27 Ottobre 2022

Addestrare i cuori: 20 anni fa nasceva “il Domenicale”, un giornale irripetibile

Esattamente venti anni fa, il 27 ottobre del 2002, usciva il primo numero de il Domenicale, settimanale di cultura. Non è mia abitudine usare toni retorici né apologetici, avendo contribuito a quell’avventura come direttore me ne guardo bene, ma il Domenicale fu il primo e forse l’ultimo compiuto tentativo di dare consistenza e rappresentazione alla cultura del Centrodestra in Italia, uno schieramento politico nato, dal punto di vista nominale, dieci anni prima e che si sarebbe trasformato nei venti anni successivi, fino all’odierna conformazione.

Non voglio sottostimare il lavoro fondamentale delle pagine culturali de il Giornale che continua a essere un punto di riferimento, neppure dimenticare le riviste cosiddette di area che vennero editate in quel periodo, tutte scomparse, credo però che da un lato per sua natura un quotidiano debba confrontarsi con la cronaca e non sia lo spazio adeguato per una riflessione di tipo metapolitico, mentre i prodotti più specifici (mensili e trimestrali) avevano da un lato il limite di linee editoriali molto strette e determinate a priori, dall’altro il difetto di essere concepiti proprio come luoghi di riflessione alta.

Il Domenicale, al contrario, aveva la giocosa libertà di poter essere leggero e scanzonato sui temi dell’attualità, pur fregandosene della semplice cronaca, al contempo permettersi divagazioni concettose, aprendo dibattiti che si potevano concretizzare con cadenza ravvicinata e dunque incidere realmente sul contesto culturale di quel dato momento. Dal punto di vista della forma, la copertina, tra immagine e titolo, fu uno strumento efficace per incidere davvero nell’immaginario collettivo di un pubblico più ampio di quello di una leadership affezionata comunque limitata che lo acquistava ogni sabato, mentre la grafica interna, completamente avulsa, soprattutto nei primi numeri, dalla normale impostazione delle pagine di un giornale, rispondeva alla determinata intenzione mia, della redazione, e del primo nucleo di collaboratori, di confrontarci con la storia delle riviste di cultura della prima metà del Novecento, soprattutto quelle di matrice longanesiana, tra citazionismo, invenzione, reinvenzione, libertà creativa, disegni e fotografie, inserti, occhielli, rubriche, mai però cadendo nell’atto velleitario della stravaganza a tutti i costi, restando cioè nell’alveo di un prodotto che doveva essere distribuito e venduto in edicola.

Se la questione della veste grafica ha un peso determinante nel farci ricordare le pagine quasi con nostalgia, fondamentale, vista da poi, fu la consistente densità dei contenuti e soprattutto la capacità di promuovere una cultura unitaria in una parte politica ancora frammentata e che, paradossalmente, ancora oggi resta frammentata. Il tentativo, definito dal termine “fusionismo”, era quello di fondere correnti di pensiero diverse, spesso in contrapposizione, trovandone il massimo comune denominatore: non dunque limitandone le diversità, semmai esaltandole così da arrivare a una inedita congiunzione nei vertici: dal pensiero conservatore e cattolico al pensiero liberale e libertario, passando per tutte le configurazioni e declinazioni ed eterodossie, tra pensiero reazionario e all’opposto radicale, socialista e liberista, cristiano e pagano. Ovviamente, dentro un perimetro che tutti noi conoscevamo e che ci accumunava senza necessità di definirne il limite, ma che si poteva ben oltrepassare nel nome del paradosso e dell’amore di verità, per omaggiare gli opposti che reputavamo degni, per controbattere le falsità del politicamente corretto, talvolta solo per il gusto, non la posa, di sentirci controcorrente rispetto alle dominanti ed anguste logiche di potere della cultura progressista.

Le diversità che esistevano persino dentro la nostra piccola redazione e ancora di più tra i tanti collaboratori, potevano ben essere superate nel nome di una aristocrazia del pensiero a cui tendevano come più grande aspirazione possibile, doverosa per un intellettuale, parola che persino con le sue implicazioni novecentesche non disdegnavamo di attribuirci, in sommo sprezzo dei parolai, degli imbonitori da salotto, e dei telepresentatori. Ci univa anche la sprezzatura e il divertimento con cui, giovani, affrontavamo quella piccola sfida, e ancor maggiormente lo stile che si incarnava in una scrittura raffinata e colta e che è stata forse la cifra più puntuale di quel progetto, senza però nessuna tentazione elitista che fu, per esempio, il vizio di un altro grande simile esperimento, specie tra il 1996 e il 2006, come quello de il Foglio che si autorappresentava come una corte ristretta a servizio del principe e che pagava – a mio parere – proprio la contiguità con il sistema di potere e l’idea, tutto sommato marxista, di non credere a un’autonomia piena della cultura rispetto alla politica. Cosa che invece era il nostro punto di forza, l’ostinata seppur giocosa certezza di essere liberi dalla schiavitù della politica e questo fu, invero, anche il nostro più grande errore, liberi dunque nel disinteresse del principe.

Ovviamente la mia è solo una lettura parziale, seppur data dalla persona che ebbe la responsabilità della direzione di quel manipolo agguerrito di giovanissimi, parziale rispetto alla pluralità delle visioni di una comunità che si aggregava spesso nel nome dell’amicizia e della reciproca ammirazione e in modo utopico pensava possibile creare la repubblica delle lettere e che si batteva davvero per i poeti legislatori del mondo e per gli artisti facitori del mondo. 

Quando guardo a quegli anni, quando sfoglio gli oltre 300 numeri che contraddistinsero la storia de il Domenicale, fino alla chiusura senza troppi rimpianti, avvenuta sette anni dopo, nel novembre del 2009, un tempo giusto per lasciare un segno ma non troppo lungo per diventare di maniera, penso ai tanti amici, molti in quel tempo ancora più giovani di me e che oggi, pur nella difficoltà di non essere stati dalla parte giusta, sono affermati nei loro settori specifici, il più grande poeta della sua generazione, il più grande scrittore della sua generazione, il raffinato storico, l’acuto filosofo, il più influente giornalista di cultura oggi in azione, il più grande esperto di fantasy, il politologo, il critico d’arte, l’artista, il traduttore, il massmediologo, il cinefilo, l’antichista, il bibliofilo, adesso nel loro pieno delle forze e della capacità di incidere… mi piace pensare che anche loro siano consapevoli con me di quello spazio straordinario, forse irripetibile, che ci fu dato da un raffinato editore e da un lungimirante amministratore delegato, senza i quali non sarebbe esistito nulla, così da poter addestrare i nostri cuori ancor prima che le menti.

Gruppo MAGOG