“I versi sono sangue e uccidono”. Leggendo Boris Pasternak
Poesia
Giorgio Anelli
Di diafana bellezza ma soprattutto d’inderogabile intelligenza, Mathilde Pomès, poetessa, ma soprattutto traduttrice – dallo spagnolo ha reso Ortega y Gasset, Garcia Lorca, Calderon de la Barca, ma ha anche tradotto Curzio Malaparte – era più grande di nove anni di Henry de Montherlant e gli era devota. A Montherlant, in effetti, a cui fu legata da un degno rapporto epistolare, dedica un saggio importante – Deux aspects de Montherlant: Montherlant et l’Espagne; La poésie de Montherlant, 1934 – e un libello che ricorda la gita À Rome avec Montherlant (1951). La gita accade nel 1947, i due, in camere separate, dormono all’Hotel Minerva, dove il nonno materno di Montherlant, Emmanuel de Riancey, conte, aveva vissuto quando operava presso il papato. Mathilde, nelle memorie, dà una efficace descrizione di Montherlant. “Rimane un uomo contraddittorio, superbo e semplice, intrattabile, spesso intransigente, a tratti delicato. Imprevedibilmente, senza un motivo apparente, o per un motivo puerile, si fa violento, acquista un tono che fa vedere rosso a chi lo deve sopportare. La pietra angolare del suo carattere, il suo fondamento congenito, inestricabile: l’impazienza nel senso etimologico del termine. Dice di non tollerare nulla. Si dice escoriato… La sua estrema severità verso le donne, l’orrore per il trucco, i capelli finti, le unghie curate. La libertà di questo ragazzo – non potrei mai dire uomo – si libra; questa è la licenza di uno scrittore apparentemente licenzioso; il codice più rigido delle abitudini della sua casta, una ristretta casta di gusti e di idee”. Il viaggio a Roma accade poco dopo che Montherlant ha terminato il Malatesta – pubblicato nel 1946, va in scena la prima volta nel 1950 –, il testo teatrale che racconta l’ultima impresa del principe di Rimini, già idolatrato da Ezra Pound. Come se lo scrittore volesse ripercorre fisicamente le vie del suo eroe, che sceglie di recarsi a Roma con l’improvvido desiderio di sgozzare il papa. Tanto preambolo per dire che il Malatesta secondo me – cioè, dopo un corpo-a-corpo violento con il testo di Montherlant, aggiustato, segato, scannato, amato – è tornato in scena, per il terzo ciclo di repliche, a Rimini. Il Comune gongola – così la dida promozionale: “Per soddisfare l’interesse riscontrato da parte del pubblico, riminese e non, e per continuare a dare valore a un prodotto artistico che ha riscosso un così grande successo nelle precedenti due edizioni del 2018, Malatesta torna in scena al Castel Sismondo di Rimini nel periodo di Pasqua 2019, dal 13 al 28 aprile” – e io sono felice di aver disintegrato un vieto tabù (Montherlant è autore troppo difficile, i suoi testi teatrali troppo sublimi per la messa in scena). Lo spettacolo è in scena ancora questa sera e domani, con il fisico di Gianluca Reggiani, che ha ideato il progetto e incarna Sigismondo Pandolfo Malatesta. A questo punto, è importante colmare l’onta: la nostra editoria si è dimenticata, salvo sporadiche fioriture, di Montherlant. Abbiamo dimostrato che è pop – quella di domani non so più quale replica sia, la trentesima? Ora pubblichiamolo come si deve. Intanto, depongo uno stralcio del testo scenico. (d.b.)
***
SCENA TERZA
La scena si svolge nel grande salone centrale situato al primo piano del Castello allestito come fosse una grande sala da ricevimento. In scena c’è Malatesta sopraggiunge Isotta.
ISOTTA: Camerino mi ha detto…
MALATESTA: …una bestemmia
il papa si è scavato la fossa
non può più vivere
domani vado a Roma.
ISOTTA: Cosa volete fare?
Uccidere il papa?
MALATESTA: Gli ficco una lama nel corpo – lo squarto.
Lo amavo – gli offrii la mia fiducia.
E lui ricambia la fiducia con il tradimento
e il tradimento è imperdonabile
Lo odio – e chi odia deve uccidere
altrimenti fa dei vocaboli un puttanaio.
ISOTTA: L’odio vi annienta –
vi corrode più della forza dei vostri nemici.
Lasciamo l’odio agli invidiosi e ai filosofi
diamoci alla politica, piuttosto.
Sapete chi succederà a Pio II? No.
Pio II vi vuole bene:
ignora quanto amiate Rimini e vi dona due città.
Il papa è un diplomatico – rispondetegli da diplomatico.
MALATESTA: Che il papa stringa d’assedio Rimini
che abbia le palle di farmi guerra.
Invece, mercanteggia:
dammi Rimini in cambio di Foligno e Spoleto.
Come se dicesse: scorta Isotta
nella mia camera da letto
tu fottiti pure Carlotta e Ginevra!
ISOTTA: Ordinare l’uccisione del papa è una cosa
uccidere il papa un’altra.
Vi uccideranno prima ancora
di sguainare la lama.
L’ira umilia la vostra intelligenza.
MALATESTA: Il papa mi riceve in udienza privata:
lo ammazzo – lo scanno – fuggo.
Prima che qualcuno se ne accorga sarò svanito.
Bisogna architettare una strategia:
il viaggio dura 7 giorni, ho tempo per pensarci.
ISOTTA: Avete scelto di morire…
MALATESTA: Vivere è un rischio – anche se non si uccide
tanto vale uccidere, allora.
Se uccido il papa, non m’importa morire.
ISOTTA: Signore, non ho mai ostacolato la vostra brama;
non sono uno schermo alle vostre voglie:
quante volte siete andato in guerra rischiando tutto?
Io non vi ho mai fermato.
Ma oggi… per i 30 anni di amore che ci rendono
una sola cosa, per la necessità che ho di voi…
avete la febbre – siete allucinato dall’ira.
Aspettate che la febbre svanisca…
MALATESTA: Come sapete che ho la febbre?
ISOTTA: Dagli occhi vedo il riflesso del vostro destino.
MALATESTA: Le parole di Camerino mi hanno iniettato la febbre;
voi vedete in me ciò che nessuno vede.
ISOTTA: Stringete un patto con me:
lasciate piovere i giorni – attendete –
ciò che pensate oggi vi apparirà folle domani.
MALATESTA: Voglio cullare le mie follie –
le follie illuminano la vita –
la vita è nulla senza follia
e io non contemplo la vita – io vivo, ardo.
ISOTTA: Sigismondo non sprecate la vostra vita
morite per ciò che è necessario
non morite per nulla.
MALATESTA: Non mi basta vivere
devo vivere mostrando al mondo chi sono.
Chi perdona non disarma l’inganno.
Io devo vivere ardendo di gloria.