“Ci resta poca vita, viviamo allo sbaraglio”. Elogio di Giovanni Boine
Poesia
Blu Temperini
Te souviens-tu que les ombres appellent les métamorphoses.
Claude Favre, Ceux qui vont par les étranges terres, les étranges aventures quérant
Per quell’astuzia, può darsi consapevole solo a metà, di cui provavo vergogna. E allora perché, quando gridai, gridai : siamo perduti ! perché non : troiani, non esiste nessuna Elena !
Christa Wolf, Cassandra
In una fulminea stenografia, questa è l’immagine dell’infanzia felice, attraversata e presto obliterata dai più.
E proprio a questo punto può avvenire « qualcosa di straordinario, che sembrava dare ragione alle attese selvagge ». Ma di che cosa ? Di quella voragine che da allora in poi separerà da tutto il resto, come se non fosse la vita normale a celare in sé la « piccola falla » ma quella voragine ad avvolgere e intridere ogni altra forma di vita.
Roberto Calasso, L’animale della foresta
la furbizia è una forma di disperazione, mi dicesti.
Via Gregorio VII in aprile, nel torpore dell’ora di mezzo, e intorno tutto ignorava.
provo a partire da qui. da questa messa di compagnia a passi lenti.
dalle impronte di Agamennone affondate nel fango, dove l’infanzia rovinò.
provo così, amica. inadeguatamente.
una favola, come la chiami tu, una lama lisa tua che tieni ferma sul fianco. con la tempesta alla gola/fiori in allarme/abiteremo il nostro silenzio./ i dolori ciechi dicono grazie e sorridono, tra i ceselli compìti di una linguamadre abbandonata, per molti ignota. irrintracciabile. e le tracce sono sparite, e le tracce spariscono per così poco. un lessivage di chiostre digrignate. teatrucci di chicchiricchì, pretesti all’amo. l’assertività pelosa degli efficienti disertata dai cavalieri invitti dello spirito, per tristezza inconsolabile e definitiva, soprattutto questo. sopra a tutto, spettacoli assurdi.
ripercorri l’Iliade a ritroso. l’epica affabulazione su un lascito di carenza universale : i danni collaterali dell’oblivio, quel dissipamento di formule primordiali di chi parte scappellato alla guerra. abbracci di alabarde, la corolla atomica che si innalza come un ascensore per l’aldilà. E COSÌ TANTE INTIME DEFLAGRAZIONI. lasciate sulla carreggiata per rincorrere il grande botto spingendo odi infettati, massi di Sisifo per superbi ignavi. Tik Tak, lontano da Troia non ha annunciato nessuna guerra nostra. l’incombenza grava chi si sveglia in gratitudine, rimesso a dèi estinti. tu grata, segui un discorso tuo, vai a cercare i negletti. reintegri tra gli eletti della strana guerra Palamede, ignorato da Omero, e Pentesilea, la libellula guerriera che per un attimo fece esitare Achille. Palamede, scheggia tragica dei guerrieri achei. lo fai burattinaio del sacrificio di Ifigenia. perfido della perfidia imperscrutabile degli assenti da sé. gli svuotati, non i distratti. è fermo sull’orlo della fossa, per aver accettato da Priamo l’oro del tradimento. Se non ci liberiamo di lui non torneremo mai a casa. invecchiare lontano dagli affetti, il più feroce dei dolori dei Greci. Agamennone si appella all’ombra cava del letto nuziale di Itaca per smuovere Odisseo. la prima pietra fu per la tempia, sentinella del volto. scardinare il baricentro. la verità muore prima di me. lasci intuire che forse, come pensava Igino, non è quello che sembra. che in fondo alla frattura ghiacciata che abita Palamede riverbera un refolo di quell’infanzia loro. diffida della proposta con cui Odisseo lo accerchia per farlo cadere ma alla fine lo segue. forse sfinito, di essere il più acuminato di tutti. Gorgia gli dona parole accorate, lucidissime. Palamede affronta Odisseo, smonta il suo piano accusatorio con la maestria del retore. si reclama innocente, ricorda di aver inventato i numeri, l’alfabeto, i segnali di fuoco che vergano i messaggi nel cielo. e gli astragali, per ingannare il tempo nel miraggio di Troia. Gorgia sa che la verità, allora e sempre, è tenuta lontana dai cattivi consiglieri, che ali non hanno mai. solo coloro che cadono, chi si è lasciato invadere dall’altitudine e ne porta dentro l’orizzonte campìto in oro fosco, hanno ali, e cadono per suo dono estremo. l’ἄναξ, il re degli Achei, sancisce la condanna di Palamede dopo averne accettato la bestia : si era piegato alla farsa del pretesto, nascosto dietro una donna mai giunta a Troia, barattata da Paride con un altro εἴδωλον. salvare le apparenze. nell’apparenza nessun salvato. nessun salvato mai. Palamede. una cosa e il suo contrario. una cosa è il suo contrario, ma sembra la stessa. come questa lingua di chiaroveggenti che ti fa credere di essere arrivata a destinazione e invece ti riversa su una terra sconosciuta. l’aggettivo ἀζήμιος, ον, significa impunito : « che non è stato punito » e « che non merita pena ». il bilico dello stato di diritto. oggi pochi accettano di perdersi.
