22 Giugno 2023

Lo Stato è contro l’uomo: ecco perché non posso non dirmi anarchico. Un saggio di Herbert Read

Nel 1941 Herbert Read pubblica “The Paradox of Anarchism”, un saggio in cui cerca di spiegare perché l’anarchismo, secondo la sua visione, ‘armonica’ – che mescola Pëtr Kropotkin a Friedrich Schiller – è l’unica via per uscire dal giogo, liberticida, della sovranità di Stato. A quell’epoca, Read è riconosciuto tra i grandi, ‘nuovi’ poeti britannici del suo tempo (nel 1933, per la Faber, pubblica “The End of a War”); nel 1935 aveva pubblicato il romanzo anticonformista, filosofico “The Green Child”. Il saggio, che qui si pubblica per la prima volta in Italia, sintetizza l’anarchismo ‘lirico’ di Read e inaugura un’importante stagione da libero pensatore, da arguto provocatore in strenua lotta contro lo Stato.  

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Specialmente tra i marxisti ortodossi, andava di moda disprezzare qualsiasi teoria della politica che non fosse giustificata nell’azione: questa enfasi data all’azione ha portato a confondere mezzi e fini – i mezzi, troppo spesso, hanno adombrato i fini, fino a sostituirli. La dittatura del proletariato, per dire, proposta come mezzo per giungere a una società senza classi, si è istituzionalizzata, in Russia, come la sovranità di una nuova classe.

L’anarchismo non confonde mezzi e fini, teoria e pratica. Come teoria, si basa sulla ragione, e se la concezione della società a cui approda pare utopica, perfino chimerica, non importa, perché ciò che è stabilito dal retto ragionamento non può arrendersi alla mera opportunità, all’opportunismo. La nostra attività pratica può essere graduale, un lento approssimarsi all’ideale, o un’improvvisa realizzazione rivoluzionaria dell’ideale: in ogni caso, non deve essere un compromesso.

Herbert Read (1893-1968)

Anarchismo significa, letteralmente, una società senza arkho, vale a dire senza un governante. Non significa una società senza legge e dunque non significa una società senza ordine. L’anarchico accetta il contratto sociale, ma lo interpreta in modo particolare, che ritiene giustificato dalla ragione. Il contratto sociale, come esposto da Rousseau, implica che ogni individuo della società rinunci alla propria indipendenza per il bene comune, con il presupposto che solo in questo modo può essere garantita la libertà dell’individuo. La libertà è garantita dalla legge e la legge, parafrasando Rousseau, è l’espressione della volontà generale.

Fin qui, siamo su un terreno comune, non solo con Rousseau ma con la tradizione democratica che si è costruita intorno al fondamento teorico posto da Rousseau. Dove l’anarchico si discosta da Rousseau, e da quell’aspetto della tradizione democratica che ha trovato espressione nel socialismo parlamentare, è nel modo in cui la volontà generale dovrebbe essere formulata e applicata. Lo stesso Rousseau, sulla questione, dimostra una certa incoerenza. Era convinto che una qualche forma di Stato dovesse esistere come espressione della volontà generale, e che il potere conferito allo Stato dal consenso pubblico dovesse essere assoluto. Tuttavia, era egualmente convinto che l’individuo doveva conservare la propria libertà e che dal godimento di questa libertà dipendesse ogni progresso. Si rendeva conto che – lo insegna la storia – Stato e individuo sono sempre entrati in conflitto; per risolvere il dilemma, fondò una teoria dell’educazione. Se ogni cittadino potesse essere educato ad apprezzare la bellezza e l’armonia delle leggi di natura, sarebbe incapace di propendere per una tirannia come di sopportarne una. La società, allora, sarebbe una società naturale, una società del libero consenso in cui legge e libertà non sarebbero che due aspetti della medesima realtà. Ma un tale sistema di educazione implica una pre-esistente autorità che lo imponga: cioè, una autorità assoluta.

Il sistema di governo raccomandato da Rousseau nel Contratto sociale è un’aristocrazia elettiva piuttosto che una democrazia: per controllare questa aristocrazia, egli immagina uno stato così piccolo che ogni individuo al suo interno è in grado di vigilare e criticare il governo. Probabilmente, pensava a qualcosa di simile alle città-stato greche; non prevedeva la dimensione dello Stato moderno, vasti complessi abitati da milioni di individui. Eppure, la sua teoria dello Stato ha avuto un’influenza tanto profonda sullo sviluppo del socialismo moderno da essere adottata in enormi conglomerati, giustificando il più assoluto autoritarismo. Un pericolo, per altro, riconosciuto già nel 1815 da Benjamin Constant, che definì Il contratto sociale “il più terribile ausilio a ogni genere di dispotismo”.

