15 Giugno 2018

Il Viagra è una idiozia pericolosa, il ca**o è sopravvalutato e la fica è un abisso marino maleodorante: l’abbecedario erotico di Massimo Fini

Cazzo (Il) L’erotismo è un fatto maschile, quello femminile è di risulta, derivato. Peraltro il cazzo, sporgente, esposto, visibile, esibito, è banale e molto poco interessante. Intriganti sono le cose nascoste, occulte, segrete, che devono essere cercate, scovate e portate alla luce. Sono gli scrigni da forzare. Ma, soprattutto, l’uomo è attratto dall’horror vacui, dagli orifizi, dai buchi, dalle aperture, dalle fenditure, dai crateri, dagli abissi, dalle caverne umide e oscure, dai cuniculi tenebrosi e senza fondo in cui ci si avventura, col coraggio un po’ incosciente degli speleologi, senza sapere dove portino. Il fascino non è di chi esplora ma di ciò che viene esplorato. E il cazzo è un esploratore ingenuo e sprovveduto, sempre ingannato sull’autentico fine della sua perlustrazione. Una povera vittima, non del tutto innocente, ipnotizzata dal vuoto, attratta da profondità in cui inevitabilmente si perde e si annulla. È vero che c’è stato qualcuno, come l’antropologa Ida Magli, che ha attribuito al cazzo un’importanza fondante nella storia umana. Costei sostiene infatti che dobbiamo proprio al cazzo se l’uomo è diventato un animale culturale. Proiettandosi in avanti, aggettando, distanziandosi dal corpo, il cazzo avrebbe spinto l’uomo fuori da sé, allontanandolo quindi dal mondo della natura e inducendolo a modificarla. Dal cazzo quindi, secondo la Magli, dipende l’esaltante avventura della ricerca e dello spirito umano. Padre Dante, allorché poetava «Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza», probabilmente non sapeva da quale materia, apparentemente così vile, provenisse l’ansia metafisica dell’uomo. Non era a conoscenza delle ultime scoperte dell’antropologia. Sennonché alla Magli, nei cui scritti il fallo assume sempre una dimensione onirica e quanto mai elettrizzante, non passa neanche per la testa che anche l’asino ha un cazzo che aggetta in fuori, la cui erezione è ben più imponente di quella dell’uomo, un vero arco fra la Terra e il Cielo, ma non per questo è diventato qualcosa di diverso da quello che è: un asino. Come Ida Magli.

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Massimo Fini ha raccolto i suoi libri più personali in “Confesso che ho vissuto” (Marsilio, 2018)

Fica (La) È l’enigma. È brutta, laida, umidiccia, maleodorante, percorsa nei due sensi da deiezioni. Fa schifo. Non ha una forma definita, è un buco slabbrato, un vuoto, un’essenza. Se la donna non l’avesse sarebbe perfetta. Ma senza questo oggetto inqualificabile, “l’insetto fica” come la chiama con disprezzo qualcuno, l’erotismo non sarebbe possibile… Quest’abisso marino che la donna ha fra le gambe ha sempre fatto paura all’uomo. Perché rappresenta, materialmente e simbolicamente, la caoticità della femmina, la sua creatività, la sua inquietante fecondità. Da lì ha origine il mistero di tutti i misteri: la vita. È per questa atavica paura della donna, della femmina per essere precisi, che l’uomo ha sempre cercato di limitarla, di condizionarla, di recintarla, di confinarla, di controllarla, di sottometterla, di soggiogarla. È la vitalità della donna che fa paura. Il mondo femminile è primordiale, istintivo, ebbro, baccante, danzante, dionisiaco, quello dell’uomo è apollineo. La donna è la vita, l’uomo è la legge, la regola, il rigore, la morte.

Masturbazione Secondo Karl Krauss (Detti e contraddetti) il coito è un surrogato della masturbazione. In teoria è perfetta, perché non costa fatica, non vuole umidicci contatti, ripugnanti intimità mentre offre il massimo spazio all’immaginazione. L’oggetto del desiderio si presta a ogni fantasia, si apre alle più spettacolari divaricazioni, si piega a ogni ordine. Ma in questa assenza di limiti sta il suo limite. Manca l’ostacolo, la resistenza, il rischio e quindi l’emozione. C’è eccitazione a corteggiare una donna se ti può dire di no (per questo, sia detto di passata, il rapporto con prostitute è, dal punto di vista erotico, incomprensibile). C’è piacere a piegarla a qualche nefandezza se si deve superare una difesa, vincere una riluttanza, bypassare una remora, domare un ritegno, violare un pudore. La mancanza di ostacolo svuota la fantasia masturbatoria e la rende sterile… La masturbazione, come il gioco erotico, appartiene all’area del piacere, il coito a quella del dovere. Ora, il piacere lascia sempre parzialmente insoddisfatti perché, essendo indefinito, rimane comunque la sensazione che potesse essere meglio. Mentre il dovere, in qualsiasi campo e quindi anche in quello sessuale, ha un contenuto definito, stabilito, determinato, preciso, tecnico (del coito si può addirittura dare, e si dà, una definizione giuridica – è l’immissio penis – del piacere no). Se quindi non si può mai essere certi di aver soddisfatto interamente un piacere, questo è invece possibile col dovere. La consapevolezza del dovere compiuto è perciò per l’uomo – che vive nella regola, per la donna il discorso è diverso, quasi opposto – la sola situazione che dia una soddisfazione piena, senza dubbi. Detto in soldoni: se la scopi hai almeno la coscienza a posto, se ti masturbi no.

