Incipit. Nel gennaio del 2017 la casa editrice Sem, milanese, neonata, esordisce con un ‘colpaccio’, come si dice. Pubblica un testo perduto – e ritrovato dalla poetessa Rosita Copioli – di Federico Fellini, L’Olimpo, una riscrittura elaborata, narrativamente audace, dei miti greci. L’editore parla, testuale, di “Un inatteso capolavoro che testimonia, una volta di più, il genio inimitabile di Federico Fellini”. Il libro, “a cura di Rosita Copioli e Gérald Morin”, esce, con sfarzo, e con una introduzione di Sergio Zavoli.
Indagine. All’epoca lavoravo a Rimini, presso La Voce di Romagna, dove ogni ‘fellineria’ faceva notizia. Visto che il testo finora inedito è stato rintracciato tra i faldoni della Cineteca Comunale riminese, faccio richiesta di visionarlo. Sfogliando la ‘Scheda di consistenza’ della fu Fondazione Fellini (il materiale è ora incorporato dal Comune di Rimini), pubblicata anche on line dall’Istituto per i beni artistici culturali e naturali dell’Emilia-Romagna, infatti, mi accorgo che del testo si è a conoscenza almeno dal 2012 (nella “sezione fotocopie” sono censiti “appunti, trame, tracce di sceneggiatura per progetti che purtroppo non videro mai la luce: L’attore, L’inferno, Venezia, Mandrake, I “signori” del borgo e L’Olimpo. I miti greci”). Guardo il testo. Fotocopie. Dattiloscritte. Malmesse. In alcuni casi illeggibili se non ricostruendo minuziosamente il senso del testo. Sul fronte, uno sbrego-firma di Fellini; all’interno, alcune correzioni. La scrittura del soggetto – erotico, eccessivo – non mi ricorda lo stile di Fellini. La domanda giornalistica sorge spontanea: ma… L’Olimpo è davvero di Fellini? Alla prima domanda ne segue un’altra: ma… possibile che un editore pubblichi un testo fotocopiato male, giudicandolo di Fellini senza fare alcuna indagine in merito o perizia grafica?
Esito. La mia ricerca – testimoniata in due articoli pubblicati da La Voce di Romagna il 24 gennaio 2017 (“E se quello non fosse un Fellini?”) e il 26 gennaio 2017 (“L’inedito: e se fosse di Brunello Rondi?”) – produce due risultati. Il primo. Sentendo alcuni ‘fellinologi’ mi si dice che quel testo quasi certamente non è di Fellini (Gianfranco Angelucci, collaboratore di lungo corso di Big Federico, testimonia che “Chi abbia dimestichezza con la scrittura di Fellini sa che quel lavoro non è stato scritto del tutto da Federico”; giudizio ribadito con più forza direttamente da Angelucci su Articolo 21 il 16 aprile 2017: “i curatori avrebbero dovuto lasciarsi insospettire dallo stile: il lessico, la sintassi, la costruzione della frase, e infine certe affermazioni fuori registro che Fellini non avrebbe mai pronunciate, come sa bene chiunque abbia avuto con lui anche soltanto una conoscenza superficiale”). Secondo risultato. La cosa più interessante – facendo una banalissima osservazione calligrafica – è che si consolida con forza la candidatura di Brunello Rondi come reale scrittore de L’Olimpo. Queste ricerche sono servite a qualcosa? Non del tutto. Un testo che si chiama L’Olimpo attribuito con un po’ di superficialità a Federico Fellini continua a essere disponibile, a 15 euro, ovunque, stampato da Sem.