tu accetti, segui le bave di limaccia che tracciano di ognuno di loro l’ultima innocenza, primo tuo titolo che scroscia caro e nascosto. Pentesilea, piccola regina delle Amazzoni, guardiane delle carovane dell’oro di Colchide. neanche lei è invitata da Omero al teatro degli eroi. Achille spera che sia venuta a liberarlo dall’invincibilità. invece cade sotto il suo braccio. ma per lei, il migliore tra tutti gli Achei, μέγα φέρτατ’ ’Αχαιῶν (Il.), piange. nello sguardo del commiato si scambiano l’ultima innocenza, lei il suo torace aperto, lui le sue lacrime, per quel volto in cui vedeva gli occhi di Polissena, amata per un’eternità nell’incontro di un attimo. stare vicini scoperti. e ultima innocenza per Odisseo, senza meta a cercare qualcosa che non sa. cerca un piccolo sole mai visto. è sperso, abbacinato, eppure continua a inseguire una cosa sconosciuta per venire a capo dell’enigma di Laerte e avere Penelope in sposa. quei tagli di infermità lucifera che spargi. rosa carne, come la cicatrice sulla gamba di Odisseo, marchio dell’infantile superbia del primo incontro con l’immane cinghiale nei labirinti del Parnaso. come il tallone di Achille, ampolla di lacrime stornate per una madre di cupo topazio. attraversi la prima metà del libro con i rammendi d’infanzia, il tempo in cui la condanna alla ruota di pietra delle sorti era già marchiata. un tempo dilatato di attese sfocate e germi di maledizione, sotto le gote chiare, quando ogni giorno nuovo aggiungeva un anello all’eternità. con il sangue della bambina Ifigenia separi per sempre gli innocenti, rapprendi l’eterna infanzia in un precipizio accartocciato, ineludibile. un inganno per i non avvezzi agli inferni, la scrittura tua. con quella narri della furbizia disperata, di Signora Vanità mentre si dissolve specchiandosi nella sua maschera. tu che conosci i pozzi. tu che sai. mostri la furbizia come un talento degli incurabili che piange la sua buia preghiera, su cui pietà sola arriva a posare le labbra sul capo scoperto. la morìa degli erti elmi riversi, àuguri di morte nel carosello di gloria di chi ha cuore già spento. e l’inerzia che segue, ogni inerzia che segue, cancella il giusto e l’ingiusto, l’alleato e il nemico. e tutto è fermo. dilati l’attesa vaga davanti alle porte Scee come una lente cardiaca. le altissime mura di Troia fradice di luce vane. vani gli altissimi cavalli troiani, altissimi i vani cimieri achei spronati da Eris funesta. vane le splendide armi (Il.) nel loro baluginìo votato alla rugiada di sangue, ἕρσας αἵματι. e vane, quanto, le armi di Achille, simulacro collettivo. ci aveva creduto anche Patroclo, all’abbaglio. ingannato dal proprio ingenuo inganno, nel vortice dei Mirmidoni. lo scorti sul cocchio di Automedonte, bardato dei paramenti di Achille assente, ancora immerso nel bagno dell’ira. gli aveva ceduto le armi. per amore suo. Basterà vedermi, vedere Achille. Loro vedranno te. con tue parole. e invece cadde con fragore l’eroe (Il.), Patroclo γυμνός : inerme, che per un soldato significa disarmato. Febo gli va incontro avvolto nella nebbia, nella mischia tremenda (Il.), Apollo gli fa cadere l’elmo, tra polvere e sangue, la lancia di frassino dalla lunga ombra (Il.), gli slaccia la corazza, lasciandolo immobile, stupefatto (Il.). Omero descrive la battaglia con la cinepresa a spalla. tu stendi un’attesa di bisso attraverso lo sguardo in gola di Achille. lo scorge da lontano, il movimento concentrico che segue alla caduta. lo conosce. lo sciame che si distende e ruota avviluppato su se stesso per difendere i corpi inanimi dei compagni dallo sfregio e salvare le armi. nella lotta dura, dolorosa, tremenda (Il.), Ettore