17 Ottobre 2018

“I miei libri mi disgustano, e riguardo al Nobel… fuggo le celebrazioni, non sopporto i luoghi ufficiali, ne uscirò sconfitto”: le confessioni di Albert Camus

Le corrispondenze dei grandi scrittori sono più esplicite delle opere. Di certo, ci permettono di entrare nella pelle dello scrittore, valutando se la tensione dell’opera è rispecchiata dal passo della vita, se etica ed estetica sono un unico blocco. La grandezza di uno scrittore, va da sé, non si misura sulla sua ‘partigianeria’, ma va rosolata al fuoco della contraddizione: c’importa, piuttosto, quanto lo scrittore è serio – severo – verso di sé. Molto più banalmente, le corrispondenze sono spesso una via d’accesso più facile e felice all’opera di un artista. Così, i frammenti di queste due lettere, scritte a distanza di dieci anni una dall’altra, consentono una doppia lettura. Da un lato, spiamo le perplessità di un gigante, Albert Camus, che dubita del proprio lavoro – La peste – come è giusto che sia – uno scrittore si applica a tal punto nell’opera fino ad odiarla sentitamente, a non riconoscerla – e che non ha voglia di perder tempo a far relazioni in Svezia, presso i parrucconi del Nobel, parrucchieri dell’inutile, che predilige il silenzio, il tempo, per spaziare l’immaginazione. Dall’altra, i barlumi epistolari ci permettono di scoprire due scrittori, amici di Camus, ora misconosciuti: Louis Guilloux (1899-1980), i cui libri maggiori, Sangue nero e La casa del popolo, erano in catalogo Feltrinelli fino a trent’anni fa; e Roger Martin du Gard (1881-1958), che nel 1937 conquista il Nobel per la letteratura, ma che ormai è editorialmente defunto (edito con intensità da Mondadori, ormai è reperibile soltanto Confessione africana, Adelphi, 1992).

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libro camus12 settembre 1946

La colpa è mia, Louis, le cose non stanno andando bene per me… ho finito La peste. L’idea che mi sono fatto è che sia un libro totalmente mancato, ho peccato di ambizione e questo fallimento è molto doloroso per me. Lo tengo nel cassetto, come una cosa che un po’ mi disgusta…

Vorrei lasciare Parigi, definitivamente, e vivere in campagna, e pensare e lavorare se mi è possibile. Non desidero altro. Ma c’è da portare a casa la bistecca. Tu sai cosa intendo, conosci il mio stato – meglio parlare di altro. Mi piacerebbe vederti. Ma ora è pioggia in eccesso, e io voglio sole e soddisfazione… a te il mio fedele affetto, Albert.

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1 dicembre 1957

Caro Martin, quello che mi dici riguardo al discorso del Nobel mi aiuta e mi terrorizza. Penso che parlerò del ruolo che a mio avviso deve avere lo scrittore. Ho cominciato, ho strappato tutto, ho ricominciato – e penso che butterò via tutto. Non vedo l’ora di tornare al lavoro e al silenzio. Ho il programma di Stoccolma. Per un uomo che è sempre fuggito dai luoghi ufficiali e dai ricevimenti, che indigestione! Michel e Claude [Gallimard] mi accompagnano e mi faranno da medici. Ripartiremo il 15, dopo sei round da cui non credo di poter riemergere vittorioso. Il tuo fedele amico, Albert.

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