Secondo il mito Clizia è una ninfa che si innamora del Sole, tanto che “il suo amore per il Sole era sfrenato”. La passione verso l’entità irraggiungibile strugge Clizia finché la ninfa, come narra Ovidio nelle “Metamorfosi”, si trasforma in girasole, il fiore che si muove guardando l’astro che nessun occhio umano può vincere né sostenere. “Malgrado una radice la trattenga, sempre si volge lei verso il suo Sole e pur così mutata gli serba amore”. Clizia, figura terrena dell’amore solare, sfrontato e immutato, viene ripresa da Eugenio Montale, in una delle sue liriche più belle, “La primavera hitleriana”: “Guarda ancora/ in alto, Clizia, è la tua sorte, tu/ che il non mutato amor mutata serbi”. Questa è la ragione del titolo che abbiamo assegnato a questa rubrica, ‘Clizia’: la bellezza in ogni sua variante, la solarità di un viso, ci portano al concetto di un amore immutabile, che non cambia mentre ogni forma, preda del divenire, morsa dal tempo, inevitabilmente muta. L’amore che non muta è ciò che permette all’uomo, tramite la visione di una forma vana, di vincere la morte.
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Due aspetti colpiscono di Giulia: la bellezza arresa, musicale, e la percezione del lato oscuro dell’uomo. Quando riconosce nella “sorella più piccola, Giorgia” il “mio punto di riferimento”, consapevole che “mi ha aiutato molto in momenti di difficoltà: senza di lei sarei persa”, Giulia dimostra di sapere che la natura dell’uomo è un precipizio, una perdizione. Forse per questo ha deciso di frequentare Sociologia a Forlì, lei, 23 anni, di Cesenatico, con l’intento di “intraprendere la carriera di criminologa”. Bellezza dura, dagli occhi pieni e fermi, quella di Giulia, esaltata dai capelli, sinfonici. Giulia ascolta i ‘classici’ del rock, dai Pink Floyd ai Deep Purple, dai Cure ai Queen; è particolarmente legata a certe canzoni dei Beatles, “che mi faceva ascoltare mio padre da bambina”. Il legame è cruciale: alcune frasi di quelle canzoni segnano il suo corpo, ricoperto da 11 tatuaggi, “ciascuno con un significato preciso”. La necessità di segnare il corpo, di candida vertigine, per puntellare la crescita, per fare memoria delle prove. A Giulia avviciniamo le parole di Leonard Cohen, re dei cantautori, il grande Lord della musica americana, nato come poeta, folgorato dall’ascolto di Bob Dylan e da Janis Joplin, nei magnifici anni Sessanta. Non si canta altro, parole tatuate sul dorso del vento, in effetti, che l’amore, il turbamento e la bellezza.
Come la bruma non lascia sfregi
Sul verde cupo della collina
Così il mio corpo non lascia sfregi
Su di te e non lo farà mai
Oltre le finestre nel buio
I bambini vengono, i bambini vanno
Come frecce senza bersaglio
Come manette fatte di neve
Il vero amore non lascia tracce
Se tu e io siamo una cosa sola
Si perde nei nostri abbracci
Come stelle contro il sole
Come una foglia cadente può restare
Un momento nell’aria
Così come la tua testa sul mio petto
Così la mia mano sui tuoi capelli
E molte notti resistono
Senza una luna, senza una stella
Così resisteremo noi
Quando uno dei due sarà via, lontano.
La Storia morde ogni cosa, con volto da iena, ma quando un uomo ama, amalgamato all’altro, non ha paura di nulla, è dentro ciò che brilla, è un fuoco.
*Le fotografie sono di Antonio Tonti
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