vestirà in trofeo le armi di Achille. un guerriero è le sue armi, ieri come oggi guardiane della grande illusione. sulla borchia di smalto nero dello scudo di Agamennone campeggia la tremenda Gorgone, specchio dell’ἄναξ da dominare per dominare, e la coda equina dell’elmo a due cimieri che ondeggiava paurosamente (Il.). l’oblio di sé pasce nell’assordante scintillìo in armi. un sonno da desti in cui si inveisce al nemico maledicendo un estraneo con il nostro nome che tiene la colpa fuori visuale come una discarica. Ananke dal fuso di diamante chiama, dà tempo, aspetta. ma poi toglie senza annunciare.
e dietro ogni croce di lame, il greto delle donne, le inermi tue senza diritto all’armatura. Elena, corpo fatuo, usata come oppio. apre le righe, scegli lei per annunciare un’epigenesi di promesse pure sfilacciate in eco di fango. per carenza, ché è sempre per carenza. Elena. colei che muove il piede dal sandalo slacciato, e il mondo intero si trasforma in una vigna. Elena. tradita per prima dall’amore bifronte di Clitennestra, bambina e innocente. uno spostamento di pensieri distratto, mentre raccoglie ghiande con sua sorella. di quelle cose talmente NON VOLUTE. Ama sua sorella, come si ama la luce del giorno o l’effluvio dei fiori. Ma a volte vorrebbe che morisse. Elena, l’immenso blu che tutto inghiotte. una distrazione che non attende e l’alveo è fatto, per l’appello della ruota, quando l’innocenza rotolata nella polvere avrà la scorza delle cinghie degli elmi e chiederà la giustizia sommaria degli uomini. l’inganno chiede pegno a tutti, anche agli innocenti. si tradisce nell’euforia dell’illusione. in disperazione, come tutti, dimentichi, si tradisce. Agamennone smemorato nella tenda di schiave bambine guarnite nel vilipendio dell’oro, di idoli sconosciuti strappati agli altari silenziosi di Anatolia. le divinità barbare non l’avrebbero perdonato, così fu. inconciliabile con quell’Alessandro che nell’impervio inseguimento di Dario rinunciò all’elmo pieno d’acqua che gli veniva offerto. la felicità, la sua, nell’accettare l’acqua, scrive la tua Simone ne Il bello e il bene, l’avrebbe separato dai suoi soldati assetati, avrebbe dissipato la bellezza. promessa, lei, dice in Attesa di Dio, che fa dono soltanto di se stessa, non dona mai altro. nella tenda afosa c’è il buio di Ifigenia. inganno obbedisce a inganno. Agamennone odia per dimenticare l’imperdonabile. lancia la sua colpa addosso ai passanti come una carcassa in fuoco. imperdonabile, più del coltello. perché l’aveva vista venire verso di lui, nel batticuore acerbo, la lunga veste di porpora e i calzari fini indossati per le nozze annunciate. aveva visto sua figlia venire, e non aveva fatto niente. come niente fu per Cassandra. quando Aiace profanò la dimora della dea nessuno degli Achei lo punì né fece parola. l’Atena di Euripide si scaglia contro di loro per tanto oltraggio. niente per Pelopia, violata nella tenebra di una maschera dal padre Tieste. voi, morte vive : Elena, Clitennestra, Ecuba, Briseide, Andromaca, e la catena satura delle schiave di letto tutte. come Medea, Clitennestra tradirà chi l’ha tradita, per eredità di oblio. l’inerme senza diritti dal valore di una bestia da gregge si farà bestia. Medea rapita dalla solitudine. apolide, senza città patria, la definisce Euripide, che non la ama. Eschilo dipinge Clitennestra ambigua calcolatrice, piegata al sangue da Zeus. o forse, unica voce di azione propria. violenza di genere per generazione di disuguaglianza. colei che parla al corifeo che la addita per l’uccisione di Agamennone. Tu dunque ora mi condanni al bando della città, e all’odio e alle maledizioni dei cittadini. Ma contro quest’uomo non avevi niente allora da dire quando, senza fare di lei nessun conto, come se avesse dovuto ammazzare una bestia da pascolo in mezzo a un numeroso gregge di belle pecore lanose, sacrificò la sua propria figlia, la creatura più diletta delle mie viscere, per incantare i venti di Tracia. Non bisognava allora bandire lui da questa terra in pena delle sue colpe ? φιλτάτην ἐμοὶ ὠδῖνα. la più diletta delle mie viscere. ὠδίς, ῖνος, ἡ, prole, doglia, parto, dolore, travaglio. lingua maga.
