È un peccato che non ci sia un editore che prenda il coraggio a quattro mani e ristampi Tropico del Cancro. Un anno dopo potrebbe ripianare le sue perdite pubblicando un libro intitolato Cosa ho visto in prigione o parole simili ad effetto, e nel frattempo qualche copia del testo proibito avrebbe raggiunto il pubblico prima che l’intera edizione fosse bruciata dal boia pubblico o da chiunque abbia il compito di bruciare i libri messi al bando in questo Paese. Stando così le cose, Tropico del Cancro risulta essere uno dei libri contemporanei più rari – si dice che un’edizione pirata stesse circolando in America due o tre anni fa – e pure Primavera nera non è facile da trovare. Frammenti degli scritti di Henry Miller sono stampati ovunque, mentre le parti più interessanti restano inaccessibili. Per scriverne una critica ci si deve affidare alla memoria, e poiché la persona che la legge potrebbe non aver mai l’occasione di leggere i libri, l’intero procedimento è un po’ come portare un cieco a vedere uno spettacolo di fuochi d’artificio.
La presente selezione include il racconto – forse più un bozzetto che non una storia – Max, l’eccellente bozzetto autobiografico Via Dieppe-Newhaven, tre capitoli di Primavera nera pesantemente censurati, una sceneggiatura per un film surrealista e una serie di saggi critici e frammenti. Il libro si chiude con una nota biografica probabilmente veritiera nei suoi contorni fondamentali, e che si conclude così:
“Voglio esser letto da sempre meno persone; non ho alcun interesse per la vita delle masse né per le intenzioni degli attuali governi del mondo. Spero e credo che l’intero mondo civilizzato venga spazzato via nei prossimi cent’anni o giù di lì. Credo che l’uomo possa esistere, e in maniera infinitamente migliore, più ampia, senza ‘civilizzazione’”.
Il confronto tra Via Newhaven-Dieppe e, per esempio, il frammento da Almeto, l’enorme libro di lettere che Miller ha scritto in collaborazione con Michael Fraenkel, rende bene l’idea di cosa Miller possa e non possa fare. Via Newhaven-Dieppe è un pezzo di scrittura veridico e persino commovente. Dà conto di un infruttuoso tentativo da parte di Miller di fare una breve visita in Inghilterra nel 1935. Gli ufficiali addetti all’immigrazione subodorarono il fatto che avesse pochissimi soldi in tasca, e fu prontamente sbattuto in guardina e spedito indietro attraverso la Manica il giorno seguente, il tutto nel modo più stupido e offensivo possibile. […]
Via Newhaven-Dieppe è scritto nella stessa vena di Tropico del Cancro. Per quarant’anni o più Miller ha condotto un tipo di vita insicura, disdicevole, e ha avuto due eccezionali doni, che potrebbero forse esser ricondotti entrambi a una comune origine. Uno era la totale mancanza di vergogna ordinaria, l’altro un’abilità nello scrivere una prosa sfrontata, florida, ritmica che difficilmente si è vista in Inghilterra negli ultimi vent’anni. D’altro canto non aveva forza di autodisciplina né senso di responsabilità e forse non molta immaginazione, se la si contrappone alla fantasia. Era pertanto equipaggiato al meglio come scrittore autobiografico e incline a bruciarsi una volta esaurito il materiale tratto dalla sua vita passata.