Il personaggio. Brunello Rondi, chi non lo sa, è uno dei grandi scrittori del cinema italiano, oltre che regista, due volte candidato all’Oscar. Soprattutto, Rondi è stato protagonista nell’avventura cinematografica che ha prodotto i grandi film di Fellini: dopo aver fatto amicizia nel 1950, intorno a Francesco giullare di Dio di Rossellini (Fellini coautore del soggetto, Rondi assistente alla regia e cosceneggiatore), i due cominciano a collaborare per La strada e poi per La dolce vita, Otto e mezzo, Giulietta degli spiriti, e giù fino a Prova d’orchestra e La città delle donne. Sull’importanza di Brunello Rondi come mente spesso occulta di importanti passaggi nella vita cinematografica e culturale in senso lato di Federico Fellini, basta citare l’articolo di Tullio Kezich, “Noi negri di Fellini”, pubblicato sulla “Rivista di studi felliniani” Fellini Amarcord nell’agosto del 2007. Per “negri” Kezich intende “quei collaboratori e complici da lui [Fellini] utilizzati per mettere su carta le sue idee”. Tra i “negri” spicca, principesca, la figura di Brunello Rondi, “un personaggio che dall’alto della sua onniscienza quasi intimoriva Federico. Brunello svolse i vari compiti con devoto impegno, salva l’ingenuità di attribuire al committente riferimenti a libri di cui non conosceva neppure l’esistenza: il che provocava fra noi della cerchia frequenti occasioni di ilarità”. Insomma, Brunello Rondi non è solo lo scrittore ma anche e l’interlocutore privilegiato di Fellini. Eppure, come scrive Alberto Pezzotta, formidabile esegeta di Rondi (in “Brunellone e Federico. La collaborazione con Fellini”, testo interno a Il lungo respiro di Brunello Rondi, 2010), “Forse nessun collaboratore ha seguito Federico Fellini in un arco di tempo così lungo come Brunello Rondi. Eppure la sua figura è rimasta nell’ombra, ed è stata trascurata, sottovalutata o addirittura rimossa da quasi tutti gli studiosi felliniani”.
La grande beffa. In seguito alle indagini che, ripeto, dal punto di vista editoriale – dunque, culturale – non hanno esito, Umberto Rondi, figlio di Brunello, scrive una lettera ufficiale, il 23 maggio 2018, alla Cineteca comunale e al Sindaco di Rimini, fornendo dati specifici secondo cui, a suo avviso, L’Olimpo sarebbe un testo redatto da Brunello Rondi, dunque falsamente attribuito a Fellini. Insomma, l’erede di Rondi chiede che il testo venga assegnato di diritto a chi ne ha paternità, Brunello. Educazione vorrebbe che l’istituzione comunale, in quanto ente ‘pubblico’ tenuto a dare risposte – e anche a garantire coerenza e dignità al proprio archivio felliniano – faccia delle verifiche e che per lo meno dia risposta all’erede di Rondi. Così non è stato: “con stupore e rammarico prendo atto che a sei mesi dall’invio della mia lettera (23 maggio 2018) sull’autorialità, o, co-autorialità di mio padre, Brunello Rondi, del testo ‘L’Olimpo’ da voi pubblicato, non mi avete mai risposto, nonostante siate un ente pubblico e nonostante vi abbia sia dato una più che eloquente documentazione sia i numerosi solleciti sia le vostre reiterate assicurazioni”. A questo punto, per gentile concessione di Umberto Rondi, ci pensa la stampa a sanare l’onta, a fare ciò che altri non fanno. In attesa di appurare definitivamente – dopo le stringenti analogie calligrafiche e altri indizi – la verità sul reperto bibliografico. (d.b.)
***
23 maggio 2018
Egregi signori,
la casa editrice Sem ha, com’è noto, pubblicato nel corso del 2017 il libro “Olimpo” attribuendolo a Federico Fellini. Questa attribuzione costituisce un clamoroso falso ed è quindi falsificante anche sul piano della filologia felliniana e per chi, oggi come in futuro, vi si addentrerà, aggiungendo danno a danno, falso a falso. L’opera è in larghissima parte, se non, assai più evidentemente, nella assoluta totalità, di mio padre, Brunello Rondi. E questo non lo dico e rimarco solo come figlio di Brunello Rondi, pur essendo, per dirla con il saggista e storico della figura e dell’opera di mio padre, Alberto Pezzotta, “il più presente ma anche il più sottovalutato degli sceneggiatori di Fellini”, ma anche come giornalista cinematografico nonchè, cittadino e giornalista sociale a cui sta a cuore il limpido funzionamento delle istituzioni, oltrechè come (all’epoca) “impaziente fellinologo” come ebbe affettuosamente a definirmi, oltre trent’anni fa, il compianto Tullio Kezich.