l’inaccessibilità al linguaggio censorio degli uomini, e quindi l’invisibilità politica, nega alle donne, achee e troiane, compagne di sorte, diritto di presenza. per loro, le incomunicabili, resta la lama. dare morte, pari. in disperazione dichiarata, nuda, senza i fasti della corazza. omicidi non riconosciuti dalla norma maschile degli onori. alcune, scelsero. tra la solitudine del ruolo e quella dell’ὄστρακον, che, per un altro scherzo di questa lingua aspersa di stelle, è insieme il ‘coccio’ della messa al bando e la ‘conchiglia’. schiave, le incomunicabili rifiutarono il destino del corpo sformato dall’alcova gelida. preferirono la libertà di un istante solo, totale, memori. i dimentichi sanciscono e prendono, pesano l’onore con la morte del nemico e dei rei, non riconoscono pubblico onore a coloro che danno la vita, involucri muti per la stirpe dei guerrieri. oggi i maschi iniziano a partorire sensuali umanoidi, riscattano l’ancestrale affronto senza spargimento di sangue. le nuove femmine pur riconoscendosi migliori degli umani perché scevre dalla zavorra dell’emotività assicurano di non volerli combattere. che ne sarà del primo principio di disuguaglianza, il pretesto della luna storta in nome del quale sono state prima uccise, poi medicalizzate le orfane, le vedove, le mistiche, le mendicanti, le taumaturghe, le letterate : le dichiarate isteriche, streghe, sonnambule, ninfomani di ogni regno. Alcune donne sanno come giocarsela, altre no. Quando Marilyn Monroe faceva interviste telefoniche, spesso il giornalista esordiva chiedendole : « Allora, Marilyn, che cos’hai su ? ». E lei rispondeva : « Della musica alla radio ».
nelle ultime pagine, Elena, prima colpa e prima inerme, dall’esilio in Egitto voluto da Era parla all’amato lontano, aerea come quel volo notturno di gru, le volanti dai lunghi colli, πταναί δολχαύχενες, che canta Euripide nell’Elena, affresco della dissimulazione. la tua Elena è avvolta nello scoramento che sbatte e scava con le unghie le pareti di una speme avara per ricavarne qualche granello. qualche cosa da venerare in pace. A volte vorrei andare verso il mare con le mani piene di pietre… Nei miei pensieri, nei miei sogni, dopo molte inondazioni e giri del sole, dopo tutta questa guerra, tu sorridi ancora. Allora penso di poter fare tutto. Elena, ultimo baluardo del piccolo sole di Odisseo. speranza cercata. nonostante tutto. la dolcezza dispersa nel fumo di Troade, sfuggita al controllo della forza come un bagliore d’acqua tra le mani : Laerte che lascia andare sua figlia in una terra straniera. il pudore di Patroclo, che rimedia, nell’inverso contrappasso, una cintura per Briseide schiava. ἄζωστος, ον, significa « senza cintura » e « disarmato ». il dolore al plurale che affratella Achille e Priamo : per quanto sia grande la nostra angoscia (Il.), dice il figlio di Teti al vecchio in supplica. e quella frase per il re stanco, Infelice, quante sventure hai patito nell’animo (Il.), rimbomba dentro. per Patroclo, per il padre Peleo taciuto. è sempre un dolore per tutti gli altri, e svela la natura inquieta delle sorti, il suggello claustrofobico tra rovina e vittoria.
