Intervistando i grandi poeti anglofoni, una percezione potente. La Storia sta serrando le mascelle. Se ne sente lo schiocco, da Sydney a New York, da Toronto a Los Angeles. E la poesia resta come una torcia tra i denti oblunghi della Storia. A illuminare i perduti, a dare una scorta di parole ai perdenti. Eleanor Wilner (1937; photo di copertina di Jacques-Jean Tiziou) è tra i grandi poeti statunitensi del tempo presente, ricca di riconoscimenti (il MacArthur Fellowship e il National Endowment for the Arts, ad esempio), stesso carisma di Charles Wright, per capirci. Già editore di The American Poetry Review, autrice di sette libri di poesia (gli ultimi: Reversing the Spell; The Girl with Bees in Her Hair; Tourist in Hell), la Wilner mescola la spregiudicatezza lirica americana con una profonda conoscenza della mitologia classica. Eleanor attraversa diverse tradizioni (decisivo, ad esempio, il rapporto con l’opera di Osip Mandel’stam) per dare forza inedita ai suoi versi. Già tradotta in Italia (due anni fa con il volume Tutto ricomincia; è installata nell’antologia Nuovi nuovissimi mondi, curata da Maria Cristina Biggio per Raffaelli) e costantemente insediata nelle antologie più rappresentative della poesia americana, la Wilner è, a suo modo – sguardo cosmico, raffinatezza etica – un poeta ‘civile’, dal salutare impeto ‘morale’. “Oggi uno dei ruoli della poesia, in un periodo di riverbero della voce dei mass media e di crude caricature, è preservare uno spazio (piuttosto che un mercato) per la voce del singolo, un linguaggio per la sfaccettata complessità dell’essere umano e un filo concreto per connettersi umanamente”, ci ha detto. Nell’era della tracotanza, si dirà (la Wilner ha parole critiche verso la Presidenza Trump), la poesia, la cui natura è l’ambra e il cristallo, spalanca altri mondi possibili. Si pone, tra gli abissi, come una stele d’oro. “Chiamare le cose col giusto nome”. Ecco, infine, ci dice la grande poetessa, la necessità della poesia. Mettere ordine tra le cose. Preparare lo spazio alla salvezza. Oggi leggere i poeti, sprofondare nelle loro parole, è una urgenza sanitaria.
Mi dica che cos’è la poesia?
Negli ultimi mille anni poeti e studiosi hanno discusso su questa domanda senza trovare alcun accordo. Evidentemente ciò suggerisce che la natura della poesia si sottrae dall’essere definita dal momento che siamo noi che scriviamo poesia. Shelley, poeta inglese del Romanticismo, disse la famosa frase “i poeti sono i legislatori misconosciuti del mondo”. Non credo sia così. Credo che i poeti siano i traduttori del mondo misconosciuto e quel mondo alternativo è quello che rispecchia e illumina quello conosciuto, ed è sia un custode della memoria collettiva sia, in modo malleabile, un agente di cambiamento.
Perchè sente l’esigenza di scrivere poesia?
Scrivo poesie perchè mi viene chiesto di scriverle e perché è l’unico modo con cui posso vedere ciò che non può essere visto in altro modo; ha la funzione di guida interiore. E anche perché, quando ci si perde nella scrittura, si prova un profondo piacere sia nella scoperta che nella temporanea perdita dell’io noioso.
Che valore ha la politica, l’etica nella sua poesia? La poesia è un mezzo per capire il mondo? Qual è la sua visione del mondo?
Credo che la poesia sia il nesso tra il singolo e la società. Nessuno ha una vita o una coscienza immaginativa separata da un contesto più ampio. L’epoca in cui viviamo vive in noi, come il passato: nel nostro DNA, nella nostra lingua, nella storia, nella memoria individuale e collettiva. Perciò politica ed etica sono intrinseche all’immaginazione poetica che rivela e valuta ciò che accade. Penso che la poesia sia un mezzo per vedere il mondo, quindi la mia visione, qualunque essa sia, si può trovare nella mia poesia e non può essere scardinata da quest’ultima in termini più astratti. Solo la metafora può esprimere la complessità che incarna. Dato che ogni visione è parziale e limitata e che il mondo è in costante movimento e cambiamento quella visone è, per natura, in costante evoluzione, aperta e provvisoria.
