Un libro è un organismo complesso, anzi, è un orgasmo. Dialogo con Alfio Squillaci
Dialoghi
Paolo Ferrucci
Non dà risposte, ma pone domande. Sia in scena – anzi, dalla scena – che, naturalmente e in seconda battuta, nel pubblico del Teatro “Bonci” in Cesena. Testo “scivoloso”, questo “1984” scritto da George Orwell nel 1948 e “riletto” in chiave moderna (non si può azzardare la contemporaneità perché quando si scrive il tempo è già passato) da Matthew Lenton. “Scivoloso” per le tematiche affrontate ma soprattutto per lo spazio temporale che passa tra la nascita del testo (siamo nel primissimo dopoguerra) e la versione scenica. “Scivoloso” per la sua capacità di essere pioniere di quello che sarebbe avvenuto mezzo secolo più tardi, la necessità di avere un occhio aperto sulle vite degli altri. Una modalità che Lenton ha messo al centro della sua messa in scena, consapevole delle difficoltà che si possono incontrare quando si affronta un testo nato e scritto con i tempi e la scrittura del romanzo e non di un testo teatrale.
Il regista così ha scelto di puntare su una serie di episodi “visivi”, più fruibili alla platea, rimanendo comunque fedele alla storia, la sconfitta e la successiva “rieducazione” di Winston Smith, raccontata – ed è questa una delle novità rispetto al testo originale – da una narratrice, Nicole Guerzoni. Il “tradimento” di Lenton, perché tradurre è tradire, si gioca tutto sul tempo: non uno spettacolo “datato” ma sui “Big Data”, sul controllo che hanno i social media sulla vita delle persone. Viene in mente, guardando questo “1984”, la riflessione che ha fatto Stefano Benni, “Siamo in collegamento con il mondo attraverso internet e i cellulari. I telefonini combattono l’isolamento ma non la solitudine”. Lenton però azzarda di più, le persone – ci fa capire – vengono influenzate dai nuovi modi di comunicare. Oggi, questa è la sua critica alla società, gli algoritmi portano i fruitori verso un pensiero binario e uniformato: “sì” o “no”, “bianco” o “nero”, “freddo o caldo”, “comunità” o “solitudine”.
La sensazione è che il regista abbia letto (oppure visto a teatro) Pirandello: nel prologo che introduce allo spettacolo gli attori mettono in scena uno scambio di battute con il pubblico. Abbattendo la quarta parete e ricordando i testi metateatrali del Premio Nobel di Agrigento, pongono alla platea una serie di domande sul concetto di libertà negli anni dei social network, spiegando che il “Grande Fratello” oggi è chi ha il controllo della Rete (e quindi delle vite e delle decisioni di chi vive su Internet).
Una critica al mondo di oggi – non solo ai più giovani ma anche ai genitori, sempre più presenti online, quasi a volersi aggrappare alla giovinezza o al peterpanismo – e un messaggio: il mondo è fatto di contatti umani, camminare all’aria aperta, parole dette guardandosi negli occhi e non scritte osservando i tasti o il display. Forse solo così si può essere ancora padroni della propria vita.
Alessandro Carli
*Qui trovate una precedente riflessione – non teatrale, ma concettuale – sul “1984” andato in scena a Cesena.