02 Novembre 2021

“Ma dove è il pericolo, cresce anche ciò che dà salvezza”. L’Hölderlin di Reitani

Il capolavoro, Luigi Reitani – morto a Berlino, l’ultimo giorno di ottobre – lo ha pubblicato vent’anni fa: il ‘Meridiano’ Mondadori che raccoglie Tutte le liriche di Friedrich Hölderlin. Il lavoro non è agevole per il lettore comune – una soluzione grafica un po’ schizofrenica tenta di dar nota di mutamenti e patimenti delle poesie di Hölderlin, a partire da un assunto di base: “Friedrich Hölderlin non ha mai raccolto in volume le proprie poesie” e “non possedeva un archivio ordinato, con una bella copia delle proprie composizioni”, insomma, dissidio e dissipazione sono il suo stile, la sua forma – e necessario per lo studioso: le oltre seicento pagine del Commento e note rendono quel libro capitale. L’opera nei meandri di Hölderlin, poi, si è compiuta con la curatela, sempre nei ‘Meridiani’ Mondadori, nel 2019, del volume che raccoglie Prose, teatro e lettere di Hölderlin. Accademico a Udine, già direttore dell’Istituto italiano di cultura a Berlino, ha tradotto, tra l’altro, Arthur Schnitzler e Ingeborg Bachmann; per Adelphi ha curato Autobiografia, il libro in cinque romanzi di Thomas Bernhard.

“Nessun altro poeta dell’età moderna sembra esprimere nella stessa misura la tensione verso un linguaggio lirico assoluto, capace di nominare nella fragilità della parola il tutto della vita e della creazione; il dramma di un’esistenza votata alla potenza dell’arte, nella duplicità del suo fulgore e della sua vertigine distruttiva”: così Reitani attacca il suo saggio su Hölderlin, L’“errore” di Dio. Ad aprire il ‘Meridiano’, uno scritto di Andrea Zanzotto racconta i rapporti del poeta Con Hölderlin, una leggenda, vale a dire – sfigurando i paradossi – il più autorevole poeta del Novecento. Non c’è poeta del secolo passato che non sia precipitato nella malia e nell’esempio ambiguo di Hölderlin, in quella sonnambula esasperazione: René Char e Paul Celan, certo, ma anche poeti laterali e fiammeggianti come David Gascoyne, capace, in Hölderlin’s Madness, di traduzioni/travisamenti di audace efficacia:

Non hanno destino i celesti
respirano come un bambino che dorme.
Custodiscono la purezza
della mente in fiore,
gli occhi, benedetti, guardano
nell’esatta pace eterna.

Ma a noi non è dato
il riposo.
L’uomo soffre e cade, preda del caso,
svanisce, ancora, di ora in ora
a ondate, contro le dighe del tempo
gettato avanti e indietro, nell’incertezza.

In qualche modo, Reitani gettava Hölderlin come un’ascia in faccia al secolo anonimo, schiavo della statistica, questo, “l’epoca in cui archivi elettronici dalla potenza iperbolica e frontiere sempre nuove della comunicazione convivono con la rimozione sistematica del dolore e la crisi della parola”. Allora il vagabondaggio del poeta è un monito, l’incomprensione un lascito, la pazzia, la “notte delle psicosi”, un simbolo: “Ha la sua pazzia un valore emblematico, storico, sociale?”. In ogni senso, Hölderlin, il poeta “risucchiato dalla potenza del linguaggio, dai vortici di quell’abisso che intendeva sondare”, è, insieme a quei poeti, rarissimi per ispirata sparizione – Rimbaud, Eily Dickinson, Leopardi –, il miglio ultimo, il confine da sconfinare, “appare alla radice del nostro tempo come una presenza ineludibile”. Ricalchiamo, in memoria di Reitani, parte di Patmos, l’immane poema di Hölderlin dedicato “al langravio di Homburg”, siamo nel 1803, nella sua “prima rielaborazione”.

*

Patmos

Colmo è di bontà. Ma nessuno comprende
Da solo Dio.
Ma dove è il pericolo, cresce
Anche ciò che dà salvezza.
Nelle tenebre dimorano
Le aquile, e senza paura vanno
I figli delle Alpi oltre l’abisso
Su ponti costruiti leggeri.
E dunque, poiché intorno al chiarore si accumulano
Le vette del tempo,
E i più cari dimorano vicini, languendo sulle
Più remote montagne,
Da’, acqua innocente,
Da’ a noi ali, per andare
E ritornare con il senso più fedele.

Ma terribile è in verità come ovunque
Senza fine Dio disperda ciò che vive.
Lasciare il volto
Dei cari amici
E andare oltre i monti
In solitudine, dove due volte
Curato, concorde
Fu lo spirito celeste. Ma tra loro vi fu
Rovina, e il tempio fu gioco del monte Moira
E il colle dell’ira si infranse, allora, quando allontanandosi improvviso
Si volse a guardarli
Il Dio, e implorandolo
Perché si fermasse, come catturato, legato
A corde dorate,
Le mani si tesero nominando il male –

Friedrich Hölderlin

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