So che ha tradotto Euripide. Che influenza hanno i classici sul suo lavoro? Quali autori la ispirano, se ce ne sono?
Posso dire che considero la mitologia classica della tradizione greco-romana una ricca fonte di memoria della cultura occidentale, dalla quale cresce la mia poesia. Secondo me la mitologia ha spesso offerto un modo per approcciare la storia della nostra epoca, un modo per creare prospettive, per ampliare il nostro senso dell’individuo fondendolo con le figure extraindividuali del nostro patrimonio occidentale, classico, biblico e letterario, che condividiamo. E, nell’usare il passato come uno specchio lontano dalla nostra situazione, trovo che queste figure (Medusa, il Minotauro, Penelope, ecc.), ripresentandosi nel presente, arrivino a cambiare le antiche leggende in modo da renderle più flessibili, più rilevanti nella nostra situazione attuale. Perciò possiamo prendere in prestito il potere di queste figure, insieme alle forme che ci hanno accompagnato attraverso i secoli, e usarlo per cambiare quegli atteggiamenti legati ai primi passi della storia, usando così il passato ancestrale per garantire un futuro più libero. Riguardo alle influenze, ce ne sono di antiche e di moderne, sono molteplici. Come tutti gli scrittori contemporanei sono in debito con molte culture e letterature. Ho vissuto in Europa e in Asia e ho viaggiato molto. Leggevo letteratura europea prima di conoscere completamente quella americana. Sono stata condizionata anche dalla mia opinione riguardo al Grande Silenzio, l’assenza di molte donne e il loro prevalente anonimato nella letteratura del nostro passato, quel silenzio per me è una fonte: la voce ignota delle donne del passato che emerge da quel silenzio, spinte dalla forza di una prolungata repressione in gran parte dimenticata, taciuta.
Qual è il suo rapporto con gli altri poeti americani (o scrittori)? Che valore ha la solitudine nel suo lavoro?
Scrivo poesia e insegno letteratura da oltre cinquant’anni perciò la mia vita e il mio lavoro si sono profondamente intrecciati e si sono arricchiti grazie a molte generazioni di poeti e scrittori. Credo che la mia musa sia l’amicizia, dato che sono tutti questi incastri di vite e immaginazioni che fungono da ininterrotta ispirazione per la mia scrittura, insieme al mio sdegno per la guerra e le atrocità e per le bugie bigotte che le giustificano. Il mio lungo percorso di vita mi ha messo in contatto con molte generazioni di scrittori quali colleghi, studenti e amici e quando è la poesia ciò che condividi devi saltare i convenevoli e arrivare al punto. Certo, si scrive in solitudine; quello spazio tranquillo è essenziale eppure in qualche modo, quando entro in quello stato che invita all’immaginazione poetica, questo si apre su uno scenario densamente e significativamente popolato; sembra che più si scende nella propria vita interiore, tramite la natura, il linguaggio e le storie che condividiamo, e più si trovano le sfumature dell’essere umano.
Che ruolo ha attualmente la poesia negli Stati Uniti? Che ruolo ha il poeta nella società civile? In che modo è cambiata l’America da quando Donald Trump è stato eletto Presidente?
