
“Uno stravagante disegno di ponti”. Intorno a una poesia di Rimbaud
Poesia
Giorgio Anelli
Hemingway era morto più volte – ambiva a morire, come tutti i creatori – per risorgere. Da ragazzo, in guerra, durante un safari, in aereo: Hemingway seduceva Madama Morte, la invitava al ballo, voleva dominare l’aldilà. Il padre s’era ucciso nel 1928; qualche mese prima Ernest rischiò la pelle, nell’appartamento di Parigi: il lampadario di casa, incidentalmente, gli era crollato in testa. Gli ultimi anni – quelli che grosso modo seguono il Nobel, consegnatogli nel 1954, come al reduce di un’era definitivamente defunta – sono spettacolari per depressione. Hemingway rivive reiteratamente se stesso – i safari, la corrida, i reportage sui giornali, la scrittura – per rovinarsi, per rovinare perfino, perfidia autarchica, la memoria. Riscrive gli stessi libri, con enfasi corrosiva, livida. “Vive come un recluso in una disperazione ormai incontrollabile… Piange sovente, continua a dimagrire e pensa di avere un cancro” (Fernanda Pivano). Crede di essere spiato dall’FBI – non senza qualche ragione –, non riesce, fisicamente, a scrivere: il cervello è un pozzo, le parole levitano nel nulla. Balbetta. Barbaglia verbi privi di senso, di suono. Hemingway, che ha inventato uno stile, una posa, soprattutto nei racconti, alcuni atleticamente stupendi – che bellezza Le nevi del Kilimangiaro: “Il Kilimangiaro è un monte coperto di neve alto 5895 metri, e si dice che sia la più alta montagna africana. La sua vetta occidentale è chiamata, dai Masai, Ngàje Ngài, la Casa di Dio. Vicino alla vetta occidentale c’è la carcassa rinsecchita e congelata di un leopardo. Nessuno ha saputo spiegare cosa cercasse il leopardo a quell’altitudine” – arretra in sé, si avvolge nel senza verbo, depone ogni lingua. La penna gli cade letteralmente di mano appena la afferra. Come una porta che non si apre più. Una fotografia di Aaron Hotchner, nel 1961, ritrae Hemingway di spalle, al cospetto della foresta, lo scrittore pare incredibilmente fragile. “Nell’ultimo anno della sua vita, Hemingway era diventato silenzioso e solitario. I suoi occhi erano lontani; a volte se ne stava per ore a guardare il cimitero di Ketchum, al di là dal fiume”. Si spara, in quel piccolo paese dell’Idaho, il 2 luglio, con il fucile a due canne. Quando Pound viene a sapere della morte di Hemingway, in Italia, uscito tre anni prima dal manicomio criminale di Washington, malato, ne è distrutto. Gli pare che così, in quel suicidio, si chiuda un’epoca, fatale. “Pound mi ha insegnato a diffidare degli aggettivi, come poi imparai a diffidare di certa gente”, ha scritto Hemingway. Insieme, nel 1923, dimorano a Rapallo, viaggiano verso Rimini. La vita li aveva separati; Hemingway non sopportava la prossimità di ‘Ez’ al fascismo (nel 1938 scrive ad Archibald MacLeish: “Ezra è diventato pazzo. Penso che la sua pazzia sia evidente dagli ultimi Cantos. Merita la punizione e la disgrazia, ma ciò che davvero merita è essere ridicolizzato. Non dovrebbe essere impiccato e non deve diventare un martire. Resta uno dei più grandi poeti viventi e ha dato una mano per molto tempo a molti artisti”). Lo sparo li riavvicinò. Tra le iniziative editoriali più importanti intorno al corpo-corpus di Hemingway c’è la pubblicazione, per la Cambridge University Press, di tutte le lettere di ‘Papa’: il quinto volume, uscito l’anno scorso, copre le annate 1932-1934. Il 1934 è un anno furibondo per Hemingway: è già una star, alterna il safari a Nairobi – che culmina in dissenteria – ai flirt a New York con Marlene Dietrich. Scrive Verdi colline d’Africa – non il suo libro migliore –, compra “Pilar”, la sua mitica barca, ormeggiandola all’Avana, “fa imbalsamare i trofei africani che conserverà sempre”. L’amico di sempre, Francis Scott Fitzgerald, pubblica Tenera è la notte: il romanzo – che ritrae se stesso attraverso l’amico Gerald Murphy & consorte – è fuori tono, fuori tempo, non ha successo. FSF vive la sua personale tragedia di coppia con Zelda. Hemingway glielo dice, con franchezza, in questa lettera ubriaca, che il libro non è riuscito, che la vita è un disastro in gloria. Consapevole, sempre, che lo scrittore è lì, a un metro dal morire.
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Key West, 28 maggio 1934
Caro Scott,
mi è piaciuto e non troppo. Tutto comincia con quella meravigliosa descrizione di Sara e Gerald. Poi inizi a scherzare con loro, li fai derivare da cose da cui non provengono, li trasformi in altre persone, e questo non puoi farlo Scott. Se prendi persone reali e scrivi su di loro, non puoi assegnargli genitori che non hanno (sono fatti dai loro genitori e da cosa accade loro), non puoi fargli fare cose che non farebbero mai. Puoi pigliare me o te o Zelda o Pauline o Hadley o Sara o Gerald, ma devi mantenerli uguali, devi fargli fare solo ciò che farebbero davvero. Non puoi fare l’una e l’altra cosa. L’invenzione è la cosa più bella, più raffinata, ma non puoi inventare ciò che non è possibile accada.
