11 Aprile 2024

“L’uomo della sabbia” di Hoffmann: viaggio nel regno incantato dell’incertezza

Il “divino Hoffmann”, come lo chiamava Baudelaire, è unanimemente considerato insieme a Horace Walpole e a Edgar Allan Poe uno dei fondatori della narrativa fantastica moderna. Vale a dire quel genere letterario nel quale la trama e i personaggi vanno al di là dei confini del reale e sfociano in situazioni impossibili, almeno secondo i canoni della vita che noi consideriamo normale. Un tipo di narrativa che ruota sempre intorno a un elemento sovrannaturale, perturbante, bizzarro, chiamatelo come volete. Dal punto di vista letterario, la presa d’atto che i fatti e le parole così come li conosciamo non descrivono la realtà ma la deformano. Ben più autorevolmente di me lo ha detto in modo lapidario Eugène Jonesco, un’autorità in materia: «Il realismo non è reale». Gioco, set, partita.

Ernst Theodor Amadeus, meglio noto come E.T.A., Hoffmann nacque a Königsberg nel 1776 e morì Berlino a solo 46 anni. Dunque ebbe una vita breve e la sua stagione creativa fu ancora più breve, tutta racchiusa tra il 1809, anno di pubblicazione del primo racconto, e il 1822 anno della morte. Stiamo parlando di un uomo dotato di un eclettismo quasi rinascimentale dal momento che, oltre che scrittore, fu anche musicista, critico, magistrato e pittore. Forse è proprio in questa multiforme attività che va ricercata l’origine del tema al centro di tutta sua narrativa e che lui chiamava “duplicità dell’essere”, facendo riferimento all’eterno conflitto tra immagini interiori e mondo esteriore. Nella sua visione il tratto distintivo della condizione esistenziale è l’ambivalenza. Da qui il frequente ricorso a personaggi dalla doppia personalità o alla figura del sosia. Claudio Magris ha definito la sua narrativa «uno straordinario scavo psicologico nelle più segrete zone dell’animo umano».

Una costante fonte di ispirazione per Hoffmann sono state le sterminate letture di testi di scienze occulte, di compendi di mistica di ogni genere e di raccolte sulla superstizione popolare. Da lì ha attinto anche per scrivere quello che a parere di molti critici e studiosi è il suo capolavoro, L’uomo della sabbia, racconto pubblicato nel 1815 all’interno della raccolta “Notturni”. Credo proprio abbiano ragione. Anche per questo non mi stanco mai di rileggerlo, restandone ogni volta affascinato. Il titolo fa riferimento a una figura presente nella tradizione popolare nordeuropea, un uomo che getta manciate di sabbia negli occhi dei bambini per farli addormentare serenamente. Quindi in origine ha una valenza positiva, ma in questo caso Hoffmann capovolge la situazione e ne fa un personaggio negativo e inquietante che nel racconto fa presa sulla giovane mente del protagonista e ne segna il destino. 

«L’uomo della sabbia prende i loro occhi, li mette in un sacco e li porta sulla luna in pasto ai suoi figlioletti».

La trama è presto detta. Nathaniel, da bambino, ha il terrore di essere accecato dall’uomo della sabbia, di cui gli parlano sempre la madre e la governante, e finisce per identificarlo nell’avvocato Coppelius, un misterioso uomo che viene spesso a fare visita a suo padre a tarda sera. Quando il genitore muore in circostanze misteriose, il ragazzo ne fa risalire la causa a quell’individuo inquietante. Una volta cresciuto, si convince di riconoscere l’uomo della sabbia nelle vesti di un certo Coppola, un venditore di barometri. A complicare le cose, nello stesso periodo, nonostante sia fidanzato con Clara, si innamora perdutamente della bella Olimpia che in realtà poi si rivela essere solo un automa, vale a dire un fantoccio inanimato in tutto e per tutto simile a una donna in carne e ossa. L’assurdità degli eventi lo fa sprofondare in una spirale di follia che lo porta in manicomio. Quando ne esce sembra guarito, ma all’improvviso scambia la dolce Clara per un automa e tenta di ucciderla. La ragazza viene salvata, ma Nathaniel, ormai in preda al delirio, decide di farla finita e si uccide gettandosi da una torre.

In apparenza L’uomo della sabbia ha una trama conclusa, ma in realtà siamo di fronte a un racconto con un finale aperto. Arrivato al termine della lettura, è inevitabile che il lettore si ponga una serie di domande. La prima è senz’altro che cosa ha portato Nathaniel alla follia? L’inquietante figura dell’uomo della sabbia, a cui risalgono i traumi infantili del protagonista e che riemergono nella sua mente a distanza di anni? Oppure l’affascinante Olimpia, la bambola senza corpo e senza anima capace di conquistare il cuore di Nathaniel? Il fascino di questo racconto è proprio nella sua inesauribile ambiguità che, pagina dopo pagina, ci spinge a incamminarci lungo i sentieri nascosti del nostro inconscio. E poi dai ammettiamolo! Anche a noi è capitato di proiettare i nostri desideri e fantasie su una donna per poi scoprire che l’oggetto della nostra passione era completamente diversa da come ce la eravamo immaginata. Magari non siamo impazziti come Nathaniel, ma qualche domanda ce la siamo posta. Per venire a capo di questo tortuoso percorso mentale forse possiamo provare a farci aiutare da Clara, la fidanzata semplice e con i piedi per terra secondo la quale certi “mostri” esistono solo nella mente di chi ci crede:

«Se esiste un potere oscuro e ostile che immette a tradimento un filo nel nostro cuore col quale poi ci afferra e ci trascina su una via pericolosa e mortale che altrimenti non avremmo battuto… se un potere siffatto esiste, deve prendere dentro di noi la nostra stessa forma, deve anzi diventare il nostro io: soltanto così infatti possiamo crederci e concedergli quello spazio di cui ha bisogno per compiere quell’opera segreta».

Basta quanto detto finora per capire la modernità di Hoffmann, che ha fatto dire a più d’uno che in realtà sarebbe lui il vero scopritore dell’inconscio, cento anni prima di Freud, il quale in parte conferma questa tesi, dal momento che ha preso spunto proprio da Hoffmann e da L’uomo della sabbia in particolare per formulare il suo concetto di “perturbante”. In sintesi, per Freud il perturbante non sarebbe altro che l’insieme delle paure infantili presenti nella nostra psiche tenute nascoste grazie a un processo di rimozione, ma pronte a riaffiorare in presenza di un elemento scatenante. Modernità dicevamo, ma anche attualità di Hoffmann, se è vero che nella sua visione quello che caratterizza l’esistenza umana è la follia e che l’inevitabile destino dell’uomo è una solitudine disperata. Come non dargli ragione!

In definitiva L’uomo della sabbia resta un racconto pieno di inquietanti stranezze che ci porta nel regno incantato dell’incertezza, quel luogo magico dove ricordi e confessioni, fantasie e menzogne, sogni e verità si fondono e si frammentano, si sovrappongono e si separano. Una serie di specchi deformanti e sovrapposti che ci presenta una sequenza infinita di entità parallele, per cui a un certo punto figure familiari possono apparirci come estranee e figure in apparenza estranee possono sembrarci familiari. Trenta pagine al termine delle quali le vostre certezze saranno spazzate via e i vostri dubbi aumenteranno. Che cosa si può chiedere di più alla letteratura!

Silvano Calzini

*In copertina: Odilon Redon, Le Cube, 1880

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