È difficile generalizzare riguardo un paese come l’America, eterogeneo dal punto di vista etnico, geografico e territoriale e su una poesia che si accorda con questa diversità. Ecco alcuni pensieri per scalfire la superficie di una realtà complicata e sfuggente. Oggigiorno uno dei ruoli della poesia, in un periodo di riverbero della voce dei mass media e di crude caricature, è preservare uno spazio (piuttosto che un mercato) per la voce del singolo, un linguaggio per la sfaccettata complessità dell’essere umano e un filo concreto per connettersi umanamente. La poesia opera contro una cultura pop che rimpiazza il pensiero con l’intrattenimento, che alimenta fantasia e falsità e fornisce importanti spunti di riflessione per contrastare i media, superficiali e manipolatori sia nel commercio che nella politica. La poesia tenta di risvegliare i sentimenti, di dare importanza alla vita davanti al torpore dell’essere esposti a una continua raffica di violenza esplicita che ci desensibilizza: videogiochi, blockbuster, servizi su sparatorie nel proprio paese e su guerre estere. Ho sempre pensato che l’immaginazione morale dia al poeta un ruolo nella società civile, un pensiero visto con diffidenza nella nostra poesia tradizionale del passato, ma un nuovo e recente senso di vulnerabilità storica ha portato alla poesia americana la consapevolezza di quanto l’individuo sia ingarbugliato in forze di più ampio respiro politico e sociale. La storia è diventata personale, come è sempre stata per i poeti di Baghdad ad esempio, o per i poeti di colore in America.
Quando le persone sono privilegiate e non si sentono minacciate dalla storia si permettono il lusso di ignorarla e addirittura di pensare, a torto, che non avrà nessun effetto su di loro; né pensano al coinvolgimento di chi paga per i loro privilegi. Ma oggi la nostra poesia popolare non è più “confessionale” né ha la mentalità chiusa che, tranne per eccezioni eclatanti, aveva una volta. Essa è sempre stata eclettica, esplorativa e ha abbracciato molte scuole e stili ma non è mai stata così aperta e socialmente impegnata, così etnicamente diversa e rappresentativa di una popolazione eterogenea come adesso: una resistenza che sboccia a dispetto del clima tossico del momento. Dall’attacco dell’11 settembre e dal crescendo di violenza derivato dalla piaga delle stragi abbiamo assistito alla crescita di una poesia americana socialmente impegnata, un cambiamento che si è propagato vista l’elezione sconcertante di un uomo totalmente inadatto a ricoprire la massima carica dello Stato e che è sia una disgrazia che un disastro: incarna palesemente il peggio che c’è in noi e lo ha reso visibile a tutti. È ridicolo, eppure la sua presenza ha rovinato la massima carica, ha avvelenato la vita pubblica e il dialogo, ha contribuito a promuovere violenza e crimini generati dall’odio e ha messo in pericolo sia i nostri diritti di cittadini sia i nostri rapporti con i paesi alleati e il resto del mondo. Credo che la maggior parte di noi stia un po’ impazzendo a causa dell’attuale senso di pericolo morale e fisico e la poesia è diventata uno dei modi con cui cerchiamo di mantenere un equlibrio mentale e di chiamare le cose col giusto nome.
Le interessa la letteratura italiana? Ha contatti con poeti italiani contemporanei? Che idea ha dell’Italia?
Sono sollevata nel passare a queste domande. Come posso descrivere in poche parole il lungo e tenero rapporto che ho con l’Italia, un paese che ho visitato spesso e con il quale sento una profonda connessione? Con una risposta breve posso solo scalfire la superficie: amo il modo in cui il mondo del passato esiste parallelamente a un presente pieno di vita. Amo il vostro paesaggio antropico, con campagne coltivate e cittadine storiche in collina, la cultura geniale e soprattutto il calore, la generosità e l’ospitalità degli amici che avevo qui, che hanno rappresentato per lo più la mia esperienza diretta con gli italiani e che sono anche estremamente gentili quando commetto qualche errore buffo nel tentativo di parlare italiano. Ammiro anche lo spirito meravigliosamente anarchico che avete e che penso sia un dono, un inno alla vita e al sapersela godere. La mia conoscenza della poesia italiana contemporanea, dopo Eugenio Montale, è tristemente insufficiente perchè nonostante io ami il potere musicale ed espressivo della lingua italiana il mio italiano è elementare perciò dipendo dalle traduzioni. Per questo motivo ho letto principalmente narrativa moderna, per me più accessibile. La mia scrittrice italiana preferita è Elsa Morante, soprattuto il suo romanzo La Storia, che è stato per me la prima opera importante a parlare interamente di coloro che non fanno la storia ma la subiscono. Il libro, ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale in Italia, è stato senza dubbio una rivelazione e un’ispirazione. Mi vergogno della mia incapacità di tradurre poeti italiani eppure ho avuto la fortuna e l’onore di poter contare sui miei traduttori in Italia: Eleonora Chiavetta, che è anche una cara amica da molti anni, alla quale ho spesso fatto visita a Palermo e che ha pubblicato una collezione bilingue delle mie poesie legate alla mitologia: Voci dal Labirinto; le signore del Laboratorio di traduzione di poesia di Roma: Maria Adelaide Basile, Fiorenza Mormile, Ann Maria Rava, Anna Maria Robustelli, Paola Splendore e Jane Wilkinson che hanno pubblicato un’edizione bilingue intitolata Tutto ricomincia, edita da Fiorenza; e Maria Cristina Biggio le cui traduzioni delle mie poesie compaiono nella sua antologia: Nuovi Nuovissimi Mondi: Antologia di Poesia Americana Canadese (Raffaelli).