Questo dobbiamo fare quando siamo al nostro meglio – inventare tutto – ma inventarlo in modo così vero che non potrebbe che essere così.
Maledizione, ti sei preso delle libertà con il passato e con il futuro di quelle persone: non hai prodotto dei ‘tipi’ ma dei casi clinici dannatamente fasulli. Tu, che sai scrivere meglio di tutti, che sei così schifosamente talentuoso, proprio tu – vai all’inferno. Scott, per l’amor di Dio, scrivi, scrivi per davvero, non importa di chi o di che cosa, ma non scendere a questi stupidi compromessi. Potresti scrivere un buon libro su Gerald e Sara, ad esempio, se tu ne sapessi abbastanza su di loro, e loro non proverebbero alcun sentimento, se fosse vero. Ci sono luoghi meravigliosi e nessuno può scrivere tanto bene come te, ma questa volta hai imbrogliato di brutto. E non ne hai bisogno.
In primo luogo, ho sempre creduto che non devi pensare. Va bene, ammettiamo che tu possa pensare. Ma immagina che tu non pensi; allora devi scrivere, devi inventare, partire da ciò che sai e riferirti agli antecedenti dei tuoi personaggi. Secondo. Da molto tempo hai smesso di ascoltare, se non le risposte che ti sei dato alle tue domande. Hai buone cose che non ti servono. Questo è ciò che inaridisce uno scrittore (siamo tutti secchi, esauriti: il mio non è un insulto): non ascoltare. Ecco da dove viene tutto. Vedere, ascoltare. Tutto ti è piuttosto chiaro. Ma hai smesso di ascoltare.
Puoi studiare Clausewitz per la strategia, poi economia, psicologia, ma non ti servirà a nulla quando ti metterai a scrivere. Siamo come dei dannati, schifosi acrobati, ma facciamo salti eccezionali, magnifici, mentre intorno è pieno di acrobati che non sanno saltare. Cristo, scrivi, e non preoccuparti di ciò che diranno, e se sarà o meno un capolavoro. Scrivi una pagina straordinaria e novantanove pagine di merda. Senti di dover pubblicare cazzate per fare soldi e vivere e lasciar vivere. Tutti scrivono, ma se scrivi abbastanza e meglio che puoi ci sarà un capitale in capolavori (come si dice a Yale). Non riuscirai a sederti, a concentrarti e a scrivere un capolavoro finché non ti liberi di gente come Gilbert Seldes [scrittore, editor, agitatore culturale su “The Dial”, amico di Fitzgerald, ndr] e tipi del genere, che ti stanno rovinando: lascia al pubblico urlare se va bene o meno.
Dimentica la tua tragedia personale. Siamo tutti stronzi, sempre, e bisogna soffrire da morire prima di poter scrivere seriamente. Ma quando ti fai del male, approfittane – non barare con te stesso e con il dolore. Sii fedele al male, come uno scienziato – non pensare che abbia importanza perché accade a te come a chiunque.
Non ti biasimerei se mi pigliassi a pugni: Gesù, è meraviglioso dire agli altri come scrivere, vivere, morire…
Mi piacerebbe vederti, parlare con te, da sobrio. Eri così schifosamente puzzolente a New York, che non ci siamo detti nulla. Vedi, Scott, non sei un personaggio tragico. Neppure io. Siamo scrittori, e tutto ciò che dobbiamo fare è scrivere. Avresti bisogno di disciplina, invece ti sei sposato una che è gelosa del tuo lavoro, che vuole competere con te, e ti distrugge. Ho pensato subito, appena l’ho incontrata, che Zelda fosse pazza, tu l’hai resa ancora più complicata visto che ne eri innamorato, e sei un debole. Ma tu non sei più debole e complicato di Joyce e della maggior parte degli scrittori. Scott, i bravi scrittori tornano sempre. Sempre. Sei due volte più bravo oggi di quando credevi di essere meraviglioso. Sai che non ho mai pensato così tanto a Gatsby a quel tempo. Ora puoi scrivere meglio di allora. Tutto quello che devi fare è scrivere veramente senza preoccuparti del tuo destino.
Vai avanti e scrivi.
Comunque, ti sono fottutamente affezionato e mi piacerebbe avere la possibilità di parlarti qualche volta. Ci siamo divertiti, insieme. Ti ricordi di quel ragazzo che abbiamo visto agonizzante a Neuilly? È stato da me quest’inverno. Ho visto spesso Dos Passos. Sta meglio; in questo periodo, lo scorso anno, era molto malato. Pauline ti manda il suo saluto affettuoso. Stiamo tutti bene. Andrà a Piggot per un paio di settimane con Patrick [Patrick Hemingway, nato nel 1928 dalla relazione tra Ernest e Pauline Pfeiffer, ndr]. Quindi porterà qui Bumby [Jack Hemingway, 1923-2000, figlio di Ernest e della prima moglie Hadley Richardson, ndr]. Abbiamo una bella barca, ora. Sto lavorando duro su una lunga storia. Difficile da scrivere.
Sempre con te, il tuo amico,
Ernest