28 Maggio 2018

Il cristianesimo non rassicura, esiste finché qualcuno dubita, è una sparatoria di vetri

La domenica parlano – con sperabile ispirazione – i preti. Il lunedì, da incosciente, metto il cranio dentro la liturgia domenicale. Screziando, da dis-graziato, i testi. La liturgia la trovate, per comodità, qui. Io uso il Nuovo Testamento interlineare, bisciando tra italiano, greco e latino. Pigliate questi come appunti sul margine sfinito, come punti d’appoggio – o di rovina – sulla roccia.

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Il gioco delle differenze. Nel Primo Testamento Dio parla “dal fuoco” (Dt 4, 32) e parla a “un popolo”, a “una nazione in mezzo a un’altra” (Dt 4, 33), in un dato istante della Storia (“Osserva dunque le sue leggi… che oggi ti do”, Dt 4, 40). Nel Nuovo Testamento, Gesù si presenta come l’acqua che disseta per l’eternità (“chi beve dell’acqua che gli darò io, non avrà mai più sete”, Gv 4, 14), si rivolge, attraverso “gli undici” a “tutte le nazioni” (Mt 28, 19), trascende la Storia (“io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”, frase di potente amore, di perlustrante pervasione con cui Matteo sigilla il suo Vangelo). Dio è morto in Gesù e lo Spirito (“Quanti sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio”, Rm 8, 14) lega i cristiani, come la bava del ragno, in un solo corpo. Il veleno del ragno, dello Spirito, che ancora ci turba con il suo acido, è la memoria del sofferente, dell’innocente e del fragile inchiodato al legno: la purezza tormenta l’uomo, forza all’ignominia. Se nel Primo Testamento il dubbio è inammissibile, incendiato dalla certezza (“Sappi oggi e conserva nel cuore che il Potente è Dio, su nei cieli, giù nella terra, non c’è altro”, Dt 4, 39), i Vangeli sono trapuntati di dubbi: l’architrave verbale del ‘dubitare’ (dubbio, dubbi, dubitarono, dubitavano) ricorre costantemente nel Nuovo Testamento. “Avendolo visto, lo adorarono – alcuni, però dubitarono” (Mt 28, 17). L’adorazione – tutti i discepoli sono in adorazione, cioè nel luogo dell’amore incondizionato – non squalifica il dubbio. Gesù sembra desiderare il dubbio, questa ennesima stigmatizzazione; vuole essere chiesto, ‘provato’, martoriato. Il cristianesimo non è rassicurante: i cristiani sono “figli, anche eredi, eredi di Dio, coeredi di Cristo”, a patto di “soffrire insieme a lui” e dunque “essere glorificati” (Rm 8, 17). Secondo la canonica convinzione paolina, la sofferenza – inseguire Gesù nel soffrire – è la medaglia della gloria. Resta un punto. Il Primo Testamento parla di “sue leggi e suoi comandi” (Dt 4, 40) da osservare – il fedele è obbediente, non è figlio: i figli hanno dubbi, disorientano la cieca obbedienza – il Nuovo accenna a “osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 20). La Bibbia è un codice di comandi e leggi. Ma. Qual è il comandamento di Gesù? Amare. Dio. E l’uomo. Tutto l’uomo. Con la cura di sfidare il mostro che si chiama “te stesso”. Ed è questo amore allucinante che dilania, insopportabile, come una sparatoria di vetri. (d.b.)

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