(trad. it. di Edera Anna De Santi)
*
In tempo di guerra
Mosche, catturate nella saliva dei vivi
alberi, un giorno saranno
preziosi, rivestite nell’ambra – proprio così
il passato appare al presente, come
una gemma in perfetta conservazione,
l’oro indurito di ieri, una reliquia
attraverso cui scintilla il sole di oggi.
Ma quelli che sono catturati nell’appiccicosa
saliva del tempo attuale, probabili insetti
contro di loro, che lottano nella melma,
affogano lentamente nella massa,
innumerevoli, anonimi morti…
finché l’atrocità diventa
mondana, i sensi insensibili
dalla liturgia della pura ripetizione…
lasciateci, allora, guardare questo piccolo
volo disperato, bloccato dai piedi,
e poi, nelle sue battaglie, impigliato
interamente in un globo di saliva, le sue ali
pesanti come un angelo di ottone, finché non è
ancora alla fine, un punto scuro
nella bolla di linfa
che stilla dall’albero abbattuto
nella foresta marchiata per il mulino.
Quanti millenni passeranno
prima che la lacrima d’ambra, questo pendaglio,
portando il suo carico di perduti
adornerà la vanità di un’altra
creatura, la mosca il fossile di una specie
non più presente sulla Terra,
la Terra stessa una macchia nel cosmo dove
le galassie sono cardate come il cotone su un pettine
e tirate fuori a distanza
dove viene fabbricato un nuovo tessuto
e brilla nella luce
di innumerevoli, ardenti soli.
*
Mezzogiorno a Los Alamos
Per voltare una pietra
con il suo bianco che si contorce
di sotto, per forzare il disco
dell’eclisse – al culmine
si arrotola nell’occhio cieco: a questa malvagia
necessità veniamo
dal tempo oscuro dei dinosauri
che strisciavano come lava che bolle
sulla crosta scoperchiata della terra, e oscillano
le loro minuscole teste sopra immense tonnellate
di carne, cervelli non più grandi di un pugno
chiuso per resistere allo squarcio bianco
nel cielo il giorno in cui i bagliori del sole
battevano sul reliquiario del museo,
tornarono i ghiacciai, bruciò il Sinai
prati neri – felci appassite, cellule
disgiunte, ricombinate e follemente
moltiplicate, alberi enormi crollati a terra,
la vita cauta ha abbandonato la speranza,
un bruco si è irrigidito nell’erba.
Due scimmie, beccate mentre copulano,
fanno un bambino mutante
che si sveglia alla luce del sole chiedendo, sua madre
strappato dalla nuova enorme testa
che ha forzato lo stretto canale del parto.
Come se costretti alla ripetizione
e per dissotterrare ancora
fuoco bianco nel cuore della materia – fuoco
cerchiamo e fuoco parliamo,
i nostri pensieri, benché eleganti, sono fuoco
dal primo all’ultimo – come sentinelle appostate per vigilare
ad Argo sul segnale di fuoco
che passa da roccia a roccia da Troia
a Nagasaki, eco trionfante del rogo
mura della città e prologo al massacro
ancora veniamo – scandito il cielo
per quel bagliore luminoso,
i nostri occhi diventano bianchi per guardare
il segnale di fuoco che termina
l’epico – una linea maledetta
con la cesura, la pausa,
per il segnale di pace, o la prova
per il silenzio.
