23 Dicembre 2022

“Attraverso i sette cieli in un salto”. La poesia mistica di Ibn al-Farid

Anche la poesia più facile, delle piccole cose, cela il riscatto, l’anomalia, l’ombra e una moltitudine di finestre. La poesia sfocia sempre ‘dall’altra parte’, è sempre conoscitiva. Se di una cosa non dice l’essenza, la poesia ne redige, perlomeno, il riguardo, l’attenzione, la sfasatura, la nudità nascosta, il diniego, la voliera con le poiane del deserto.

Non credo esista pratica più sana che sprofondare nella poesia: anche se pare pura suggestione – anomalia di sfasamenti, di sfasati – cosa cambia? Forse c’è una corrispondenza tra l’alfabeto e la pratica astronomica. Forse è sbagliato parlare di poesia sufi e di poeti sufi: i sapienti maneggiano la parola per scandagliare gli enigmi di Dio, non per fare letteratura; la devozione tuttavia non occlude il verbo, non si disfa in obbedienza alla grammatica, ma in supremo superamento del vocabolario. Anche l’aggettivo mistico sembra improprio: i poeti ‘mistici’ masticano il verbo, la poesia è la corolla di denti con cui mordono il cielo. La loro poesia non diletta, non confonde, ma è abbracciata come una pratica.

Tra i maestri sufi, tra i mistici arabi e persiani, alcuni sono poeti molto noti: Gialal al-Din Rumi, Hafez, Farid al-Din ’Attar, al-Ghazali, ad esempio. Tra questi, il meno noto è uno dei più eminenti, Ibn al-Farid (1181-1234). Nato al Cairo da una famiglia di giudici esperti nel dirimere questioni di eredità, Ibn al-Farid comincia la cerca, la cacciagione di Dio, fin da ragazzo, ritirandosi in un’oasi alla periferia del Cairo. La sua ricerca personale e gli studi presso la scuola shafi’ita, però, non lo soddisfano. Secondo l’agiografo, fu un fruttivendolo, durante le rituali abluzioni musulmane, a indicargli la via della Mecca, dove il cercatore si dirige e rimane, in reclusione, per quindici anni. Tornato in Egitto, viene accolto come un illuminato: Ibn al-Farid, tuttavia, predilige la via della solitudine, l’insegnamento itinerante, una sorta di latitanza. Non accetta di vivere sotto la protezione del sultano, disdegna l’enfasi dei mecenati.

Ibn al-Farid era noto per le sue estasi, ricorrenti e clamorose. Durante una di queste, il poeta urla, danza e si denuda nel mercato pubblico: in molti lo imitano, fino ad accompagnarlo, ballando, nudi, alla moschea. Spesso le estasi – secondo la testimonianza del figlio – duravano diversi giorni, ammantando il viso del poeta di particolare lucentezza. Spesso raccontava le sue visioni: in una di queste “un grande uccello verde” divora il suo corpo e quello dell’antico maestro, il fruttivendolo; in un’altra, un leone si inginocchia al suo cospetto, chiedendo di essere cavalcato. La poesia di Ibn al-Farid, che narra, in una lingua a tratti cifrata, il percorso iniziatico, lo scoscendimento nell’ascesi, è ritenuta sacra, “una delle vette della poesia mistica musulmana”, ha scritto Antonio Belli: “Il suo stile è scelto e fiorito, elaborate le sue immagini. Le sue poesie d’amore sono in realtà allegorie dell’unione mistica dell’anima con Dio”.

Che l’opera di Ibn al-Farid non sia pubblicata con agio in Italia è un paradosso che stride con la tradizionale qualità dei nostri studi in islamistica. Fino a qualche decennio fa le poesie di Ibn al-Farid sono state studiate da Carlo Alfonso Nallino e Michelangelo Guidi e tradotte da Ignazio Di Matteo. The Diwan of Ibn al-Farid è stato tradotto e commentato nel 2004 dal sacerdote comboniano Giuseppe Scattolin: andrebbe pubblicato in Italia.