L’anarchismo rifiuta la democrazia per due motivi. Intanto, la considera impossibile. Un popolo non può riunirsi continuamente per governare; deve delegare l’autorità per mere questioni di convivenza – ma una volta che abbiamo delegato l’autorità, non è più possibile parlare di democrazia.

La seconda ragione riguarda la sua incoerenza, tipica. Si dice che soltanto un popolo di dèi potrebbe governarsi democraticamente: un governo così perfetto non è adatto agli uomini. Se la democrazia esiste, almeno come ideale, dovremmo però sforzarci di perseguirlo, per quanto in modo approssimativo. La radice di tale sofisma è l’inconsistenza della nozione di volontà generale. C’è soltanto una questione in cui un popolo esprime sempre una volontà unanime, o generale: la difesa della propria libertà fisica. Altrimenti, le volontà si dividono a seconda dei temperamenti privati: per quanto limitati essi siano, sono sufficientemente diversi e così ostinatamente opposti da dare origine, nella stessa area geografica, a gruppi incompatibili. Proprio per questo, ammettono Rousseau e altri pensatori, la democrazia, di fatto, è impossibile.

Arriviamo a questa conclusione finché aderiamo, in modo astratto, ai confini arbitrari degli Stati moderni – confini stabiliti dai fiumi, dai mari, dalle montagne o dai trattati militari, ma non dalla ragione. Supponiamo di ignorare questi confini, di abbatterli. La realtà, dopo tutto, è fatta di esseri umani guidati da certi desideri, da certi bisogni primordiali. Questi esseri umani, assecondando i loro bisogni e le proprie simpatie, si assoceranno spontaneamente in gruppi di mutuo soccorso, organizzando un’economia che assicuri la soddisfazione dei propri bisogni. Il principio del mutuo soccorso, spiegato e giustificato con prove storiche da Kropotkin, è quello che l’anarchico pone a fondamento dell’ordine sociale e sul quale crede di poter costruire quella forma democratica della società che Rousseau riteneva riservata soltanto agli dèi.

Gli errori di ogni pensatore politico, da Aristotele a Rousseau, sono dovuti a una concezione astratta dell’uomo. I loro sistemi presuppongono l’uniformità sostanziale della creatura al loro immaginario filosofico: ciò che propongono, in fondo, sono diverse forme di autorità atte a uniformare gli uomini. Ma l’anarchico riconosce l’unicità indelebile della persona e ammette l’organizzazione solo nella misura in cui la persona cerchi simpatia e mutuo aiuto dai suoi simili. L’anarchico, cioè, sostituisce il contratto sociale con il contratto funzionale: l’autorità del contratto, cioè, è estesa soltanto per l’adempimento di una funzione specifica.

Il politico unitario – o autoritario – concepisce la società come un corpo unico, costretto dall’uniformità. L’anarchico concepisce la società come un equilibrio tra gruppi, un’armonia: la maggior parte di noi appartiene a uno o a diversi di questi gruppi. La sola difficoltà è raggiungere una interrelazione armoniosa. Ma è davvero così difficile? I sistemi attuali di mutuo soccorso, i sindacati, ad esempio, litigano tra loro, ma se analizziamo queste liti scopriamo che esse dipendono da cause che superano la loro specifica funzione (ad esempio, il loro ruolo in una società non funzionale, come quella capitalista) o da rivalità personali, il riflesso della lotta per la sopravvivenza in un mondo dominato dal capitale. Queste differenze di visione, cioè, non hanno alcuna relazione con il principio dell’organizzazione volontaria.

Ammesso che sia possibile trasferire le funzioni economiche dello Stato agli istituti di mutuo soccorso, cosa dire delle altre funzioni: l’amministrazione del diritto, i rapporti con paesi a diversi livelli di sviluppo sociale, l’educazione…?