Eleanor Wilner
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Q. What do you think is poetry?
A. For the last thousand years, poets and scholars have been arguing about that question, with no agreement in sight. Clearly this suggests that poetry’s nature is one that resists definition, as do we who write it. The Romantic British poet Shelley famously declared that “poets are the unacknowledged legislators of the world.” I don’t think so. But what I do think is that poets are the translators of the unacknowledged world, and that alternate world is one that reflects on and illuminates this one, and is both a keeper of communal memory and, adaptively, an agent of change.
Q. Why do you feel the need to write poetry?
A. I write poems because they are given to me to write, and because it is the only way I can see what can’t be seen another way, and serves as an inner guide. And, because, when one is lost in the writing, there is deep pleasure in both discovery and the temporary loss of the tiresome self.
Q. What is the value of politics, of ethics in your poetry? Is poetry a vehicle for a world view? What is your vision of the world?
A. Poetry, I believe, is the nexus of the singular and the choral, and no one has a life or an imaginative consciousness that is separate from a larger one: the times we live in live in us, as does the past—in our DNA, our language, history, personal and collective memory. So politics and ethics are intrinsic to the poetic imagination, which reveals and evaluates what is going on.
I do think poetry is a vehicle for a world view, and therefore whatever vision of the world I have would be found in the poetry, and is not extractable from it in more abstract terms. Only metaphor can express the complexity it embodies. Since all vision is partial and limited, and the world is in constant motion and flux, that vision is, by the nature of matter, constantly evolving, open and provisional.
Q. I’ve seen you translated Euripides. What influence do classics have in your work? Which authors influence you today, if any?
A. I can say that I consider the Classical mythology of the Greco-Roman tradition to be a deep source of Western cultural memory, out of which my own poetry grows. For me, mythology has often provided a way of approaching the history of our own time, a way of creating perspective, of enlarging our sense of the personal by merging it with the transpersonal figures of our Western heritage—Classical and Biblical and literary––that we share.
And, while using the past as a distant mirror on our own situation, I find these figures (Medusa, the Minotaur, Penelope, etc.), when they return come to change the old stories in ways that make them more adaptive, more relevant to our current situation. So we can borrow the power of those figures and forms that have accompanied us through the centuries, and use it to change the attitudes bound to earlier stages of history—and so to use the ancestral past to leave the future more open.
As to influences, they are ancient and modern and multiple–and I am indebted, as are all contemporary writers, to many cultures and literatures. I’ve lived in Europe and in Asia, and have traveled widely; I read European literature before I knew much that was strictly American. I’ve also been influenced by what I think of as The Great Silence, the absence of most women and the anonymous majority from the literature of our past, and that silence is a source for me—the unrecorded voices of past women that rise out of that silence, propelled by the force of long suppression, so much left out, unsaid.
Q. What is your relationship with other US poets (or writers)? What is the value of solitude in your work?
A. I have been writing and teaching poetry and literature for over 50 years, so my life and work have been deeply entangled with and enriched by several generations of poets and writers. I think my muse is friendship—for it is all these interlocking lives and imaginations that are the ongoing inspiration of my writing life, along with my outrage at war and atrocity, and the pious lies that justify it. The long trajectory of my life has put in me in touch with several generations of writers as colleagues, students and friends, and when poetry is what you share, you get to skip the small talk and cut to the chase.
Of course, one writes in solitude; that quiet space is essential, yet somehow, as I enter that state which invites poetic imagination, it opens to a densely and significantly populated landscape; it seems the deeper you go into your own inner life, by way of nature and the language and stories we share, the more you find everybody.
Q. What role has poetry today in the United States? What role does the poet have in civil society? How has America been changed since Donald Trump was President?