Qui si propone una scelta occasionale dal canzoniere di al-Farid, parziale, un breve gioco, un oblò sulle magioni del dio velato.

***

Rispetto alla mia alba
la luce del lungo giorno è un lampo;
a confronto con la mia sete
il vasto oceano è una goccia.

Il mio io integrale
sfida e cerca il tutto
una parte di me, con briglia e redini
doma l’altra parte.

Ciò che è in alto è in basso –
il basso è il superno –
ogni direzione è sottoposta
al volto di chi la guida.

Così: la terra infera è l’etere supremo
ciò che ho separato si è chiuso
benché abbia spezzato il nodo:
questa via è ovvietà.

Non crederlo ambiguo –
l’unione è fonte di certezza
non c’è alcun luogo
perché lo spazio è separazione.

La cifra non può enumerare
i tagli sul bordo della lama;
il tempo è idolatria
di burocrati e statisti;

Non c’è uguale in questo mondo o nell’altro
chi decreta di razziare ciò che ho innalzato
chi comanda di emendare
i decreti che ho emanato.

Non esiste rivale in alcun luogo
grazie all’armonia
non scorgi disparità
nella creazione dell’uomo.

*

Lontano da lei
cioè da me – per non tornare mai più;
uno come me non può
decidere il ritorno.

Qualcuno mi ha fatto sparire
nel punto dove l’anima si è staccata;
nessun attributo potrebbe
ricondurmi alla presenza.

Testimonio sotto ricatto
la mia assenza: lei apparve
l’ho trovata nella camera
nuziale della mia reclusione.

Ho abbracciato la mia
testimonianza: cancello
ogni verifica, sobrio
dopo l’ubriachezza.

Sobrio, annientato
non sono che lei
la mia essenza adorna l’essenza
non appena lei rimuove il velo.

*

Della sua luce
è illuminata la nicchia della mia essenza
tramite la mia luce
le notti risplendono all’alba.

Testimonio la mia essenza
perché sono con lui;
ho verificato che è
la luce, il mio splendore.

La valle è diventata santa
mi sono spogliato della veste di gloria –
mi sono tolto i sandali
per rispondere alla chiamata.

Ho abbracciato le luci
fino a diventarne la guida;
anima mirabile
vigilata dalle fiamme!

Ho stabilito i miei molti Sinai
per pregare a me stesso
ogni scopo è realizzato
finché l’essere mi parla.

La mia luna piena non vaga
il mio sole non tramonta
le stelle brillano
secondo la mia guida.

*

Svelandosi rivela
il suo essere ai miei occhi
per questo in tutto ciò che vedo
non percepisco che lei.

La mia gloria è la sua
perché entrambi siamo chiamati
la sua forma è la mia
perché siamo uno.

Se la chiamano
sono io a rispondere
se mi chiamano, è lei a rispondere
e obbedisce all’uno che mi reclama.

Se parla
io sussurro
quando racconto una favola
è lei a raccontarla.

Lo stigma della seconda forma
è diventato il primo tra noi
il mio rango si eleva su chi
si avvinghia ancora alla differenza.

*

Ansimando, ascolto, chiuso,
la visione dell’uno
e getto via tutto, all’istante,
sorretto da mano onnipotente.

La sapienza degli studiosi
riassumo in un verbo,
i mondi si rivelano
in un solo sguardo.

Le mille voci
di chi prega in ogni lingua
ascolto nel rapace
nitore di un lampo.

Davanti a me
ciò che è stato
insopportabile, passa
in un batter d’occhio.

Inspiro il sapore dei giardini
i dolci profumi che si annodano
alle gonne, sparsi
dai quattro venti.

Gli orizzonti lontani sono
riassunti in un pensiero;
attraverso i sette cieli
con un singolo salto.

Ibn al-Farid

Gruppo MAGOG