31 Maggio 2020

“Si paga ciò che si è amato, è per l’amore sbagliato che si muore”. Il figlio di Boris Pasternak. Un racconto

Il giorno dopo scrisse nove lettere – a chi indirizzarle avrebbe pensato il giorno dopo ancora – “è stato un non incontro, era irriconoscibile, un sonnambulo, sembrava un albero”. Si erano scritti per dieci anni, Marina sapeva che guardare il volto di chi ami è un sacrilegio, come scambiare Dio per un microscopio. Lui, spazientito, svogliatamente, aveva insistito per vederla. Poteva essere Parigi o il Tabor, il 1935 o il 7946, e giugno era un’ipotesi dei piccioni, che tormentavano il cielo, grigio, come fosse un cane rovesciato.

Come sempre, disse parole memorabili – “Più alta della magnificenza delle Alpi, la poesia sarà sempre troppo semplice per dibatterne in una assemblea, risiede nell’erba, sotto i piedi, tanto che bisogna chinarsi per accorgersene, per raccoglierla da terra”. André Gide – o André Malraux – lo invitò a una cena “riservata” – lui capì rischiosa – e già si era dimenticato di chi, per lettera, diceva di amare più di ogni altra cosa. Durante il viaggio – “un viaggio verso il bianco”, aveva scritto su un taccuino: effettivamente, non dormiva da giorni e ogni giorno (perché questa è la disciplina dei poeti) aveva meditato di uccidersi – si passava sulla lingua, sul palato, quel versetto di Luca, che racconta di Gesù risorto a Emmaus, “lo riconobbero nello spezzare il pane”. Come riconoscere tuo padre, tuo figlio?, si domandava, il poeta – nella mente, i binari scalciavano, disciplinati, come musi di cavalli, sentì il rumore del pane che si spezzava.

Il suo discorso, era il 24 giugno del 1935, durò pochissimo, poco più di due minuti. Il titolo gli sembrava radioso, roboante, grottesco: “Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura”. Soppesò la parola cultura e la parola difesa, entrambe fuorvianti; tornò con la mente a Emmaus. C’era sua sorella, non la vedeva da dieci anni, era più giovane di lui di nove. Era bellissima e discreta, Josephine, la prediletta del padre, Leonid. Le avrebbe chiesto del marito, il cugino Fëdor, della vita a Monaco, delle sue poesie. La chiamava “la peste”, perché da piccola, con la sua intelligenza anomala, conquistava l’attenzione delle autorità che venivano a farsi ritrarre dal padre. Nessuno poteva sottrarsi al suo contagio; aveva intrattenuto Albert Einstein, a dieci anni. “Ma sei tu ad aver contagiato la mia vita”, le ricordava, ogni volta. Ma Josephine restò tra il pubblicò e inviò verso di lui il figlio: si chiamava Jurij, aveva undici anni e le stesse labbra carnose, gli stessi zigomi pronunciati dello zio. Boris Pasternak afferrò il viso di Jurij tra le mani, come se le mani fossero un vaso e il corpo niente più che un rigagnolo; riuscì a sussurrare, tra la calca, “Peste”, a Josephine, e lì finì la sua giornata, la sua vita, forse. Marina stava qualche sconosciuto più in là di Josephine; a lei il poeta parlò di Padre Sergij, il racconto di Tolstoj, e del fatto che avrebbe dovuto tagliarsi tutte le dita della mano sinistra, “se non si ha questo coraggio, a cosa serve scrivere?”. Marina liquidò presto, stanca, quell’uomo, imbambolato nell’altro mondo.

Si fermò a Berlino – sognò un ghepardo sulla spiaggia del Baltico e qualcuno che diceva che la velocità è un attributo divino –, scrisse alla cugina, Ol’ga, “L’ho vista” – e altre sciocchezze. “Si paga ciò che si è amato, è per l’amore sbagliato che si muore”, gli fu risposto. Non incontrò mai più la sorella – tutti sapevano che il cugino Fëdor, destinato a morire tragicamente, nel 1938, era impotente. Jurij partecipò al funerale di Boris Pasternak: l’ambasciata sovietica gli consentì il volo da Londra. Aveva 36 anni, si occupava di entomologia presso un’accademia inglese. In ogni caso, nessuno lo riconobbe come “un Pasternak” – lui gradì l’anonimato. La madre aveva tradotto alcune poesie del fratello in inglese: non le aveva mai lette.

Davide Brullo      

*Il racconto fa parte del progetto, ideato da De Piante Editore, “Aut Libri Aut Liberi. Otto racconti al tempo della peste”; il libro, tirato in 500 copie, con copertina d’artista di Lara Martinato, è acquistabile qui

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