08 Novembre 2023

“Questa passione è incandescente: illumina entrambi”. Le poesie di Ibn Arabi

Nato a Murcia nel luglio del 1165, Ibn Arabi è tra i grandi sapienti di ogni tempo. Inoltrarsi nei meandri del suo pensiero e della sua opera, oceanica, richiede più vite di studi: in Italia è tradotto sporadicamente, da editori di pregio, laterali al noto – Mimesis, Se, Luni, le Edizioni Mediterranee – ma troppo poco. La strategia sembra fatale: di alcuni autori è bene sapere a tratti, altrimenti levano le cuciture dagli occhi.

Secondo Henry Corbin, il grande islamista, Ibn Arabi è il vertice della mistica sufi:

“Ora arriviamo in riva a un mare sconfinato, ai piedi di una montagna la cui sommità si perde nelle nuvole: tutte queste metafore sono buone, tanto è gigantesca l’ampiezza dell’opera di Ibn Arabi, uno dei più grandi teosofi visionari di tutti i tempi”.

Più che altro, a noi poveri insipienti, il maestro assoluto (al-Shaykh al-Akbar) insegna la ricerca incessante, la necessità di sondare l’invisibile, l’estro nel perforarci, inabissandoci. Dio si rivela nel nostro fondo, in un roseto di specchi, dopo aver, di noi, purificato tutto, tutto distrutto. Cagliare l’anima: operazione di setaccio che snerva i deboli di cuore. Ibn Arabi impone l’addestramento, la via spirituale come quella primaria. Così scrive Corbin a proposito della ricerca di Ibn Arabi:

“La chiave di volta del sistema, se ci si concede il termine, è, come in tutte le gnosi, il mistero di una pura Essenza inconoscibile, impredicabile, ineffabile. È da questo Abisso insondabile che si desta e si propaga il torrente delle teofanie e che procede la teoria dei Nomi divini… Questo abisso divino racchiude il mistero del ‘Tesoro nascosto’ che aspira a essere conosciuto, e che crea le creature al fine di divenire in esse oggetto della propria conoscenza”.

Una sorta di danza del sapere – e dell’uscire fuori da ogni sapienza – lega Creatore e creatura; il fatto stesso di essere fedeli impone, nella verità, un processo creativo. Nelle sue parvenze terrestri, il Creatore chiede di essere investigato e modellato: l’ascesi tra i suoi Nomi – o tra i suoi attributi – non è esente dal tributo della novità. Nuove parole deve forgiare l’adepto per snidare l’indicibile. Su questi crinali – ‘glossolalia’, ‘lingue degli angeli’ le dice San Paolo – si staglia il bestiario verbale del mistico.

In particolare – Ibn Arabi precorre i simboli dello Stilnovo – la contemplazione della donna è figura della contemplazione di Dio; l’amore il rito supremo. Secondo il canone leggendario, Ibn Arabi fu invischiato negli sguardi di una donna, incontrata alla Mecca: “Neẓām… savia e pia, già piena dell’esperienza della vita spirituale e mistica”. Fu lei a introdurre il mistico nelle leggi della fedeltà d’amore, consegnandogli una nuova ispirazione. Sorgono, così, poesie dalla bellezza sgargiante, che descrivono l’amore – e dunque, la via ascetica – in tutte le sue gradazioni, spesso terribili: delirio e quiete, afflizione e affezione, miraggio e miracolo. In particolare, i testi tradotti in calce all’articolo provengono da: Stations Of Desire: Love Elegies from Ibn Arabi (a cura di Michael Sells, 2000) e da The Mystics of Islam (a cura di Rewnold A. Nicholson, 2003).

Ibn Arabi preferì una vita in viaggio, a sondare il pensiero dei maestri sufi e dei filosofi del suo tempo: fu in Arabia e in Egitto; visitò l’Iraq, l’Anatolia, fu a Gerusalemme e ad Aleppo. Morì a Damasco, nel novembre del 1240. Dialogò, da ragazzo, con il grande filosofo Averroè e da maestro con un giovane Gialal al-Din Rumi. Ovunque, il passaggio del fuoco interiore, la tensione verso ‘l’uomo perfetto’, la vita votata alle verità superne.

