Hollywood Babilonia di Kenneth Anger è il libro dello spu*tanamento divistico totale. Un libro esagerato, cinico, gossipparo, ma istruttivo. Lo apri e ti dice che alla Mecca del cinema, fin dagli esordi, girava una polverina della felicità chiamata cocaina, che nel film The Mystery of the Leaping Fish dà perfino il nome al protagonista, Coke Ennyday (coke-any-day, coca ogni giorno); ti dice pure che al regista David W. Griffith piacevano le lolite, ma solo se non illibate. Giri pagina e scopri che se sei un idraulico di 100 chili con un faccione simpatico e ti capita di andare a sgorgare lo scarico del regista Mack Sennett, questo ti scrittura, ti cambia nome in Fatty Arbuckle e ti fa diventare la spalla di Charlie Chaplin e Buster Keaton: da un giorno all’altro sei famoso, ricco, e omicida-stupratore: uccidi una ragazza durante un festino, le spacchi il sesso con un imprecisato e rozzo dildo, scampi la galera ma a recitare non ti chiamano più, e muori a 40 anni alcolizzato e dimenticato. Questo libro rivela che in tempo di Proibizionismo, a Hollywood baldoria con alcool e mig*otte si faceva lo stesso, pagando laute bustarelle a sindaci, guardie e procuratori distrettuali; e che se sei un regista famoso, cioè sei William Desmond Taylor, e vieni ammazzato a casa tua con due colpi calibro 38 al cuore, prima che chiamino ambulanza e polizia, si avvertono le tue amanti di precipitarsi lì, con te cadavere, a riprendersi le lettere d’amore compromettenti, ma non la vasta e ignota collezione di mutandine con nome, cognome e data, che Taylor nascondeva in un armadio, slip di chi e quando con lui se li era sfilati, ritrovati e sequestrati dai poliziotti insieme a una bella serie di foto porno.
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In Hollywood Babilonia leggi che nel 1919 già si compravano le partite di baseball, e che negli anni ’20 se eri una star e ti scoprivano drogato, ti chiudevano in manicomio e lì ti lasciavano morire, come è successo all’attore Wally Reid. Che la bellissima attrice Barbara La Marr non è morta a 26 anni “per una dieta troppo rigorosa”, ma per overdose: era per di più stremata dal fatto di riposare due ore a notte dovendosi giostrare tra sei mariti e dozzine di amanti. Si legge altresì che la casa di Charlie Chaplin aveva 40 stanze ma quella dell’attrice Marion Davis 100, compreso un salone d’oro, un cinema privato, e una piscina di marmo attraversata da un ponte; che una volta John Barrymore vi si presentò a una festa in maschera vestito da barbone e non lo fecero entrare perché sembrava un barbone vero; che la Woman in Paris del film di Chaplin era nella realtà Peggy Hopkins Joyce, una col patrimonio di tre milioni di dollari frutto degli alimenti estorti a cinque ex mariti; che a Chaplin piacevano le ninfette che conosceva nei cosiddetti ‘coperta-party’ di Santa Monica, ragazzine che poi era costretto a sposare poiché incinte, anche se una di queste partorì una figlia non sua, che però un tribunale condannò a mantenere lo stesso; una delle sue spose-bambine, Lilita Grey, passò ai giornali la sua istanza di divorzio, dove lamentava che Chaplin voleva da lei ‘atti impuri’ come la fellatio.
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E poi: il magnate William Randolph Hearst aveva un revolver tempestato di brillanti con cui si divertiva a sparare ai gabbiani, e forse una di queste pallottole è finita in fronte all’amante della sua amante. Rodolfo Valentino sposò due lesbiche, e la seconda senza aver ancora divorziato dalla prima: per questo fu arrestato per bigamia. I film di Eric von Stroheim erano tagliati non solo perché non finivano mai, ma pure perché contenevano scene di vere orge sadomaso, e una dalla durata di 20 ore filate. Una volta Stroheim stese con un pugno il produttore Louis B. Mayer perché lo aveva sentito dire che “tutte le tonne zono skualtrine”, e a Stroheim nessuno “può tire qveste cose telle tonne zenza pakarla kara!”, e forse Mayer stava spettegolando su Clara Bow, un’attrice che leniva la sua solitudine con il membro del suo dottore, alternato a quelli di un’intera squadra di baseball della California University. Ci fu a Hollywood chi scampò dal crollo del 1929 perché teneva ogni dollaro guadagnato cucito dentro federe e materassi, al contrario di chi perse tutto, anche la vita, come l’attrice Marie Prevost, il cui cadavere venne ritrovato mangiucchiato dal suo bassotto. Invece Paul Berl, marito di Jean Harlow, si ammazzò dopo due mesi di matrimonio perché non gli si alzava più e non riusciva a soddisfare la moglie nemmeno con un fallo finto, e tu lo sapevi che la bianca scritta HOLLYWOOD all’inizio era HOLLYWOODLAND, e questa D finale era la preferita dei suicidi per arrampicarvisi e gettarsi nel vuoto? E che Marnau è morto in un incidente stradale, però mi sa che alla guida dell’auto c’era il suo cameriere personale di anni 14, a cui Marnau stava succhiando il sesso?
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Se non ne hai ancora abbastanza, allora sappi che a Hollywood girava uno capace di “sc*parmi a morte, quattro volte di seguito, ce l’ha sempre duro, non so come faccia”, che altri non era che lo scrittore George Kaufman, amante dell’attrice Mary Astor, il cui bollente diario finì sui giornali, e poi bruciato per ordine della magistratura in quanto materiale porno. Meglio poi stare lontani da Francis Farmer, attrice che quando veniva fermata per guida in stato di ebrezza, si qualificava agli agenti di professione pomp*nara, e in tribunale, sentita la condanna, tirò un calamaio in testa al giudice. La sua collega Lupe Velez era un tipino che amava tirarsi su la gonna per farla vedere a tutti e uno dei suoi mariti un giorno s’inca*zò così tanto da tirarle addosso un tavolo imbandito (Lupe Velez morì di overdose, ma non di soli sonniferi: quella sera mangiò pesante, ingoiò le pillole per addormentarsi per sempre, ma l’insieme le fece una reazione inattesa e la mattina la sua cameriera la trovò in bagno, con la testa incastrata nel water, morta affogata nel suo stesso vomito).
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Hollywood Babilonia ti svela che negli anni ’40, se i produttori non pagavano tangenti alla mafia, poteva succedere che per giorni ‘sparissero’ centinaia di comparse, bloccando i film. Che Lucky Luciano, in esilio in Italia, riuscì a far spedire negli Usa tonnellate di marmo di Carrara e… signori, ecco a voi le prime pietre degli scintillanti casinò di Las Vegas! E poi Robert Mitchum si fece due mesi di prigione per marijuana, ma appena scarcerato firmò il suo più ricco ingaggio. E Johnny Stompanato, alias Johnny Valentine, gangster e gigolò morto accoltellato dalla figlia instabile della sua amante Lana Turner (almeno così raccontano) chiamava il suo pene Oscar, dal nome della dorata statuetta: si vantava d’averlo lungo 30 centimetri, come suddetto premio, manco fosse John Holmes.
Barbara Costa
*In copertina: Natacha Rambova e Rodolfo Valentino, 1921; fotografia di James Abbe