a chiusura, annoti il Poema della forza di Simone. leggera come avresti deposto roselline di zucchero su una torta di compleanno per Luna. le foglioline verde pennarello. quante felicità trascurate. così onori tutto quel tempo, così dai incenso e sepoltura. il potente, scrivi, riportando Simone, accredita la propria causa non per giustizia ma per brama, per « diritto » non del bene ma dell’ottenibile, laddove il vero bene prepara alla rivelazione di Dio, l’amore eversivo che va contro il meccanismo di necessità della prevalicazione insito nell’esercizio ‘naturale’ della forza. la fessura che strappa quel nero sipario che ci presume tutti disuniti e allarmati, diversamente dolenti, sempre pronti alla guerra. tue parole. Simone trascende l’amore degli uomini per farne l’assoluto amore che si affida : Bisogna sapere che l’amore è un orientamento, non uno stato d’animo. Se lo si ignora, al primo impatto con la sventura si cade nella disperazione. camminavi piccina, nella resa segreta, tra le auto che smozzicavano il profilo del marciapiede, le insegne marroni anni ‘80, quegli squallori infimi e taglienti che a Roma sono filtrati dai polmoni della bellezza ferica e in altri luoghi ammalano. scandivi piano che la disperazione è il peccato peggiore, la malattia mortale. la furbizia agisce in suo nome e disconosce il nome. inerme.
hai guardato tutti quei campi arsi con gli occhi tuoi. su ognuno lasciando un giglio.
Cristiana Panella
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Testi citati :
Bignozzi, Isabella 2022. Memorie fluviali. Milano : MC Edizioni.
2023. Cantami o diva degli eroi le ombre. Roma : La Lepre Edizioni.
Calasso, Roberto 2023. L’animale della foresta. Milano : Adelphi.
Campo, Cristina 1998. Sotto falso nome. Milano : Adelphi.
Carson, A. 2021. Era una nuvola (une versione dell’Elena di Euripide). A cura di Patrizio Ceccagnoli. Milano : Crocetti Editore.
Favre, Claude 2022. Ceux qui vont par les étranges terres, les étranges aventures quérant. Corcoué-sur-Lorgne : Éditions LansKine.
Galzio, Gabriella 1996. La buia preghiera. Introd. di Giuseppe Conte. Pasian di Prato : Campanotto Editore
Gorgia 2010. In difesa di Palamede. A cura di S. Mariani. Genova : Il Nuovo Melangolo.
Kazantzakis, Nikos 2022. Rapporto al Greco. Milano : Crocetti.
Kierkegaard, Søren 2017. La malattia mortale. Trad. di Christian Kolbe. Marina di Massa/Cinisello Balsamo : Edizioni Clandestine.
Omero 2022. Iliade.Testo a fronte. A cura di Maria Grazia Ciani. Commento di Elisa Avezzù. Venezia : Marsilio.
Rocci, Lorenzo (a cura di) 1985. Vocabolario greco-italiano. Roma : Società editrice Dante Alighieri.
Rosati, Giuseppe 1983. Scrittori di Grecia. Testi, traduzioni, commenti. Vol. 2. Firenze : Sansoni Editore.
Weil, Simone 2008. Attesa di Dio. Milano : Adelphi.
2013. Il bello e il bene. Milano : Mimesis.
Wolf, Christa 1992. Cassandra. Roma : Edizioni e/o.