Per coloro che studiano, infatti ora o in futuro, la figura e l’opera di mio padre, Brunello anche in campo universitario, in Italia e all’estero, con varie tesi, libri, retrospettive che si stanno da tempo curando o realizzando su di lui, o quella dello stesso Fellini e delle sue opere, insomma la loro straordinaria memoria e il loro grandissimo lascito culturale ed artistico, non possono essere lasciate passare sotto silenzio falsificazioni del genere, anche pensando alle generazioni a venire che affronteranno la filologia delle opere di questi due autori, e tale filologia, appunto, non si può proprio falsificare. E, ancora prima, la giustizia non si può offende tanti clamorosamente.
La Cineteca di Rimini inizialmente aveva messo il testo rinvenuto nei vostri archivi a disposizione della dottoressa Rosita Copioli, e, indirettamente e successivamente, del dott. Gerard Morin e di Sergio Zavoli oltreché, chiaramente della stessa S.E.M. senza, forse, una prudenza o uno scrupolo storico, investigativo e filologico eccessivi. Se posso prendere atto che comunque l’accaduto può essere reso un po’ più accettabile dalle vostre buone intenzioni […] dovete, ritengo, a vostra volta prendere atto che nel momento che acquisite, come state facendo in questo momento – in modo diretto, ufficiale e sostanzialmente inequivocabile – l’errore commesso e la corretta ricostruzione filologica e fattuale dell’accaduto, non potrete davvero esimervi da sistemare correttamente nei vostri archivi o rispetto ad eventuali pubblicazioni o convegni futuri la corretta paternità dell’opera e, anche sul piano morale, visti i danni, se pur involontari, che tale vostra cessione ha causato alla memoria di mio padre e a tutta la mia famiglia […].
Tornando ad ‘Olimpo’ a prova di quanto sostengo, se non bastassero i dubbi avanzati da esperti “fellinologi, fellinisti e felliniani”, si devono tener presenti almeno quattro punti fondamentali.
1. Mio padre è stato uno degli sceneggiatori storici di Federico Fellini (“La dolce vita”, “8 ½”, solo per citare due tra gli oltre dieci titoli che, come ben sapete, li hanno visti lavorare e firmare insieme le sceneggiature) e, soprattutto in quegli anni di datazione di “Olimpo”, amico fraterno con rapporti di strettissima collaborazione: del 1978 è “Prova d’orchestra” (sceneggiatura di Fellini e Rondi), del 1980 “La città delle donne” (sceneggiatura di Fellini, Rondi, Zapponi): “Olimpo” è del 1981 (datazione della Copioli).
2. Il fatto che mio padre sia l’estensore del testo è ampiamente e ulteriormente provato, oltre che dallo stile inconfondibile e dall’essere inconfondibilmente non di Fellini, dal dattiloscritto originale, inviatomi dal Comune di Rimini, in cui sono presenti numerosissime correzioni e aggiunte, con calligrafia chiarissimamente di mio padre, evidente ad occhio nudo, ma qualsiasi perizia lo confermerebbe immediatamente.
3. Mia madre e io ricordiamo benissimo, che mio padre lavorò a quel testo per un progetto di film. E conserviamo ancora una copia del libro “I miti greci” di Robert Graves che mio padre studiò a lungo come punto di riferimento principale per il suo lavoro.
4. Nel 1980 – anno precedente alla datazione di “Olimpo” (1981) operata dalla curatrice Rosita Copioli – mio padre ha pubblicato un libro di poesie dal Titolo “Thàlatta”, edito dallo Studio S Arte Contemporanea, dedicato al mondo femminile in cornice mitica, illustrato da disegni originali di Fellini. Credo altamente probabile che proprio in quell’occasione sia maturata o si sia comunque sviluppata l’idea di realizzare un film con quei contenuti e che mio padre abbia iniziato a lavorarci su, invitato, dello stesso Fellini.
Con il pieno desiderio di non volervi arrecare alcun danno ma altrettanto fermo nel proposito di veder riconosciuti i diritti d’autore di mio padre, la invito anzitutto , nel rispetto del diritto morale alla paternità previsto dall’art. 20 co.1 Legge n. 633 del 1941, a fare menzione del nome di Brunello Rondi quale autore dell’opera di che trattasi, nelle forme d’uso ossia mediante indicazione del suo nominativo in qualsiasi circostanza la Cineteca, internamente o in vie pubbliche dovesse rinominare “Olimpo” e di scrivere una lettera di rettifica alla casa editrice Sem. Personalmente, l’ho indirizzata al direttore editoriale […]
Umberto Rondi