26 Ottobre 2019

Si scrive per trovare un nome anche all’orrore. Sulla poesia di Hilde Domin, una pietra fredda, bellissima

Oggi gridiamo/ oggi chiamiamo./ Una voce/ che dica una parola/ ciò che accade” questa è Hilde Domin. In una libreria di Bari grazie alla cara amica e attenta studiosa Bianca Sorrentino trovo questo libro, Lettera su un altro continente (Del Vecchio Editore, 2014; a cura di Paola Del Zoppo, traduzione di Ondina Granato), o meglio lo trova lei per me. Apro a caso, come faccio sempre coi libri di poesia, e si piantano davanti ai miei occhi questi versi. Hilde Domin è marmo liscio, il suo verso è una pietra lucida e bellissima, fredda e solida. Incontrare i versi della Domin è come entrare in una cattedrale, pietra dopo pietra si costruisce qualcosa di alto e meraviglioso, che contiene la voce ma lo fa nel silenzio e nella solitudine, nella luce verticale.

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La Domin inizia a scrivere nel 1951 alla morte della madre. Questa coincidenza non è un caso, “La poesia era fatta per cambiare la realtà, che era invivibile, e la cambiò” dice la Domin; si scrive per dire in una parola ciò che accade, per sopravvivere alla realtà, ridare un nuovo nome agli eventi, le parole hanno il potere di fare accadere le cose. Ecco perché stare nella poesia di Hilde Domin equivale a sostare in una cattedrale. Il dialogo è ridotto all’osso, la scelta è necessaria, la scelta delle parole è un taglio, una mutilazione ma equivale a una forza sorprendente. Per tagliarsi ci vuole coraggio, il poeta sa che quando toglie una parola da un verso si sta tagliando un pezzo di sé. La sensazione è fisica, il dolore è un mezzo necessario, ma alla fine quel verso così nudo e ridotto a un singolo suono è qualcosa di altissimo, sfiora il sacro, il profetico.

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La poesia della Domin è fatta di scelte precise, di resezioni. Ma anche la sua vita è stata una vita di scelte necessarie: nasce a Colonia nel 1909, prima si trasferisce a Roma, siamo negli anni del nazionalsocialismo, poi nel ’39 deve lasciare l’Italia e raggiunge i genitori in Inghilterra, infine arriva alla Repubblica Dominicana. Hilde nasce come Hilde Löwenstein, cambierà il suo cognome in Domin per rendere grazie a un paese che l’ha accolta, perché anche nel quotidiano, nei documenti, nel modo in cui ora può essere chiamata si renda il dono.

La poesia di Hilde Domin ha un tratto verticale che ti precipita in una vertigine, il verso è scarnificato, è osso bianco, solo quello che è strettamente necessario. Anche lo spazio è necessario: la Domin ci insegna una poesia dell’attesa, del silenzio, dove la pausa e lo spazio bianco sono assenza attiva, possibilità, lasciano il tempo al suono di compiersi, di propagarsi nello spazio.

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Verità e necessità sono i cardini dei testi della Domin, che ci racconta il vero per poterlo ricostruire, per trovare una forma di pace. Si scrive per liberare un mostro e renderlo umano, trovargli un nome, dare un nome anche agli orrori. Il criterio della sintesi è una condizione anche esistenziale: chi è stato costretto all’espatrio sa che ci si porta addosso solo il necessario “Gli oggetti mi vedono arrivare/ scalza/ rendo loro la libertà” (…) “Oggetti/ mi vedete partire.” Insomma con le poesie della Domin camminate dentro una cattedrale, siete scalzi, gli oggetti vi hanno visti partire, potete portarvi addosso solo un nome, solo un verso. In questi luoghi sacri, perché la poesia è un luogo sacro, la parola è qualcosa che pesa come una pietra, costruisce mondi, ma allo stesso se enunciata può volare, diventa pulviscolo, viene restituita alla luce: “Le mie parole sono uccelli/ che mettono radici/ sempre più in basso/ sempre più in alto/ cordone ombelicale./ Il giorno si colora di scuro/ le parole sono andate a dormire.”

Leggete Hilde Domin se volete capire quanto sia dolorosa una scelta, quanto sia difficile e irrinunciabile continuare a vivere, a scrivere fino all’assenza, fino all’esaurimento dei suoni.

Clery Celeste

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INTRICATO

In quale
spazio sottovuoto
si muoverebbero
i cuori
se azionati?

Piume
in un vacuum
corolle di fiori
senza peso
ninfee in volo?

Per inerzia
trascurando
la meta.

In nessun caso
c’è un approdo.

*

IL GRANDE SOFFIO

La parola accanto a me
l’orlo della parola
vicinissima

respirare a fondo
la pelle
tra la parola e me
respirare a lungo
il grande soffio
dove volano le parole

*

NOSTALGIA

La nostalgia
fa scorrere la terra tra le dita
tutte le terra di questa terra
cercano un terreno
per la pianta uomo

*

SALVA NOS

1

Oggi noi gridiamo
oggi noi chiamiamo.
Una voce
che dice una parola
ciò che accade

con l’aria che sale in noi
con nient’altro che il nostro respiro
vocali e consonanti
che compongono una parola
un nome

doma
l’indomabile
lo obbliga
per un battito di cuore
a essere nostro.

2

Questa è la nostra libertà
dire i nomi giusti
senza paura
con voce flebile

chiamare l’un l’altro
con voce flebile
chiamare per nome il mostro
con nient’altro che il nostro fiato

salva nos ex ore leonis
lasciare aperte le fauci
nelle quali viviamo
per nostra scelta.

Hilde Domin

Gruppo MAGOG