Scrivendo della sua ispirazione poetica, Ibn Arabi si esprime in questo modo:

“Il motivo che mi ha portato a proferire poesie è che ho visto in sogno un angelo. Recava un frammento di luce bianca, come strappato dal sole. ‘Che cos’è?’, gli domandai. ‘Questa è la sura Al-Sh’u’ara (I poeti)’, mi ha detto. Allora ho ingoiato la luce e ho sentito qualcosa giungere nel petto, nella gola, poi in bocca. Era un animale con un viso, una lingua, occhi e labbra. Si è allargato finché la testa non ha raggiunto i due poli, d’Oriente e d’Occidente. Poi si è contratto, penetrando nel mio petto. Sapevo che la mia parola avrebbe toccato Oriente e Occidente. Quando sono tornato in me, ho recitato dei versi che non provenivano da alcuna riflessione o gioco d’intelletto. Da allora, questa ispirazione non si è fermata”.

Il detto è notevole. L’ispirazione viene dalla luce e ha forma di bestia. Unisce Oriente e Occidente. Produce un verbo che azzera l’intelletto. La poesia, per lo più, è azzardo, assalto; il poeta, la non pia preda.

***

Di notte hanno scostato le tende

Pace, Salma, e pace
a chi si ristora presso
al-Hilma. È giusto che
ti auguri la felicità.

Perché non ha voluto
ricambiare il saluto?
Ah, è pari all’idolo
di una dea senza adepti.

Se ne sono andati di notte
dopo aver abbassato le tende.
Ho raccontato loro
di un amante strano, perduto,

corrotto dai desideri
inseguito dalla freccia
dell’amore dissennato
che mai sbaglia bersaglio.

Lei ha sorriso, mostrandomi
i canini. Scintillavano: non
saprei dire se sia il lampo o
il suo dente a dividere in due la notte.

Non mi basta, ha detto:
sono nel suo cuore in ogni istante
anche quando non mi vede
non è vero?

**

Per chi ha perduto l’anima

I prati primaverili
sono ormai desolati: eppure
desidero che vivano
per sempre nel nostro cuore.

Queste sono le rovine
queste sono le lacrime
in memoria di chi
ha perduto l’anima.

L’ho chiamato, inseguito,
dall’amore dissennato:
sei così bello
e io non ho più nulla!

Ho lavato il viso nella polvere
smarrito dalla febbre d’amore.
Il privilegio di amarti non dà diritto
a conservare integro il cuore.

Per un uomo annegato nei rimorsi
bruciato vivo
dal dolore
non posso fare nulla.

Ami il fuoco?
Frenati. Questa passione
è incandescente. Toccala:
basterà a illuminare entrambi.

**

Quando il mio Amato appare
con quali occhi lo vedo?

Con i suoi occhi, non con i miei:
nessuno può vederlo se non lui stesso.

**

Mentre l’occhio del sole governa la mia vista
l’amore siede come un sultano sulla mia anima.
Il suo esercito bivacca nel mio cuore –
passione e desiderio, afflizione e dolore.
Quando il suo accampamento ha preso
possesso del mio, ho gridato: fiamme
hanno incenerito le viscere.
L’amore mi ruba il sonno, l’amore mi deruba a me stesso
l’amore mi uccide ingiustamente e io non posso nulla;
l’amore grava su di me più di quanto so sopportare:
per questo, gli lascio in eredità un’anima priva di corpo.

**

Se ciò che dice è vero
lei prova compassione
per il desiderio ossessivo
che provo per lei.

Nel caldo asfissiante di mezzogiorno
nella sua tenda, in segreto,
ci incontreremo per realizzare
la promessa:

passione rivelata
l’uno all’altra: crudo
processo alchemico
i dolori dell’estasi.

**

Oh, la bellezza di quella tenera fanciulla:
il suo splendore accende le lampade
di chi vaga nell’oscurità:

è una perla nascosta nel guscio dei neri capelli

per raggiungere quella perla il Pensiero
si inabissa nelle profondità

chi la guarda la crede una gazzella
che corre sulle dune di sabbia:
ha il collo ben tornito, propaga
bellezza ogni suo gesto.

**

Il mio cuore prende tutte le forme:

per le gazzelle è un’ampia prateria
per i monaci è un chiostro.

È un tempio per gli idoli
un rifugio per i pellegrini
in cammino verso la Mecca.

È le tavole della Torah
è le pagine del Corano.

L’amore è la mia sola fede.

Qualunque sia la via che prende
la setta degli Amanti, quella
è la mia via, la mia sola religione.

Ibn Arabi

Gruppo MAGOG