A. I put together these three questions because they seem interconnected. It is hard to generalize about a country as diverse–ethnically, geographically and regionally–as America, and a poetry that matches that diversity. A few thoughts to scratch the surface of a complicated and slippery reality.
One role of poetry today is that, in a time of mass media’s amplified noise and crude caricatures, it preserves a space (rather than a market) for the living, singular voice, a language for the nuanced complexity of being, and a deep channel of humane connection. Poetry works against a pop culture that replaces thought with entertainment, that feeds fantasy and falsity; it provides deep reflection to counter the shallow, commercially and politically manipulative media; it attempts to awaken feelings, to make life matter against the numbing of a constant blizzard of desensitizing exposure to graphic violence through video games, blockbuster film, and media’s daily reports of mass shootings at home and wars abroad.
I have always thought that moral imagination gives the poet a role in civil society, a view which was distrusted in our mainstream poetry in the past, but a new and recent sense of historical vulnerability has brought to American poetry an acute awareness of how enmeshed the individual is in larger political and social forces. History has become personal, as it always has been to the poets like those of, say, Baghdad, or poets of color in America.
When people are privileged and don’t feel threatened by history, they have the luxury of ignoring it, even thinking, falsely, that it has no deep effect on them, nor they a complicity in who pays for their privilege. But our mainstream poetry today is no longer as “confessional” or as insular as, with notable exceptions, it once was. It has always been eclectic, exploratory, and embraced many schools and styles, but never has it been so open and socially engaged and ethnically diverse and representative of our mixed population as it is now–a flowering of resistance to the toxic climate of the moment.
We have, since the attack of 9/11, and the home-grown violence of the plague of mass shootings, seen this growth of an American poetry of social engagement–a change that has been deepened by the bewildering election of a man totally unfit for high office who is both a disgrace and a disaster; he transparently embodies all that is worst in us, and has put it on public display. He is ludicrous, yet his presence has degraded high office, poisoned public life and discourse, helped encourage hate crimes and violence, and endangers both our rights as citizens and our relations with our allies and the rest of the world. I think the majority of us are being driven a little mad by our current sense of moral and physical peril, and poetry has become one of the ways we attempt to keep ourselves sane, and to call things by the right name
Q. Are you interested in Italian literature? Do you have relationships with living Italian poets? What idea do you have of Italy?
A. I turn to these questions with relief. But how can I say in a few words the long and loving relationship I have with Italy—a country I have often visited, and feel a deep connection with. In a short answer I can skim the surface: I love how the world of the past exists alongside a vibrant present; I love your humanized landscape, with its cultivated countryside and historic hill towns, the brilliant culture, and most of all, the warmth and generosity and hospitality of the friends I’ve had there—which has been my experience of Italians generally, who are also extremely kind about the laughable mistakes I make in trying to speak the language. I admire, too, the wonderfully anarchic spirit there, and what seems to me a gift for praising life by knowing how to enjoy it.
My knowledge of contemporary Italian poetry, after Montale, is woefully deficient, because, though I love the music and expressive power of the Italian language, my Italian is rudimentary, so I am dependent on translation. For that reason, I have more access to and have read more modern fiction: my favorite Italian writer is Elsa Morante, especially her novel History, which for me was the first major work to speak entirely for those who don’t make history but suffer it. The book, set during WWII in Italy, was a revelation to me, and an influence, I feel sure.
I am ashamed about my inability to translate Italian poets as I have been so lucky and privileged in my translators in Italy: Eleonora Chiavetta who is also a dear friend of many years, whom I have often visited in Palermo and who published a bi-lingual collection of my myth-related poems: Voci Dal Labirinto; the women of Laboratorio di traduzione di poesia in Rome: Maria Adelaide Basile, Fiorenza Mormile, Ann Maria Rava, Anna Maria Robustelli, Paola Splendore e Jane Wilkinson who published a bi-lingual edition Tutto ricomincia,edited by Fiorenza; and Maria Cristina Biggio whose translations of my poems appear in her anthology: Nuovissimi Mondi: Antologia di Poesia Americana Canadese.