Masturbazione (femminile) È meno frequente di quella maschile, si dice. In apparenza. È solo più nascosta e segreta come tutta la natura della donna. Lei lo può fare anche stringendo le gambe o appoggiando il ventre allo spigolo di un tavolo o di un calorifero. Quando si masturba, per così dire, apertamente il modo più usuale non è di mettersi un dito dentro, ma è uno sfiorare a palmo aperto, con medio, indice e anulare uniti, mentre il pollice e il mignolo sottile si divaricano, il clitoride e le labbra, un battito leggero e febbrile come quello delle ali di una libellula. In una donna che si accarezza c’è qualcosa di delicato, di commovente, una tenerezza verso se stessa estranea alla rabbiosa masturbazione del maschio. Sia perché la donna si ama di più, ama di più il proprio corpo e lo conosce meglio (è il punto a favore dell’amore saffico rispetto alle goffe intrusioni maschili), sia perché in lei non c’è il senso di spreco che prende l’uomo, quando, come Onan, si corrompe a terra, per aver sparso quel seme che è la vita e anche, più concretamente e cinicamente, per aver sparato a vuoto un colpo che era forse meglio tenere in canna.

Viagra Idiozia pericolosa. Se non viene duro c’è quasi sempre una buona ragione e bisogna rispettarla. Qualche tempo fa, prima che il Viagra fosse commercializzato in Italia, ero a cena da un mio amico farmacista. C’era anche un assicuratore di 66 anni con una moglie molto più giovane e piuttosto carina. Un tipo passabilmente odioso, forzista, ignorante come quasi tutti i forzisti, che aveva passato metà della sua vita al Nepenta e al Charly Max per “cuccare”. Con molta delicatezza si vantava, davanti alla consorte, dei suoi successi con le donne: «Quando avevo quarant’anni non ce n’era per nessuno…» La conversazione andò avanti su questo binario per tutta la serata. Sembrava che la fica, al mondo, l’avesse presa solo lui. Al momento di andarsene, mentre le signore si stavano rimettendo le pellicce, il bullo si avvicinò al farmacista e, parlando sotto- voce, gli chiese, un po’ vergognoso, se poteva procurargli il Viagra: «Sa, con mia moglie va bene. È con le altre…» Allora persi la pazienza: «Non le è passato per la testa» dissi, «che lei non ha più una vera voglia di andare con tutte quelle che passano per la strada, che si tratta di un riflesso condizionato? Ha una moglie carina, la trombi in santa pace e la smetta di rompere i coglioni all’universo mondo, di fare il bambino e si rassegni a diventare finalmente un uomo».

Woman Le femministe si infuriano perché il maschilismo ha affidato alla donna la Terra e all’uomo il Cielo. Dovrebbero invece rallegrarsene dato che la Terra esiste e il Cielo no. Sarebbe bastato invertire i termini e mettere il segno positivo davanti alla Natura perché tutto il discorso sull’inferiorità della donna cadesse. Invece il femminismo ha continuato a considerare, proprio come il maschilismo, la Natura, la Terra e quindi, in definitiva, anche la donna, di grado inferiore al Cielo e ha lottato e lotta perché anche le donne entrino a far parte, a pieno titolo, di questo fantastico e fantomatico Cielo. Da questo tragico errore è venuta fuori una donna che è diventata davvero ciò che la peggiore misoginia la accusava di essere: un maschio incompleto, un uomo mancato. Può darsi – è un augurio e una speranza – che il ritorno alla Natura e alla Terra, di cui si intravedono i primi, timidi, movimenti in controtendenza all’industrialismo e all’astrazione razionalizzatrice oggi dominanti, induca la donna a recuperare e ritrovare le proprie radici, a piantarla di fare la guerra al maschio, nemico sconfitto in partenza, e a smetterla di cercare altrove una pienezza che ha già, da sempre, dentro di sé.

Massimo Fini

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P.S. Per gentile concessione dell’editore Marsilio, pubblichiamo alcuni lemmi – alcuni debitamente scorciati – dal “Di[zion]ario erotico” di Massimo Fini, pubblicato in origine nel 2000 e riproposto nel libro complessivo “Confesso che ho vissuto. Esistenza inquieta di un perdente di successo” (Marsilio, 2018). Così Fini parla della scrittura di quel libro, dopo una considerazione d’avorio (“Scrivere di eros è difficilissimo. Anche grandi autori che si sono cimentati nel romanzo erotico hanno dato esiti deludenti”): “Il ‘Di[zion]ario’ è all’apparenza un divertissement, e in effetti lo è anche, ma nella sostanza parla del rapporto col femminile visto dal maschile, quantomeno da un particolare maschile, il mio. Su di me circolano delle leggende metropolitane: che sia misogino, che sia omosessuale, che sia un tombeur de femmes. Nessuna corrisponde alla realtà, ma in ognuna c’è un pizzico di verità. Una sola cosa è certa: nella fase terminale della mia esistenza, quella che sto vivendo adesso, sono diventato misantropo. Anzi, ad osservar bene, lo sono sempre stato. Per tutta la vita mi sono sentito un uomo solo, uno fuori posto, uno spostato appunto”.

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