Dopo Primavera nera ci si aspettava che Miller sarebbe caduto in una qualche sorta di ciarlataneria, e infatti molta della sua scrittura successiva è semplicemente un pestare sulla grancassa – rumore che procede dal vuoto. […] Uno dei trucchi di Miller è d’impiegare in modo costante un linguaggio apocalittico, di disseminare ogni pagina di espressioni come “flusso cosmologico”, “attrazione lunare” e “spazi interstellari”, o con frasi come: “L’orbita sulla quale sto viaggiando mi conduce sempre più lontano dal sole morto che mi ha fatto nascere.” La seconda frase nel saggio su Proust e Joyce è: “Qualsiasi cosa sia accaduta in letteratura da Dostoevskij è accaduta sull’altro lato della morte.” Che spazzatura, se ci si pensa! Le parole-chiave in questo tipo di scrittura sono “morte”, “vita”, “nascita”, “sole”, “luna”, “grembo”, “cosmico” e “catastrofe”, e impiegandole si può far suonare pittoresca anche l’affermazione più banale, mentre a qualcosa di palesemente privo di significato si può dare un’aria di mistero e profondità. Persino il titolo del suo libro, The Cosmological Eye [“L’occhio cosmologico”], in realtà non significa niente, ma suona come se dovesse significare qualcosa.
Quando le si disseppellisce scavando sotto il linguaggio fiammeggiante, le opinioni di Miller sono piuttosto comuni, e spesso reazionarie. Si riducono a una sorta di quietismo nichilistico. Proclama di non avere alcun interesse per la politica — in apertura di questo libro annuncia che è “diventato Dio” e che è “assolutamente indifferente al destino del mondo” — ma in sostanza fa di continuo dei pronunciamenti politici, incluse delle fiacche generalizzazioni razziali a proposito dell’“anima francese”, dell’“anima tedesca”, ecc. È un pacifista estremo eppure ha una brama di violenza, a patto che essa stia avendo luogo altrove, pensa che la vita sia meravigliosa, ma spera e si aspetta di vedere tutto quanto andare in pezzi nel giro di poco tempo, e parla a profusione di “grandi uomini” e di “aristocratici dello spirito”. […] Alla fin fine, la prospettiva di Miller è quella di un semplice individualista che non riconosce alcun obbligo nei confronti di nessuno – o per lo meno, alcun obbligo nei confronti della società come insieme – e non sente nemmeno il bisogno di esser coerente nelle sue opinioni. Molta della sua opera recente è soltanto un’affermazione di questo fatto in parole più fragorose.
Finché Miller era semplicemente un reietto e vagabondo che aveva spiacevoli esperienze con poliziotti, padrone di casa, vedove, esattori, puttane, editori e via dicendo, la sua attitudine irresponsabile non faceva alcun danno — di sicuro come base per un libro come Tropico del Cancro era l’attitudine migliore. La grandezza di Tropico del Cancro stava nel non aver nessuna morale. Ma se stai per emettere giudizi assoluti su Dio, l’universo, la guerra, la rivoluzione, Hitler, il marxismo e “gli ebrei”, allora il particolare marchio d’onestà intellettuale di Miller non è sufficiente. […] Il vero dono di Miller è la sua forza nel descrivere il lato sotterraneo della vita, ma probabilmente ha bisogno della sventura per esser pungolato a utilizzarla. Pare tuttavia che la sua vita in California negli ultimi cinque o sei anni sia stata tutta una pacchia, e forse un giorno smetterà di scrivere frasi vuote a proposito della morte e l’universo, e tornerà a ciò per cui è davvero portato. Ma deve rinunciare a “esser Dio”, perché l’unico buon libro che Dio abbia mai scritto è il Vecchio Testamento.
Nel mentre questa selezione darà ai nuovi lettori un’impressione non troppo ingannevole dell’opera di Miller. Ma visto che hanno ritenuto possibile pubblicare tre capitoli di Primavera nera con degli asterischi qua e là, è stato un peccato non far lo stesso con Tropico del Cancro, alcune parti del quale non sono marcatamente oscene e potrebbero esser facilmente presentabili con all’occasione una serie di puntini di sospensione nei posti giusti.
George Orwell
*Recensione del volume antologico The Cosmological Eye di Henry Miller, pubblicata sulla rivista socialista inglese Tribune il 22 febbraio 1946. Tradotta in Fuori dalla balena – Testi inediti su letteratura, poesia, pittura, politica, scienza, società e cucina, tr. e cura di Marco Settimini, Aspis, Milano, 2021.