A questa domanda l’anarchico ha due risposte. In primo luogo, sostiene che la maggior parte di queste attività non funzionali siano incidentali, accessorie a uno Stato non funzionale – il crimine, ad esempio, è in larga parte una reazione all’istituzione della proprietà privata; gli affari esteri sono in larga parte legati a motivazioni economiche. Tuttavia, è pacifico ritenere che alcune questioni – l’educazione infantile, la moralità pubblica, il diritto comune – siano al di là della sfera delle organizzazioni funzionali. Queste, si risolvono facendo appello all’innata buona volontà delle singole comunità. La comunità non deve necessariamente essere qualcosa di impersonale e grandioso come uno Stato: al contrario, la sua efficacia sarà inversamente proporzionale alla sua grandezza. La comunità più efficace è la più piccola: la famiglia. Al di là della famiglia, c’è il borgo, la parrocchia, l’associazione locale di uomini che vivono in abitazioni contigue. Tali associazioni locali possono fondare i propri tribunali, e questi tribunali sono sufficienti per amministrare una legge comune basata sul buon senso.

In questo senso, l’anarchismo implica un decentramento universale dell’autorità e una universale semplificazione della vita. Entità disumane come le metropoli moderne, scompariranno. Tuttavia, l’anarchismo non implica per forza il ritorno all’artigianato e ai servizi igienici all’aperto. Non esiste contraddizione tra anarchismo ed energia elettrica, anarchismo e trasporto aereo, anarchismo e divisione del lavoro, anarchismo e efficienza industriale. Poiché i gruppi funzionali lavoreranno per il mutuo beneficio, e non per il profitto di altri o per mutua distruzione, l’efficienza sarà commisurata alla fame, per rendere una vita piena.

In un saggio di notevole interesse, The Crisis of Civilization, Alfred Cobban dimostra che i disastri abbattutisi sul mondo occidentale sono la diretta conseguenza dell’adozione, da parte della Germania, della teoria della sovranità popolare, o nazionale, in luogo di quella della legge naturale, discussa durante l’Epoca dei Lumi. Il pensiero tedesco, scrive Cobban,

“ha sostituito i diritti storici a quelli naturali, la volontà della nazione, il Volk, alla ragione come base della legge e del governo… Il risultato ultimo della teoria della sovranità popolare fu la sostituzione della storia con l’etica. Questa tendenza, presente nel pensiero contemporaneo di tutti i paesi, ha raggiunto il suo trionfo in Germania. Il segno distintivo del pensiero tedesco moderno è la dissoluzione dell’etica nel Volkgeist; la sua conclusione pratica è che lo Stato è fonte della moralità e l’individuo deve accettarne le leggi e le azioni, in quanto validità etica ultima”.

La conclusione è abbastanza ovvia: “La sovranità, sia che adotti il travestimento democratico, quello nazionalista o socialista, oppure un amalgama di tutti e tre, è la religione politica, oggi”. Finché resterà in atto questa concezione come religione nazionale, risorgeranno di continuo gli strumenti di tale politica: la forza armata e l’aggressione arbitraria.

Fu un grande tedesco, allarmato dalle tendenze allora in atto, come reazione immediata alla Rivoluzione Francese, a mettere in guardia i propri connazionali contro il mostro che stavano creando. Così scriveva Friedrich Schiller:

“In questo modo, la concreta vita individuale si estingue affinché l’astratto insieme possa perpetuare la sua vita miserabile: lo Stato rimane per sempre estraneo ai suoi cittadini, perché non ne tocca la sfera sentimentale. Le autorità di governo sono costrette a classificare, dunque a semplificare, la molteplicità dei cittadini, ne apprendono l’umanità in forma rappresentativa e di seconda mano. Di conseguenza, perdono di vista l’umano, confondendolo per una creazione artificiale dell’intelletto, mentre le classi sottoposte non possono che accettare le leggi, così poco rivolte alla propria personalità. Infine, la società, stanca di farsi carico di un fardello che lo Stato si preoccupa così poco di alleggerire, cade a pezzi, si disgrega: un destino toccato a molti istituti statali europei. Si dissolvono, cioè, in uno Stato di natura morale, in cui l’autorità pubblica è mera burocrazia, malsopportata e ingannata da chi la ritiene necessaria, rispettata soltanto da chi non può farne a meno”.

In queste parole preveggenti, Schiller intuiva l’antagonismo radicale tra la libertà organica e le organizzazioni meccaniche del potere, ignorato dallo sviluppo politico dell’Europa moderna.

L’anarchismo è l’ultima e più urgente proposta contro questo destino: un richiamo a quei principi che, soli, possono garantire l’armonia dell’essere umano e l’evoluzione creativa del suo genio.

Herbert Read

Gruppo MAGOG