letteratura, architettura ecc.) uscite l’inverno scorso. Per conto nostro intendiamo chiarire fin da ora che, se non ci siamo schierati (e non ci schiereremo) nel coro cartaceo dei plaudenti-alla-contestazione, è perché non ci va di spacciare quello che facciamo per qualcosa di diverso da ciò che realmente è; che se non ci facciamo crescere i baffi all’ingiù o la zazzera o non andiamo in giro vestiti di trine, merletti, velluti e plastica è perché non ci va proprio di schierarci con i nuovi travestiti. Ma guardateli. Le università, i circoli culturali «di sinistra», gli edifici costosi della «top direction», le sedi dei partiti politici e dei settimanali per uomini, le case editrici, i teatrini alla moda ne sono pieni. I loro atteggiamenti sono puramente dettati dallo spirito di conservazione, questo è logico: sono i vecchi arnesi della paccottiglia di sempre, i re travicelli che non affonderanno mai. Per un momento hanno creduto, forse, di vedersela brutta; ma ormai sorridono, trionfano: perché non solo il pericolo di andare a fondo è stato ancora una volta scongiurato, ma anzi le posizioni si sono rafforzate, le gerarchie chiarite, la lotta per il potere – fino a ieri svoltasi al coperto, in spazi chiusi e felpati e, per così dire, a calci sotto il tavolo – ora è diventata aperta, è stata pubblicizzata; e i travestiti, in cambio di mediocri servigi alla portata di qualunque ruffiano, hanno trovato un aiuto «dal basso» veramente insperato ed insperabile. No, non voglio con questo dire che tutti gli studenti e i contestatori siano stati e siano totalmente ingenui: molti lo sono, molti invece si rendono conto di questo nuovo stato di fatto ma non riescono a sottrarvisi; oppure sono stati tratti in inganno – e vi sono tuttora trattenuti – dall’innegabile abilità dei travestiti. Che sono, è inutile dirlo, veramente affascinanti e adescanti: e mimano alla perfezione coloro cui vogliono somigliare. «Papà, vai a casa» hanno gridato l’inverno scorso gli studenti della Sorbona a Sartre; e spero che la lezioncina sia servita al vecchio zampettatore da sfilate protestatarie, nel senso di indurlo ad una più consapevole riflessione sulla propria dignità di vecchio (old) uomo (selfmademan). Gli studenti italiani paiono in genere più accomodanti: qui i travestiti tengono banco, e lo tengono – a quanto mi si dice – bene. Le Istituzioni Cadenti, per conservare se stesse, li ungono dei loro crismi; e i contestatori sembrano non essersi accorti del fatto che l’unica maniera per colpire le Istituzioni sarebbe quella di colpire i nuovi travestiti, che fungono in questo momento da tramite e da pilastri del Sistema.
Sebastiano Vassalli